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Giustizia: “carcere inumano”, è pronta una denuncia per Ionta

Il Garante dei detenuti del comune di Firenze Franco Corleone annuncia un’iniziativa giudiziaria nei confronti del capo del Dap e del ministro della Giustizia per il “trattamento inumano e degradante” nelle carceri italiane e toscane. Il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze sta lavorando a una denuncia da presentare contro il Capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e, forse, contro il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Lo ha reso noto lo stesso garante Franco Corleone in una conferenza stampa. “Un gruppo di avvocati – ha spiegato – sta lavorando per preparare una denuncia nei confronti del capo del Dap Franco Ionta e, forse, anche nei confronti del ministro della Giustizia Alfano per la violazione del regolamento del 2000 per l’esecuzione dell’ordinamento penitenziario”. Quello, ha precisato Corleone, è un documento (in 135 articoli) che avrebbe portato a una “grande riforma” del sistema carcerario ma “non viene applicato”. “Il Dap – ha aggiunto – ha sempre spiegato la mancata applicazione del regolamento con la scarsità di risorse, ma ora i fondi ci sono: in Finanziaria sono stati stanziati 500 milioni di euro per il piano carceri e altri 150 milioni sono stati presi dalla cassa ammende. Ora non ci sono più scuse: si vuole costruire nuove carceri o applicare il regolamento e investire per garantire servizi sanitari, docce, mense, riscaldamento?”. La denuncia si riferisce, naturalmente, alla situazione dell’area fiorentina. Corleone ha anche annunciato che il coordinamento dei Garanti sta predisponendo, a livello nazionale, un “modello di denuncia individuale, che potranno firmare i singoli detenuti, per la situazione degli spazi ridotti” e preannunciato iniziative di “disobbedienza civile”. Sulla situazione toscana, il Garante ha espresso grande preoccupazione per la paventata costruzione di un nuovo padiglione nel carcere fiorentino di Sollicciano che dovrebbe ospitare 200 detenuti e dovrebbe sorgere accanto al Giardino degli incontri, un’area verde dove i detenuti incontrano i familiari: “L’amministrazione penitenziaria vuole fare soltanto un accatastamento di corpi, un’ammucchiata di persone – ha detto il garante – Il nuovo padiglione avrebbe un impatto ambientale devastante, ridurrebbe la vivibilità del carcere ed eliminerebbe parte delle aree verdi. Sarebbe uno sfregio verso il Giardino degli incontri. Ci mobiliteremo per impedirne la realizzazione”. Franco Corleone è intervenuto anche sulla “vicenda paradossale del carcere di Empoli”, dimesso da oltre un anno e dove il 9 marzo era prevista l’apertura del primo istituto italiano interamente riservato alle detenute transessuali. “L’apertura non è avvenuta – ha concluso Corleone – non c’è stata nessuna spiegazione e le detenute che erano con i bagagli in mano per il trasferimento da Sollicciano, non conoscono il loro destino”. Il Garante ha infine chiesto alcuni impegni alla nuova amministrazione della Toscana: in primo luogo l’istituzione del garante regionale per i diritti dei detenuti e un piano per l’uscita dei tossicodipendenti dalle carceri.

Dall’Asca,  23 marzo 2010

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I miei articoli In Primo Piano

