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Una veglia civile per la riforma del carcere

Il 20 dicembre scorso, proprio in questa rubrica, eravamo stati facili profeti nell’immaginare che il torbido periodo della campagna elettorale avrebbe alimentato un fuoco di fila contro la riforma dell’ordinamento penitenziario. Si erano già levate le proteste di alcuni sindacati di polizia contro la possibilità di garantire anche in Italia il diritto alla sessualità dei detenuti. Si sono aggiunte le trite litanie dei soliti imprenditori della paura sul rischio di una nuova legge salvadelinquenti.

Grazie a improvvide audizioni, le Commissioni Giustizia hanno offerto alle forze della conservazione una tribuna per gettare veleno sulle minime ipotesi di revisione delle preclusioni in tema di benefici penitenziari e alternative al carcere. La proposta del Governo ridà ai magistrati qualche margine di maggiore responsabilità nella valutazione sui singoli casi, ma questa considerazione del ruolo della magistratura di sorveglianza fa paura ai Torquemada contemporanei, secondo i quali permessi e alternative andrebbero concessi solo a chi in carcere non dovrebbe proprio starci, mentre gli altri possono pure morirci. Ma, nonostante tutto, i pareri delle Regioni, delle Camere e, infine, del CSM sono stati complessivamente favorevoli.

Il Coordinamento dei Garanti regionali e comunali dei detenuti ha espresso al ministro Orlando il proprio apprezzamento per la conclusione dell’iter parlamentare e alcune indicazioni per chiudere positivamente questo lungo lavoro che – a partire dagli Stati generali dell’esecuzione penale – ha coinvolto tante energie della società civile. Come Garanti siamo convinti che le osservazioni migliorative possano essere accolte, mentre ogni ipotesi di restrizione della portata della riforma debba essere respinta, a partire dalla reviviscenza di inutili e vessatori impedimenti legislativi ai benefici e alle alternative al carcere. Abbiamo in particolare richiesto che venga raccolta l’indicazione pervenuta dalle Commissioni parlamentari e dalle Regioni sul rispetto del principio della territorialità e sulla qualificazione sanitaria delle sezioni penitenziarie destinate ad accogliere i detenuti con problemi di salute mentale. Per quanto riguarda la delega in materia di affettività in carcere, sollecitata nel parere del Senato, suggeriamo come un significativo passo in avanti possa essere anche il semplice riconoscimento della possibilità di svolgere colloqui non sottoposti a controllo visivo (altro che guardoni!), lasciando a una successiva revisione del Regolamento la concreta disciplina delle modalità di svolgimento di incontri riservati con familiari e terze persone.

Se il Consiglio dei Ministri – convocato per domani – butterà il cuore oltre l’ostacolo, il decreto legislativo tornerà per conoscenza alle Commissioni e dopo dieci giorni potrà essere definitivamente adottato, ancor prima dell’insediamento delle nuove Camere. Ci sono, dunque, i tempi e le condizioni per portare a termine questo primo importante passaggio di riforma. Non sappiamo se nella prossima legislatura il Governo porterà a compimento anche le deleghe ancora in sospeso, a partire da quelle sul lavoro penitenziario e sull’esecuzione penale minorile, già trasmesse dal Ministero della giustizia a Palazzo Chigi, ma siamo di fronte a una occasione che non va perduta per rispondere alle condanne europee per trattamenti inumani e degradanti. Nelle carceri si vive con speranza e trepidazione questo momento e proprio per essere solidali con i detenuti, domani, in attesa della decisione del Consiglio dei ministri, i Garanti territoriali delle persone private della libertà si uniranno a loro in una veglia civile di digiuno per la giustizia e il diritto.

