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I miei articoli In Primo Piano Rassegna Stampa

La Misura è colma

Articolo pubblicato su Terra del 02/01/2010

Ci siamo lasciati alle spalle un anno orribile e terribile, caratterizzato dalle proteste dei detenuti nel mese di agosto e dalla morte di Stefano Cucchi.
Nel pieno dell’estate il mondo delle carceri, un’umanità abbandonata e disperata, ha fatto sentire la propria voce per denunciare condizioni di vita indecenti e disumane.
Il Governo e l’Amministrazione penitenziaria hanno manifestato un’assenza di reazione assolutamente imbarazzante; nessuna iniziativa per mostrare una attenzione anche minima alle richieste legittime e ragionevoli. Intanto in carcere si continua a morire; per suicidio o per cause misteriose.  Continua a scorrere il sangue prodotto dall’autolesionismo: l’unico linguaggio di persone deboli e fragili che usano il proprio corpo per comunicare una disperazione inascoltata.
Il calvario di Stefano Cucchi ha suscitato un orrore diffuso anche in settori dell’opinione pubblica che in questi anni erano state suggestionate dalle evocazioni della certezza della pena e del mito del carcere come luogo di eliminazione dei conflitti. E’ una tragedia che deve far coltivare l’indignazione più profonda e far gridare che “mai più, mai più” possa accadere un accanimento così bestiale contro un corpo meritevole solo di rispetto. E’ stata la bancarotta della pietà, ma occorre chiedersi come è potuto accadere. La spiegazione è una sola: medici, giudici, forze di polizia hanno introiettato la convinzione che un tossicodipendente, un “drogato” non è un uomo, non ha diritti e può essere vilipeso con la convinzione dell’impunità.
Sembra proprio che ci si aspetti (o ci si auguri) una rivolta o un episodio di violenza, ovviamente verso un direttore o un agente di polizia penitenziaria per gridare all’emergenza e dare sfogo a una spirale di repressione e violenza liberatoria. E poi ottenere le agognate risorse per una nuova stagione di edilizia carceraria “d’oro”. Affermo invece che troppi sono i detenuti e non poche le galere e che occorre un piano straordinario per liberare i tossicodipendenti e per aumentare le misure alternative.
E’ indispensabile la convocazione degli Stati Generali del Carcere per un confronto tra tutte le realtà e i soggetti che si occupano di questo pianeta dimenticato e sconosciuto per scrivere una agenda delle riforme indispensabili.
Il cardinale Tettamanzi ha visitato il carcere di San Vittore il giorno di Natale ed è rimasto sconvolto per lo stato delle celle che “offendono la dignità umana”. Ma le parole davvero rivoluzionarie rispetto al senso comune sono state quelle dedicate alla composizione della popolazione detenuta: l’arcivescovo erede di Martini ha parlato di immigrati e di un percorso per il rientro in una società ospitale per tutti “perchè la più grande etnia che fonda e spiega tutte le altre etnie particolari è quella umana”. In tempi di barbarie e razzismo è una lezione da meditare per la Milano rassegnata ai pogrom.

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Le carceri scoppiano. La rassegna stampa dell’iniziativa di Ferrara

On line la rassegna stampa dell’iniziativa svoltasi a Ferrara lo scorso 23 novembre:

Vi ricordo che l’appello è sempre on line sul blog di fuoriluogo.it.

via fioreblog.

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Agenda

Stasera dibattito sulla giustizia a Padova

Dibattito sulla giustizia stasera alle 20.45 nella sala di quartiere in via Santa Maria Assunta a Padova. Ci saranno il procuratore Vittorio Borraccetti (nella foto), l’avvocato Gianni Morrone, il dirigente del ministero Renato Romano e l’ex sottosegretario Franco Corleone.