Canapa in giardino, a Milano si volta pagina

C’è un giudice a Milano. Il 13 ottobre scorso una sentenza del tribunale ha stabilito che la coltivazione domestica di canapa non è reato.
Il dottor Guido Salvini, giudice per l’udienza preliminare, ha deciso di non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato nei confronti di un imputato che aveva coltivato in giardino sette piantine di marijuana. Una decisione storica e di grande valore anche per la qualità della motivazione che sorregge il verdetto. Il Pubblico Ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio per violazione dell’art. 73 della legge Fini-Giovanardi. I carabinieri di Vaprio d’Adda avevano scoperto e sequestrato sette vasi, con altrettante piantine alte 50/60 centimetri. Va aggiunto che le inflorescenze contenevano una quantità di principio attivo non molto superiore a quello indicato nelle tabelle della legge antidroga quale limite per l’uso personale; neppure era certo che tutto il principio attivo fosse davvero recuperabile dall’imputato.
La condotta di coltivazione è stata oggetto di numerose sentenze contrastanti da parte dei giudici di merito. Molti l’avevano assimilata alla detenzione per uso personale e dunque non punibile penalmente ma solo in via amministrativa; ma il 10 luglio del 2008 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite stabilì invece che la condotta di coltivazione non poteva essere sottratta al rilievo penale, in quanto non è menzionata nell’art. 75 della legge antidroga tra i comportamenti soggetti all’illecito amministrativo. La sentenza giudicava arbitraria qualsiasi distinzione tra la coltivazione domestica e quella di carattere industriale, perché l’esito sarebbe comunque quello di accrescere la quantità di sostanza stupefacente presente in natura.
La sentenza della Cassazione non ha alcun pregio né giuridico, né interpretativo: si limita ad una lettura pedissequa, meccanica e superficialmente riduttiva di un fenomeno storicamente e culturalmente complesso. Purtroppo essa vale come indirizzo, anche se per fortuna nel nostro ordinamento non ha un potere vincolante: tanto è vero che nel gennaio 2009 (sentenza n. 1222), la IV sezione della Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza di condanna della Corte d’Appello di Ancona relativa alla coltivazione di 23 piantine di marijuana non giunte a maturazione.
Il giudice Salvini con un procedimento assai rigoroso smonta l’assunto della Suprema Corte giudicandolo “assai discutibile sul piano ermeneutico”. E aggiunge un richiamo severo: “Ogni espressione usata in un articolo di legge, soprattutto se di carattere non giuridico ma naturalistico, dovrebbe infatti essere interpretata alla luce dell’intera normativa di riferimento”.
Per questo, viene dedicata una particolare attenzione agli artt. 26 e seguenti che contengono la disciplina amministrativa per la coltivazione e la produzione lecita di piante contenenti principi attivi di sostanze stupefacenti. L’analisi delle procedure di autorizzazione e controllo porta alla conclusione che la legge, quando parla di “coltivazione”, “ha per oggetto di riferimento un’attività in larga scala o quantomeno apprezzabile” destinata al commercio e “non si riferisce invece a modesti quantitativi di piante messe a dimora in modo rudimentale in vasi e terrazzi”. Con coerenza logica, il giudice Salvini conclude che la crescita di alcune piante in vasi esce dal concetto di “coltivazione” e si risolve in una forma di detenzione (senza acquisto della sostanza perché il soggetto se la procura da sé coltivandola): ciò impedisce l’applicazione dell’art. 73 che determina le sanzioni penali.
Da notare che questa interpretazione segue il dettato delle convenzioni internazionali, come a suo tempo aveva sostenuto Giancarlo Arnao (cfr. Fuoriluogo, novembre 2002): la Convenzione di Vienna del 1988, al par. 2 dell’art. 3, equipara la coltivazione per consumo personale al possesso e all’acquisto.
Ovviamente, gli atti sono stati inviati al Prefetto per l’iter delle sanzioni amministrative ma la sentenza costituisce un punto fermo per un cambiamento salutare della giurisprudenza e della dottrina. Una boccata d’ossigeno in un quadro di tanti esempi torbidi di persecuzione giudiziaria, dall’incriminazione della musica reggae di Rototom fino alla vendita di semi del Canapaio di Parma. Una spinta a riprendere la battaglia per cambiare una legge criminogena.

Franco Corleone commenta la sentenza del Tribunale di Milano che ha assolto un imputato reo di aver coltivato in giardino 7 piante di marijuana. La sentenza del Giudice Salvini sulla coltivazione domestica di canapa è on line in formato pdf.

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A Empoli un carcere per sole trans. Ma c’è chi parla di: “Rischio ghetto”

Un decreto ministeriale del 20 ottobre 2008 ha trasformato l’Istituto a custodia attenuata (dove cioè la funzione rieducativa della pena assume maggiore importanza rispetto a quella retributiva, offrendo maggiori opportunità al detenuto di riabilitarsi e di auto-sperimentare il grado di maturità e responsabilità raggiunta) della città toscana nel primo carcere italiano per transgender.

Ospiterà, dai primi giorni di marzo, venti giovani transessuali attualmente recluse in un’ala dedicata del penitenziario di di Sollicciano, in provincia di Firenze. La scelta del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria toscana è stata dettata dalla volontà di alleggerire il carcere fiorentino sfruttando le potenzialità di quello empolese, ormai vuoto.

“La scelta di trasferire le transessuali a Empoli” precisa a Panorama.it, il provveditore Maria Pia Giuffrida “è nata per alleviare le loro condizioni di detenzione. Nella nuova struttura sarà più semplice riuscire ad attuare programmi e percorsi educativi e lavorativi“. Attualmente solo tre delle future ospiti svolgono mansioni all’interno del carcere di Sollicciano. “A Empoli tutte avranno un’occupazione: potranno studiare ma anche imparare a lavorare la terra”, precisa Giuffrida. L’istituto empolese è infatti provvisto non solo di bagni idonei, ma anche di una sala per dipingere, strumenti musicali, una biblioteca, un cortile all’aperto con un gazebo, tavoli e un piccolo orto.