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Sughere, situazione insostenibile

sughereSughere, situazione insostenibile
Ultimatum di Corleone: «Celle sovraffollate, docce inservibili, cucina fatiscente. Scenderemo in piazza»
Da Il Tirreno dell’8 febbraio 2018 di Matteo Scardigli
LIVORNO«La situazione nel carcere di Livorno è inaccettabile, e i problemi riscontrati già nella scorsa visita non hanno ancora trovato una soluzione». Il Garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, torna a visitare la casa circondariale delle Sughere e lancia un ultimatum al provveditore regionale Antonio Fullone: «Presenti un cronoprogramma dei lavori o faremo una manifestazione di lotta davanti al penitenziario subito dopo Pasqua».Invitato dal gruppo consigliare “Futuro!” all’Arci di via Terreni per fare il punto su una riforma dell’ordinamento che potrebbe migliorare le condizioni dei detenuti (ed evitare all’Italia ulteriori condanne con relative sanzioni), semplificando – tra le altre cose – il ricorso a pene alternative alla carcerazione, Corleone punta ancora il dito sulle criticità della struttura di Livorno: «Celle sovraffollate, mancanza di spazi per la socializzazione, una cucina fatiscente che l’Asl potrebbe dover chiudere, alloggi esterni per il personale degradati e un reparto docce inservibile. Cinque ferite insanabili per 238 ospiti, di cui 128 in alta sicurezza e gli altri in regime di media sicurezza». Una situazione che potrebbe non risolversi neanche in seguito all’eventuale approvazione dei decreti delegati, per i quali da oltre due settimane 7mila detenuti stanno facendo lo sciopero della fame coordinati dal partito Radicale. «Noi fuori dalle mura dobbiamo sentirci loro debitori, per ciò che ci stanno insegnando in quanto a dibattito politico e fiducia nelle istituzioni» sottolinea Andrea Raspanti, mentre l’ex-garante dei detenuti Marco Solimano invita a «mantenere alta l’attenzione per creare un contesto adeguato ad accogliere la riforma». E proprio perché questa non rimanga lettera morta Corleone vorrebbe «invitare Fullone in carcere ad un’assemblea aperta alle associazioni per spiegarne i contenuti», mentre il presidente della Camera Penale di Livorno, l’avvocato Marco Talini, spinge per «portare il consiglio comunale dentro Le Sughere per una seduta» e sfatare quella che l’avvocata Aurora Matteucci, responsabile del carcere presso la Camera Penale, definisce «una percezione negativa, alimentata e cavalcata, secondo la quale più carcere vuol dire più sicurezza». Obiettivo non facile da raggiungere, lo sa bene Giovanna Cepparello che al massimo è riuscita ad ottenere dalla Direttrice di poter organizzare una partita di calcio consiglieri-detenuti, ma che potrebbe ora essere alla portata di Futuro dopo la visita del sindaco Filippo Nogarin alla casa circondariale. E Raspanti coglie la palla al balzo: «È il momento propizio per spingere sulla chiusura della sezione ex-transito». Ma Solimano frena: «I 9 milioni di euro necessari per la riqualificazione dei due padiglioni sono stati svincolati, visto che il carcere a Lucca non si costruisce più. Ma nessuno sa dove sono finiti».
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La Consulta monca. Appello a Mattarella

La Corte Costituzionale da quasi un anno assume decisioni in assenza di un giudice, infatti l’avv. Giuseppe Frigo si dimise dalla Corte per motivi di salute il 7 novembre 2016. Il plenum rappresenta un elemento di garanzia particolarmente in casi delicati e quando emergono orientamenti non unanimi e  la stessa legittimità delle decisioni è messa dunque in discussione.

Il Parlamento in seduta comune ha il compito di eleggere il giudice costituzionale mancante entro un mese, ma il termine non è perentorio e in molte occasioni non è stato rispettato. Nella prima repubblica la spartizione era codificata e i cinque giudici di nomina parlamentare era attribuiti tre alla Democrazia Cristiana, due al PCI e uno ai socialisti e ai partiti laici.

Questa spartizione sulla base della logica del cosiddetto arco costituzionale impedì sempre l’elezione di un esponente della cultura garantista.