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In Primo Piano Le carceri

Contro l’ergastolo

E’ uscito nelle librerie, edito da Ediesse, il volume “Contro l’ergastolo – Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona” curato da me insieme a Stefano Anastasia. Ecco la Scheda.
Sul sito di Ediesse potete ordinare il libro.

ergastoloContro l’ergastolo
Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona

Autori: Stefano Anastasia – Franco Corleone
Pubblicato nel: Dicembre 2009
Pagine: 144
ISBN: 88-230-1383-4

La grande promessa della Costituzione repubblicana, dopo vent’anni di regime fascista e di abusi contro la libertà delle persone, era inscritta – per i carcerati – nella finalità rieducativa della pena e nella speranza dell’abolizione dell’ergastolo. Sessant’anni dopo, nonostante innumerevoli tentativi, l’ergastolo è ancora lì, e si moltiplica tra le pene da scontare nelle carceri italiane.
A partire dalle lezioni tenute da Aldo Moro nei suoi ultimi anni di vita, contro l’ergastolo e la pena di morte, gli autori si confrontano con la pena senza tempo, la sua sopravvivenza e la sua vitalità, per capire se e come se ne potrà fare a meno.
Testi di: Boccia, Calvi, Fortuna, Gonnella, Margara, Martinazzoli, Mosconi, Senese, Sofri.

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Agenda In Primo Piano Le carceri Le droghe Rassegna Stampa

La legge sulle droghe e le carceri che scoppiano

La legge sulle droghe e le carceri che scoppiano. Le cause, i numeri, i paradossi di una crisi annunciata. Le ragionevoli proposte per uscirne. Dal blog di Fuoriluogo.it vi segnalo la registrazione video a cura di Radio Radicale della conferenza stampa di Torino, 30 novembre 2009.
Sono intervenuti alla conferenza stampa: Franco Corleone (Società della Ragione, già sottosegretario alla Giustizia), Alessio Scadurra (Antigone, curatore del Libro Bianco sulla Fini Giovanardi), Grazia Zuffa (Curatrice della ricerca condotta in Toscana), Cecco Bellosi (CNCA), Bruno Mellano (Presidente Radicali Italiani, Associazione radicale Adelaide Aglietta). Coordina Susanna Ronconi, Forum Droghe – COBS

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I miei articoli Le droghe Rassegna Stampa

L’invasione di campo

Con questo articolo l’ex sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, interviene nel dibattito sul festival del reggae Sunsplash

Tolmezzo chiama, Pinerolo risponde! Si potrebbe riassumere così il senso dell’intervento del magistrato Giuseppe Amato sulle questioni poste dall’azione giudiziaria contro i responsabili del festival Rototom Sunsplash di Osoppo. Mi auguro che il sostegno della corporazione si limiti a questo “aiuto” e che l’Associazione nazionale magistrati si dissoci da una così incredibile invasione di campo. Infatti il dottor Amato non si rende conto della gravità di una presa di posizione su una vicenda giudiziaria in corso, anzi appena nelle fasi iniziali. L’articolo subito pone degli interrogativi sull’arbitrarietà o meno dell’iniziativa della Procura di Tolmezzo e sempre retoricamente si domanda se di per sé tale azione comprima ingiustificatamente la libertà di associazione. È davvero stupefacente che in un’occasione così estemporanea il magistrato eviti il dovere di esprimere il proprio parere sulla legge Fini-Giovanardi, la più repressiva e punitiva d’Europa. Come tutti i lettori, avrei piacere di conoscere il suo giudizio sull’equiparazione di droghe leggere e pesanti e sull’identico sistema sanzionatorio da 6 a 20 anni di carcere per la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Sono ancora più interessato di conoscere l’opinione sulla presunzione di spaccio e sull’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino accusato. Infine, non sarebbe male apprendere la valutazione sul modo di approvazione di quella legge attraverso un decreto legge sulle Olimpiadi con la cancellazione della volontà popolare espressa dal referendum del 1993. Attraverso un ipocrita riconoscimento della filosofia rastafariana, il dottor Amato mostra di non riconoscere il valore di un pezzo della storia anticoloniale e antirazzista. Confermo il mio giudizio che ci si trovi di fronte a un’accusa inconsistente; certo la sede per una verifica sarà il processo (grazie!), ma riterrei più saggia una decisione di archiviazione. D’altronde l’utilizzo improprio di una norma controversa della legge proibizionista per costruire un teorema accusatorio che si sostanzia nell’agevolazione dell’uso di marijuana rappresenta un tributo al pregiudizio ideologico e moralista. Tralascio i paragoni con i rave party assolutamente fuoriluogo, ma esprimo la costernazione per l’ipotesi di una nuova legge per una preventiva autorizzazione del questore di tali manifestazioni musicali. Stato etico & Stato di polizia: un bel segno dei tempi. Il sovraffollamento delle carceri è causato proprio dalla legge sulle droghe, che riempie gli istituti penitenziari di tossicodipendenti come Stefano Cucchi; anche i tribunali sono ingolfati per procedimenti di questo segno, solo il dottor Amato non se n’è accorto. Il pezzo si chiude con il richiamo severo all’“inaccoglibilità di critiche pretestuose” contemperato dall’esigenza di un approccio “laico”. Dottor Amato ha proprio fatto bene a mettere tra virgolette il termine laico, perché lei appartiene senza dubbio alla scuola dei chierici! *già sottosegretario alla Giustizia segretario di Forum droghe presidente de La società della ragione.