E le trans che cosa pensano del nuovo carcere? Secondo il provveditore Giuffrida che le ha incontrati solo pochi giorni fa: “Sono entusiaste e mi hanno fatto moltissime domande sulla struttura e sulle possibilità di lavoro”, racconta Maria Pia Giuffrida. “Ma la domanda più ricorrente è stata: quando?. La voglia di iniziare questa nuova esperienza è veramente forte”.

Mentre vanno ultimandosi i lavori di adeguamento al sistema idraulico e a quello elettrico della struttura e sono stati anche ridefiniti i livelli di sicurezza dell’istituto, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria sta anche concludendo il percorso formativo per gli agenti. Saranno uomini, come stabilisce la normativa, a vigilare all’interno dell’Istituto. Ma considerando la particolarità delle detenute il Provveditorato ha previsto anche la presenza di alcuni agenti di custodia donne. In parallelo con i corsi di formazione, è stato attivato anche un ciclo di incontri con endocrinologi e psicologi della Asl empolese.

Attualmente, le venti trans che saranno trasferite stanno scontando la pena all’interno della sezione femminile di Sollicciano, sorvegliati da donne, con il supporto di un solo agente maschile: svolgono attività culturali con le donne, giocano a pallavolo e fanno sport con le altre detenute di sesso femminile. “Questo è un carcere all’avanguardia, dove esiste l’integrazione concreta tra trans e altri detenuti” commenta il garante dei detenuti toscani, Franco Corleone. “Certo, con i problemi di sovraffollamento che investono anche l’istituto fiorentino, il trasferimento di venti detenuti in una struttura inutilizzata non può che essere positivo”.

Parla di buona notizia Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay : “Questo progetto pilota non solo toglierà le trans da un ambiente dove sono costrette a subire umiliazioni ma le introdurrà in una nuova dimensioneche ne favorità il reinserimento e l’occupazione”.

Più cauto il commento di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale: “L’esperimento toscano va monitorato. Empoli eviterà spiacevoli episodi di mobbing sessuale, ma il modello di carcere auspicabile per le trans è quello che prevede un’integrazione completa con gli altri detenuti uomini e donne senza correre rischi”.

Dubbi sui quali invita a riflettere anche Franco Corleone, che paventa il rischi che il carcere di Empoli si possa “trasformare in un “ghetto” o peggio ancora in un ‘carcere spettacolo’, o in uno ‘zoo’”, dice a Panorama.it il garante dei detenuti. E prosegue: “Sono perplesso su questo trasferimento, che avviene senza aver fatto un serio percorso di integrazione con la comunità empolese, l’Amministrazione comunale e le associazioni di volontariato. E poi trovo che ci siano tante contraddizioni da risolvere. Una su tutte il nome del nuovo carcere deciso dal decreto ministeriale del 2008: Istituto transgender maschile di Empoli. È sul “maschile” che, oggi come in passato, manifesto tutte le mie perplessità. Non si può parlare di integrazione, di progetto all’avenguardia se poi si ghettizzano in partenza”.

Articolo di Nadia Francalacci per Panorama, Giovedì 28 Gennaio 2010

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Gli affari prima di tutto, anche sulle Carceri