Già nel 1995 si era verificata una grave impasse che spinse Franco Ippolito, esponente storico di Magistratura democratica a chiedere un metodo nuovo e trasparente con il coinvolgimento dei cittadini per valorizzare il ruolo della Corte Costituzionale; io scrissi un articolo intitolato “Camere a Consulta” sul Manifesto del 24 maggio 1995 proponendo alcune soluzioni per sbloccare una anomalia istituzionale assai grave.

Nel 1996, parliamo della XIII legislatura, presentai alla Camera dei deputati una proposta di legge (n. 167) elaborata con l’ausilio del costituzionalista dell’Università di Pavia, Ernesto Bettinelli, per superare le possibili situazioni di inadempienze nella elezione dei giudici costituzionali. La norma di chiusura prevedeva che se entro due mesi dalla vacanza verificatasi, gli organi previsti non avessero provveduto alla nomina dei nuovi giudici, si sarebbe proceduto per cooptazione da parte della Corte Costituzionale.

Purtroppo nulla è stato fatto e ora di nuovo si manifesta una pericolosa incapacità delle Istituzioni repubblicane ad assolvere doveri fondamentali. Il Parlamento è giunto al settimo scrutinio senza esito, certificando addirittura la indecente mancanza del numero legale.

Il 26 aprile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontrò il Presidente del Senato Piero Grasso e la Presidente della Camera Laura Boldrini e con un comunicato stampa fece sapere di avere “sottolineato l’esigenza di approvare la legge elettorale e di nominare il giudice della Consulta”. Anche il Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi ha lamentato una condizione insostenibile. Stupisce che non si manifesti una grave preoccupazione per la caduta di credibilità del Parlamento e della crisi inarrestabile della democrazia.

In primo luogo tocca al garante della Repubblica, al Presidente Mattarella esercitare la propria responsabilità, inviando un Messaggio alle Camere come previsto dall’art. 87 della Costituzione.

Un atto, solenne e severo, metterebbe i parlamentari di fronte al dovere di adempiere a una funzione essenziale. I Presidenti Grasso e Boldrini, sarebbero costretti alla convocazione quotidiana del Parlamento, in una sorta di conclave laico, in modo da chiudere una vicenda incresciosa che non può essere protratta in un momento delicato come la fine della legislatura.

Il paradosso inaccettabile è che neppure sono sul tappeto nomi alternativi; è ora che si esca dall’oscurità e che il confronto parta magari da una rosa di nomi autorevoli per favorire la convergenza più vasta anche dei 571 voti necessari.

Questo appello sarà raccolto? Di fronte a questo insulto allo stato di diritto, sono certo che Marco Pannella avrebbe iniziato un digiuno di dialogo per far rispettare l’imperativo kantiano.