Articolo pubblicato su Il Messaggero Veneto, 22.11.09

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I miei articoli Rassegna Stampa

Quale verità sulla morte di De Stefano?

Articolo pubblicato su Il Manifesto, 22.11.09

Il sospetto, il semplice sospetto, che Manfredi De Stefano, uno dei componenti della Brigata XXVIII Marzo, il gruppo responsabile dell’omicidio di Walter Tobagi, non sia morto per aneurisma ma per un suicidio inspiegabilmente occultato è un fatto di per sé scandaloso, che dovrebbe suscitare reazioni.
Invece, a parte un’interrogazione parlamentare di Elisabetta Zamparutti e due articoli de Il Messaggero Veneto di Udine del Mattino di Padova, un silenzio impressionante ha circondato la vicenda che avevo denunciato in un articolo sul manifesto del 31 ottobre scorso.
È una distrazione particolarmente inquietante in giorni così caldi per il carcere, per i misteri di troppe morti inspiegabili e di tanti suicidi veri. È ancora più clamorosa vista la contemporanea uscita del libro di Benedetta Tobagi, nelle cui pagine è presente questa rivelazione, sfuggita ai tanti recensori. In questo strano paese, gli unici che si sono scandalizzati sono i famigliari di Manfredi De Stefano; in particolare il fratello, con cui ho parlato per telefono su questa vicenda che ha riaperto una dolorosa ferita.
Innanzitutto, devo correggere un errore nel mio precedente articolo: Manfredi De Stefano, seppure condannato a 28 anni di carcere in primo grado, ebbe un ruolo marginale nell’azione terroristica e non fu l’esecutore materiale del delitto; gli assassini furono Mario Marano e Marco Barbone.
Il fratello di De Stefano è rimasto sbigottito e turbato dalle affermazioni del giudice Caimmi riportate tra virgolette da Benedetta Tobagi su Ristretti Orizzonti e nel libro autobiografico appena stampato, secondo le quali Manfredi De Stefano non sarebbe deceduto per morte naturale. Nega recisamente che la causa della morte del fratello possa essere diversa da quella certificata ufficialmente e si domanda la ragione di una menzogna propalata dal giudice istruttore del procedimento del 1981 e raccolta dalla figlia della vittima, senza effettuare peraltro alcun riscontro.
La famiglia è determinata e risoluta nella volontà di cancellare, anche con mezzi legali, quello che ritiene un oltraggio alla memoria di Manfredi De Stefano e una diffamazione attraverso la diffusione di notizie false. Per quanto mi riguarda, ho cercato di approfondire i particolari di questa storia drammatica.
Dopo essere stato detenuto per alcuni mesi a Lecco, Manfredi De Stefano fu assegnato al carcere di Udine dal 26 ottobre 2001. Da qui fu tradotto per motivi di giustizia a Milano in due occasioni. L’ultima volta fu trasferito a San Vittore il 15 settembre 1983 e rientrò a Udine il 29 novembre 1983, il giorno dopo la sentenza del processo assai contestato per il trattamento di riguardo riservato a Barbone e Morandini, in quanto «pentiti».
Il 3 aprile 1984, alle 17.30, De Stefano è in cella con altri cinque detenuti e sta giocando a carte quando di colpo si irrigidisce e viene sostenuto da uno dei suoi compagni, Loris Mason, per impedire che cada a terra. Vengono chiamati gli agenti che lo trasportano in infermeria e poi all’ospedale civile di Udine. Lì muore il 6 aprile alle 20.45 nel reparto di terapia intensiva in relazione «a stato di coma profondo da emorragia sub aracnoidea», come indicato da certificato medico in possesso del direttore del carcere.
Tutto può accadere in un’istituzione quale il carcere che non brilla certo per trasparenza. In questo caso, il complotto avrebbe visto come attori ben cinque detenuti, un brigadiere, un maresciallo, il direttore e i sanitari dell’ospedale e gli agenti del posto di polizia presso il nosocomio, cioè tutti coloro che hanno reso testimonianze o dichiarazioni scritte. Solo il dottor Giorgio Caimmi, che nel frattempo non è più magistrato, può spiegare il mistero.
Credo che Caimmi non debba aspettare l’apertura formale di un’inchiesta per dare conto della sua tesi e spiegare come e perché sarebbe stato falsificato il certificato di morte.
Se, dopo quasi trent’anni, l’ex magistrato ricorda ancora «le mani lunghe, nervose, da pianista» di De Stefano, non farà certo fatica a ricordare altri particolari: per sgombrare il campo da questi inquietanti interrogativi, che si aggiungono ai tanti che ancora circondano l’omicidio di Walter Tobagi.