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Mai più OPG

Finalmente anche il manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto è chiuso. Due anni di ritardo rispetto alla previsione della legge 81, ma grazie alla generosità della Rems di Barete, che con intelligenza ha aderito all’invito di accogliere alcuni internati siciliani per far cessare l’illegalità di una detenzione ingiustificata e consentire così la chiusura dell’istituzione totale per eccellenza, si è raggiunto un obiettivo che pareva ormai un miraggio.
Gli Opg di Aversa, Montelupo, Reggio Emilia, Secondigliano hanno chiuso i battenti e quello di Castiglione delle Stiviere percorre la difficile strada di una significativa trasformazione.
Vi sono ora le condizioni per dedicarsi allo sviluppo dei contenuti della riforma, per impedire il risorgere delle logiche manicomiali e per arricchire le opportunità di vita nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Dobbiamo tutti avere chiaro che la rivoluzione gentile, come io definisco la chiusura dell’Opg, manicomio e carcere insieme, è stata costruita su una contraddizione. Una felice contraddizione ma che con intelligenza, prudenza e sagacia va sciolta.
Si è rotto il muro della segregazione che poteva spingersi fino all’ergastolo bianco, senza incidere sul sistema delle misure di sicurezza, sul doppio binario del Codice Rocco, sul concetto vago e incerto di pericolosità sociale.
L’indignazione e l’orrore per quei luoghi di inciviltà e disumanità hanno dato la spinta per superare gli Opg e per cercare e individuare una soluzione terapeutica e sanitaria destinata agli autori di reato prosciolti per incapacità di intendere e volere, raggiunti dalla misura di sicurezza.
La legge 81 ha anche affermato che la misura di sicurezza non può avere una durata superiore al massimo della pena edittale prevista per il delitto commesso; è una norma di grande valore perché obbliga a realizzare programmi personali finalizzati al reinserimento sociale.
Sono tante le questioni aperte nel funzionamento delle trenta Rems aperte e funzionanti: le dimensioni, che vanno dalle due unità del Friuli Venezia Giulia ai 120 ospiti di Castiglione delle Stiviere; le problematiche dei soggetti senza fissa dimora, italiani e stranieri; le condizioni di vita delle donne non sempre rispettose del genere; la lista d’attesa a macchia di leopardo tra le diverse regioni; l’architettura delle strutture provvisorie e soprattutto di quelle definitive.
La priorità assoluta sta però nel chiarire la natura delle Rems che a mio parere devono essere strutture riservate ai prosciolti definitivi (in ultima istanza) e non per misure provvisorie, decise magari senza perizia. A questo proposito andrebbe stabilito il criterio di due perizie affidate a psichiatri sorteggiati da un albo sulla cui base il giudice potrebbe decidere con maggiore cognizione e con elementi più sicuri.
Andrebbe anche sciolto il nodo della vigenza o no del Regolamento penitenziario. Occorre definire un testo base che valorizzi un sistema di garanzie dei diritti, superando i limiti attuali per colloqui, visite e telefonate e comunque non facendo prevalere un atteggiamento tipico del paternalismo solidaristico e/o autoritario che può emergere nelle strutture comunitarie.
E’ indifferibile la riforma del Codice penale, in molti articoli, prima di tutto abrogando il 148 (infermità psichica sopravvenuta in carcere) e il 206 (misure di sicurezza provvisorie). Altrettanto indispensabile un lavoro di pulizia semantica per eliminare dal codice e dall’Ordinamento penitenziario termini superati come Opg, internati e sostituirli con definizioni corrispondenti alla nuova realtà.
Invece di porsi su questa lunghezza d’onda, per altro suggerita dal Tavolo 11 degli Stati generali dell’esecuzione della pena e nelle mie relazioni sull’attività di Commissario unico per il superamento degli Opg, il Governo e il Parlamento si sono finora affidati alla fortuna e allo stellone d’Italia. Peggio ancora. Il Senato ha inserito nella legge delega sul processo penale e sull’ordinamento penitenziario una norma che cancella la riforma e fa rivivere gli Opg.

Franco Corleone

Vai alla pagina di StoOPG per la mobilitazione contro il ritorno agli OPG

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Chiusura OPG. Il punto di Pagliaro per Otto e mezzo su La7

Ecco il punto di Pagliaro per la puntata di Otto e mezzo trasmessa da La7 giovedì 23 febbraio 2017

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Chiusura degli OPG: la relazione

Ecco scaricabile qui sotto la seconda Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Franco Corleone

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Lo stato del carcere dopo gli Stati Generali

stato-carcere-stati-generaliConvegno “Lo stato del carcere dopo gli Stati Generali”, registrato a Firenze giovedì 13 ottobre 2016 alle 09:47.

L’evento è stato organizzato da Consiglio Regionale della Toscana e Fondazione Giovanni Michelucci e Garante delle Persone Sottoposte a Misure Restrittive della Libertà Personale della Regione Toscana e La Società della Ragione.

Sono intervenuti: Franco Corleone (coordinatore nazionale dei Garanti Territoriali per i Diritti dei Detenuti), Mauro Palma (garante nazionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale), Fabio Gianfilippi (magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Spoleto), Eugenio Giani (presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Partito Democratico), Corrado Marcetti (direttore della Fondazione Giovanni Michelucci), Katia Poneti (funzionario), Saverio Migliori (ricercatore della Fondazione Giovanni Michelucci), Maria Rita Caciolli (funzionario della Regione Toscana con incarico su residenzialità sociale e diritti dei carcerati), Giuseppe Martone (provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria per la Toscana e l’Umbria), Emilio Santoro (professore), Antonietta Fiorillo (presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze), Grazia Zuffa (psicologa), Pierluigi Onorato (magistrato), Francesco Maisto (ex presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna), Donatella Donati (magistrato), Adriana Tocco (garante dei Diritti delle Persone private della libertà personale della Regione Campania), Cosimo Maria Ferri (sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia).

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Lo stato del Carcere dopo gli Stati Generali

stato-carcere-stati-generaliLO STATO DEL CARCERE DOPO GLI STATI GENERALI
CONVEGNO DEL COORDINAMENTO DEI GARANTI REGIONALI E COMUNALI
IN ONORE DI SANDRO MARGARA

Auditorium del Consiglio Regionale della Toscana
Via Cavour, 4 – Firenze
13 Ottobre 2016

Promotori
Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana
Consiglio Regionale della Toscana
Fondazione Giovanni Michelucci
Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Toscana
Società della Ragione ONLUS

“L’attività di chi gestisce gli istituti non deve essere animata dalla finalità di difendersi da una pericolosità presunta, ma, al contrario, deve basarsi sulla volontà e la fiducia che si eviti il ricrearsi delle condizioni per il manifestarsi di una pericolosità futura: in questo consiste un carcere non criminogeno.”
Sandro Margara

Ore 9.30
Saluti istituzionali
Eugenio Giani, Presidente del Consiglio regionale della Toscana

Ore 10.00
Lo stato dell’arte in Italia: dagli Stati Generali dell’esecuzione penitenziaria alla Legge delega di riforma dell’Ordinamento penitenziario
Relazione di Mauro Palma, Garante Nazionale per i Diritti delle persone detenute o private della libertà personale
I nodi irrisolti del carcere, la prospettiva del Magistrato di sorveglianza nel rapporto con il Garante per i diritti dei detenuti
Fabio Gianfilippi, Magistrato di sorveglianza a Spoleto

Ore 11.30
Il caso Toscana
Restituzione dei risultati dei gruppi di lavoro organizzati nell’ambito del Seminario del giorno precedente:
Spazio della pena: dalle celle ai luoghi comuni; gli spazi per l’affettività
relazione di Corrado Marcetti
Salute in carcere: sezioni psichiatriche penitenziarie, tossicodipendenze, riduzione del danno
relazione di Katia Poneti
Trattamento rieducativo, percorsi di reinserimento e alternative al carcere
relazione di Saverio Migliori

Tavola rotonda di discussione delle proposte emerse nei gruppi di lavoro
Introduce e coordina Franco Corleone
Discussione con Emilio Santoro, Giuseppe Martone,
Maria Rita Caciolli, Fabio Gianfilippi, Lucia Castellano
Parteciperanno il Capo segreteria del Sottosegretario di
Stato Gennaro Migliore, dott.ssa Donatella Donati e la
Segretaria Particolare, dott.ssa Costanza Hermanin

Ore 13.30
Pranzo – Buffet

Ore 14.30
Quel che ci dice oggi Sandro Margara
Antonietta Fiorillo, Corrado Marcetti, Grazia Zuffa
La riforma della riforma di Sandro Margara del 2005/2006
Francesco Maisto

Ore 15.30
Le proposte dei Garanti dopo gli Stati Generali
Introduzione di Adriana Tocco
Interventi dei Garanti presenti nei 18 Tavoli degli Stati Generali

Ore 18.00
Conclusioni
Cosimo Maria Ferri, Sottosegretario alla Giustizia

Segreteria Garante
Telefono: 055.2387802 /055.2387814
e-mail: f.pratesi@consiglio.regione.toscana.it
k.poneti@consiglio.regione.toscana.it
Fondazione Giovanni Michelucci
Telefono: 055.597149
e-mail: segreteria@michelucci.it

Evento facebook: https://www.facebook.com/events/1731501893769472/

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Carcere, la riforma nel nome di Margara

MargaraLunedì abbiamo salutato per l’ultima volta Alessandro Margara, che ha chiuso la sua lunga vita a Firenze, nella stessa chiesa dove due anni fa gli fummo vicini in occasione del funerale della sua adorata compagna di vita, Nora Beretta.