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I miei articoli Le carceri Rassegna Stampa

Yassin morto per ingiustizia

Articolo pubblicato da Terra del 19 novembre 2009.

Yassin avrebbe compiuto tra pochi giorni diciotto anni. Mi sono ricordato la canzone interpretata dai Tetes De Bois, “Non si può essere seri a diciassette anni”  e provo uno strazio indicibile   pensando alla sofferenza di un giovane venuto dal Marocco,  alla sua solitudine e a una voglia di vivere disordinata.
E’ il sessantacinquesimo suicidio in carcere in questo anno di dis/grazia 2009, per fortuna non ci siamo assuefatti alla tragedia continua; ma questa morte in qualche modo annunciata fa aumentare la rabbia per il segno di una  profonda ingiustizia.
Tutti gli operatori del carcere erano consapevoli della sua condizione difficile, psicologica e personale, e avevano sottolineato in più occasioni uno stato di incompatibilità con la detenzione. Ma la decisione del ricovero in ospedale è stata decisa fuori tempo massimo, il ritardo pare dovuto al palleggiamento  sulla competenza tra il reparto di psichiatria infantile e quello degli adulti e ci sarebbe da sorridere della capacità della burocrazia medica di giocare sulla pelle dei pazienti se non fossimo davanti a una morte crudele.
Questa storia offre molte conferme del carattere di giustizia di classe e addirittura etnica che si pratica in Italia nel silenzio e nella distrazione di tanti. Solo uno straniero sostanzialmente solo poteva rimanere in carcere in attesa del processo per tentato furto di un orologio. D’altronde la retorica della certezza della pena per qualcuno deve pur valere! Così si spiega la preoccupazione del magistrato che, se rimesso in libertà, Yassin non si sarebbe presentato al processo. C’è evasione e evasione: quella dalla vita è inspiegabile ma quella dalla legalità è intollerabile, pare.
Ma possiamo anche pensare a un’altra spiegazione più sollecita della sorte di un giovane in difficoltà: meglio in carcere che in strada. Così non è stato. Anche perchè la costrizione non aiuta un soggetto fragile. L’attenzione del carcere, che c’è stata, in casi del genere si traduce nella formula di assicurare un’alta sorveglianza. Forse c’era bisogno di amore ed è una richiesta impossibile.
Tanti giovani sono in carcere per reati minimi, furti o piccolo spaccio, e soffrono per la mancanza di libertà in modo lancinante; dobbiamo avere  il coraggio di proporre una riforma degli Istituti Penali Minorili perchè non siano dei mini carceri con sbarre e porte d’acciaio, ma “case” con pratiche di convivialità e solidarietà.
La devianza dei giovani è legata ai miti degli adulti, all’esercizio del potere della violenza, della sopraffazione e della ricchezza. Occorre disegnare un luogo fondato sulla responsabilità e sulla ricerca della felicità. Il carcere è inutile e dannoso e spesso dà la morte.