Nel dicembre scorso aprimmo un convegno sulla riforma penitenziaria del 1975 con la presentazione della raccolta di scritti di Margara intitolata “La giustizia e il senso di umanità”; una antologia di quattrocentocinquanta pagine sulle questioni del carcere, degli Opg, delle droghe e sul ruolo della Magistratura di Sorveglianza.

Nella mia prefazione, significativamente intitolata Il cavaliere dell’utopia concreta, ripercorro la sua straordinaria vicenda umana e politica, dedicata alla costruzione di un modello di pena e di carcere rispettoso della Costituzione, in specie dell’articolo 27 che prescrive il principio del reinserimento sociale del carcerato. La ricchezza del suo pensiero, espresso in tanti saggi, articoli, documenti, proposte di legge, è davvero impressionante.

E’ un volume che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovrebbe diffondere in tutte le carceri e farne la base della formazione di tutto il personale.

Sandro Margara ha ricoperto molti incarichi e in tutti ha lasciato un’impronta indelebile. Come giudice di sorveglianza è stato un maestro per i suoi colleghi e un mito per i suoi “clienti”, i detenuti che sapevano che c’era un giudice per gli ultimi. Ricevette la nomina a capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal ministro Giovanni Maria Flick, dopo la tragica e improvvisa scomparsa di Michele Coiro. Quella nomina rappresentò una svolta simbolicamente rivoluzionaria, e accese davvero la speranza dei detenuti e anche di molti operatori. Il suo licenziamento pochi anni dopo, preteso dal potere sindacale e concesso dalla subalternità della politica, dette il segno della restaurazione.

Fu poi scelto come presidente della Fondazione Michelucci e infine fu eletto come primo Garante dei detenuti della Regione Toscana. Lasciò quest’ultimo incarico dopo averne definito il carattere e volle che fossi io il suo successore.

Ho avuto la fortuna di stargli vicino, di confrontarmi con lui per tanti anni, di collaborare su questioni importanti:  voglio ricordare soprattutto la stesura del Regolamento penitenziario del 2000 e la costruzione del Giardino degli Incontri nel carcere di Sollicciano.

Molti hanno conosciuto e amato l’uomo intelligente, acuto, capace di ironia acuminata accompagnata da coraggio intellettuale e da assoluto rigore morale. La sua intransigenza sui principi non lo portava a posizioni astratte, ma si inverava sempre in proposte concrete e realizzabili.

Ricordiamo le sue ultime e disincantate considerazioni avanzate al Convegno su “Il carcere al tempo della crisi”, quando affermava: “Forse i progetti sono consentiti solo ai vecchi, che sono gli ultimi giovani (o illusi) rimasti. Non è possibile stare zitti, anche se parlare fosse solo consolatorio”. Sono parole che ci interrogano, tutti.

Gli Stati Generali dell’esecuzione penale, voluti dal ministro Andrea Orlando, hanno coinvolto tante energie in uno sforzo riformatore condiviso. Se si vuole davvero la riforma, anche parziale, si dovrà ripartire dalle proposte di Margara, a cominciare dal diritto all’affettività in carcere, dall’abolizione dell’ergastolo (almeno quello ostativo) e dalla modifica del regime del 41bis per eliminare gli aspetti macroscopicamente contrari ai diritti umani.

Alessandro Margara è stato un riformatore convinto. Le disillusioni che ha vissuto, lungi da piegarlo, hanno semmai rafforzato la limpidezza del suo pensiero e delle sue scelte politiche. Tocca a noi essere alla sua altezza e non mollare.

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Il muro che deve cadere

corleone-aperteIeri, 25 luglio, la Camera dei deputati ha iniziato la discussione delle proposte di legalizzazione della canapa. È facile prevedere che l’approvazione della legge non sia dietro l’angolo non solo per l’ostruzionismo di alcuni gruppi parlamentari, ma per la necessità di smontare pregiudizi e falsità costruiti nei decenni e che hanno consolidato un senso comune sul divieto per legge del consumo di tutte le sostanze stupefacenti senza distinzione. Il fatto che la discussione sia approdata in Parlamento dopo decenni di polemiche è un fatto storico. Cade infatti il tabù del proibizionismo che nacque negli anni trenta negli Stati Uniti proprio sulla demonizzazione della marijuana. Non era bastato il fallimento del divieto dell’alcol eliminato dal presidente Roosevelt per impedire che una nuova caccia alle streghe si imponesse con la repressione delle minoranze etniche. Un apparato propagandistico eccezionale fu messo in campo, mobilitando i mezzi di informazione e tanti pseudo scienziati per enfatizzare i danni dell’uso della canapa. La campagna non era fondata sui fatti, (nessuno è mai morto per uno spinello), ma sui miti e sulle falsificazioni moralistiche. Infatti si trattava di una lotta del Bene contro il Male. Il Italia l’acme fu raggiunto con l’approvazione della legge Iervolino-Vassalli nel 1990 fortemente voluta da Bettino Craxi e peggiorata nel 2006 con la legge Fini-Giovanardi che solo grazie a una decisione della Corte costituzionale nel 2014 è stata spazzata via. Le conseguenze in questi venticinque anni sono state drammatiche sulla giustizia e sul carcere. La macchina della punizione non ha ottenuto alcun effetto sui consumi e sulla loro riduzione, ma ha intasato i tribunali, ha riempito le carceri e ha arricchito il narcotraffico. I dati sono eloquenti. Nel 2015 gli ingressi in carcere per violazione dell’art. 73 che colpisce la detenzione di sostanze stupefacenti e in concreto consumatori e piccoli spacciatori sono stati pari al 27%, in diminuzione rispetto alle punte del 30% degli anni precedenti. Le presenze in carcere sono pari al 32% e in cifra assoluta sono pari a 16.712 persone su 52.164 detenuti. Se aggiungiamo i detenuti tossicodipendenti, colpevoli di reati di strada e non di spaccio, si conferma che la questione droga pesa per quasi il cinquanta per cento sull’affollamento carcerario. Le operazioni di polizia e le segnalazioni all’autorità giudiziaria si confermano per il cinquanta per cento relative ai cannabinoidi. Quindi nonostante la caduta della parte più repressiva e punitiva della legge Fini-Giovanardi che ha comportato una diminuzione del sovraffollamento carcerario per effetto della minore criminalizzazione della canapa, rimane un’incidenza enorme sul fenomeno. Questa è la ragione del documento inviato alla commissione Giustizia della Camera dal Procuratore nazionale Franco Roberti della Direzione Nazionale Antimafia a sostegno della proposta Giachetti e a favore della legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis. Questo parere mette in luce il peso del narcotraffico sull’economia e sulla democrazia visto il fallimento della strategia repressiva e soprattutto contesta l’accanimento contro il consumo di sostanze meno dannose e che ha comportato un enorme dispendio di energie delle forze dell’ordine e dei giudici per un risultato impossibile. Chi sostiene che la canapa fa male e quindi va proibita, non si preoccupa della nocività della sostanza del mercato nero e delle conseguenza della stigmatizzazione dei giovani sulla loro vita. Dal 1990 alla 2015 sono stati segnalati alle prefetture per mero consumo 1.107.051 persone e di questo ben 800.000 pari a oltre il 72% per cannabis e sottoposte a sanzioni amministrative odiose. L’altra novità che si è imposta rispetto alla menzogna dei danni della canapa è l’affermarsi dell’uso terapeutico della marijuana. La legalizzazione non farà aumentare i consumi, ma li renderà più sicuri e fornirà risorse attraverso la tassazione per azioni educative e di informazione. La war on drugs è finita. Occorre costruire una politica intelligente.

(Franco Corleone da La Nuova Ferrara del 26 luglio 2016)