Franco Corleone

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La legge antidroga e il carcere: il caso Toscana

Immagine 2Forum Droghe
Fondazione Michelucci

La legge antidroga e il carcere: il caso Toscana
Presentazione della ricerca commissionata dalla Regione sull’impatto penale e sanzionatorio della normativa

Consiglio Regionale della Toscana
Martedì 17 novembre 2009, ore 10,00 – 13,00 Sala Gigli, Via Cavour 4, Firenze

Presentazione di Sandro Margara – Presidente Fondazione Michelucci
Illustrazione dei risultati della ricerca: Alessio Scandurra e Massimo Urzi

Contributi di:
Patrizia Meringolo – Professore Ordinario di Psicologia Università di Firenze
Patrizio Nocentini – Dirigente Responsabile del Settore Integrazione Socio Sanitaria
Grazia Zuffa –Comitato Scientifico Forum Droghe, Direttrice di Fuori Luogo
Enrico Rossi – Assessore alla Sanità della Regione Toscana

Interventi programmati:
Beniamino Deidda – Procuratore Generale della Repubblica di Firenze
Henri Margaron – Responsabile Sert Livorno
Elisabetta Masini – NOT Nucleo Operativo Tossicodipendenze Prefettura di Firenze
Arcangelo Alfano – Responsabile di Prevenzione e Cura delle condotte di abuso e delle dipendenze
Pierluciano Mennonna – SILP CGIL Firenze
Riccardo De Facci – Responsabile Nazionale Tossicodipendenze
Antonio Lucchesi – Responsabile Settore Dipendenze C.N.C.A. Toscana
Michele Passione – Avvocato
Valentina Orvieto – Avvocato
Maria Stagnitta – Associazione Insieme
Massimo Niro – Giudice di Sorveglianza del Tribunale di Firenze
Mariella Orsi – Responsabile Cesda
Mariagrazia Di Bello – Dirigente Sert Penitenziario di Sollicciano
Susanna Falchini – Responsabile UFM Sert Firenze 2 Asl
Paola Trotta – Direttrice Dipartimento Dipendenze Asl Firenze
Gianfranco Politi – Responsabile Area Educativa Sollicciano
Fabio Roggiolani – Presidente Commissione Sanità Regione Toscana
Anna Maria Celesti – Vice Presidente Commissione Sanità Regione Toscana
Severino Saccardi – Consigliere Regionale Toscana
Enzo Brogi – Consigliere Regione Toscana
Alessia Petraglia – Consigliere Regione Toscana
Monica Sgherri – Consigliere Regione Toscana

Conclude:
Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

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I miei articoli Rassegna Stampa

La verità sull’omicidio Tobagi

tobagi2mMartedì 13 ottobre alle ore 11,30
Circolo della Stampa, c.so Venezia, 4
Sala Lanfranchi

LA LIBERTA’ DI STAMPA E LA CONDANNA DI MAGOSSO
LA VERITA’ SULL’OMICIDIO TOBAGI E’ UN DIRITTO

Domani inizia il processo d’appello contro il giornalista Renzo Magosso e l’ex sottufficiale dei carabinieri Dario Covolo condannati per la pubblicazione sul settimanale Gente di una intervista in cui si rivelava che Tobagi avrebbe potuto essere salvato. Infatti un confidente, con il nome in codice il postino, aveva annunciato la preparazione dell’attentato contro il giornalista del Corriere della Sera. L’informativa non venne presa sul serio e il 28 maggio Walter Tobagi, senza protezione cadde sotto i colpi della banda di Barbone, che 15 giorni prima aveva ferito il giornalista di Repubblica Guido Passalacqua.
Ora, a distanza di quasi trent’anni, è venuto alla luce un documento che prova la veridicità di questa sconvolgente rivelazione.
Rompiamo la catena di errori, omertà, misteri, insipienza!
Intervengono:
Franco Corleone, già Sottosegretario alla Giustizia
Paolo Corsini, deputato del Partito Democratico
Elisabetta Zamparutti, deputata radicale
Giorgio Galli, storico e politologo
Marco Boato, già deputato verde
Presiede
Giovanni Negri, presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti
Saranno presenti Renzo Magosso e Dario Covolo