Il ministro della Giustizia Alfano nella conferenza stampa a Palazzo Chigi per illustrare le misure per risolvere il sovraffollamento nelle carceri giunte a contenere 65.000 persone ha proclamato una missione senza precedenti. Abbandonare la via delle amnistie e degli indulti che hanno caratterizzato la storia repubblicana e concentrare le risorse per costruire nuove carceri per arrivare a contenere fino a 80.000 detenuti.
E’ stato confermato lo stato di emergenza delle carceri che nelle parole della modesta caricatura di Bava Beccaris si sostanzia in questo anno nella costruzione di 47 padiglioni nelle aree delle carceri esistenti.
Il tandem Berlusconi-Alfano hanno giustificato la via cementificatrice in nome dei principi costituzionali della concezione della pena rieducativa e del senso di umanità, per difendere cioè la dignità e la salute delle persone private della libertà.
Di fronte a tanta faciloneria e pressapochismo intellettuale si rimane costernati. La vita negli hangar per ammassare corpi sarà bestiale: senza acqua, senza luce, senza cucine, senza spazi di socialità, senza educatori.
Un ministro irresponsabile e presuntuoso è davvero pericoloso. Un ministro della giustizia che non sa che l’ultimo indulto di tre anni fa è stato approvato dopo ben sedici anni di assenze di misure di clemenza e che attribuisce i numeri attuali di presenze al rientro in carcere degli “indultati” dimostra di non sapere quello di cui parla (o straparla?).
Demagogia e propaganda sono le armi per coprire le responsabilità di una Amministrazione penitenziaria incapace, senza idee e segnata da una paralisi progressiva.
Alfano non è un contabile, dovrebbe essere un ministro che si confronta con le scelte criminali del governo e della sua maggioranza. Non può far finta di non sapere che le carceri sono piene di immigrati, di tossicodipendenti e di poveri e di emarginati.
Alfano dovrebbe spalancare i suoi occhioni perennemente stupefatti sulla vergogna di una legge come la Cirielli che condanna a una sorta di ergastolo bianco i soggetti più deboli, in particolare i tossicodipendenti, colpevoli e vittime della recidiva.
Il finto buon senso che giustifica la scelta di non affrontare le ragioni del sovraffollamento con l’aumento dei posti letto fa letteralmente vomitare.
Non sono poche le celle, sono troppi i detenuti che non dovrebbero entrare in carcere e soprattutto non starci.
La criminalizzazione di massa mette a rischio la qualità della democrazia di un paese e l’Italia sta precipitando in un gorgo che fa strage di giustizia e di diritto.
La strada annunciata dal Governo ha dei costi enormi. 600 milioni di euro sottratti alle misure alternative e al reinserimento sociale dei detenuti per millantare un miglioramento delle condizioni di vita dei prigionieri.
In realtà il carcere si conferma con la forza dei numeri previsti una orrenda discarica sociale.
La promessa di allargare la detenzione domiciliare a chi deve scontare l’ultimo anno di pena e i lavori di pubblica utilità sono affidati a un disegno di legge dalla sorte incerta. Gli affari prima di tutto!

Articolo di Franco Corleone per il Manifesto del 14 gennaio 2010

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Empoli, il carcere vuoto due agenti, zero detenuti

Il carcere empolese di Pozzale è un caso già da mesi per la sua sottoutilizzazione. Un vero scandalo in un’Italia piena di carceri che scoppiano. Ma ora è un caso due volte: perché la struttura da ben sei mesi è completamente vuota. 26 celle, due agenti di guardia a nessuno, una destinazione (carcere per trans) che ancora non matura benché sia stata decisa da tempo. E poco lontano l’Opg di Montelupo è un inferno

di Lucia Aterini, da Il tirreno del 7 gennaio 2010

EMPOLI. A Pozzale è rimasto un fortino di cemento vuoto e inutile. Una fortezza Bastiani, come quella del “Deserto dei tartari”, che però alle tasche dei contribuenti costa migliaia di euro. Mentre, invece, a pochi chilometri di distanza, nell’Opg di Montelupo, i detenuti soffocano in celle piccole e anguste, dove vivono come nelle stive dei conigli. Dovrebbero essere 120 al massimo e sono 180.

Una assurdità colossale che costa e che non si spiega perché da un anno e mezzo l’amministrazione penitenziaria ha predisposto la trasformazione della struttura empolese a carcere per i transgender di Sollicciano e i lavori di adeguamento sono già terminati. I motivi di questi ritardi sono sconosciuti. E comunque danno l’idea che l’operazione conversione sia stata nel complesso malgestita.

In più pare di entrare in un labirinto del paradosso perché, dopo tanti proclami ufficiali del ministero, la destinazione di Pozzale potrebbe essere anche diversa rispetto a quella concordata. Mesi fa era venuta fuori l’ipotesi che nel piccolo carcere empolese che ha recuperato decine e decine di giovani tossicodipendenti ci potevano essere trasferiti i pazienti più gravi dell’Opg di Montelupo. Pozzale come valvola di sfollamento della villa dell’Ambrogiana. Mentre, invece, di recente si parlava di un carcere per detenuti che fanno l’università. Nell’empasse operativa, le voci si rincorrono. E vengono fuori le tesi più strane.

Declino e chiusura.
La verità è che da anni è sotto gli occhi di tutti, compreso quelli di Regione e Comune di Empoli, che il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria italiana era destinato alla sepoltura. Che per mesi la struttura è costata 3/4 mila euro al giorno con 22 addetti alla sorveglianza e sei operatori per garantire un servizio quando all’interno c’erano solo paio di detenute. E ancora, dopo sei mesi che il carcere è vuoto, non è stato messo riparo all’emorragia di soldi e all’inutilità evidente di 26 celle. Tutto questo alla faccia della razionalizzazione delle spese declamata dall’amministrazione penitenziaria. Le tre ragazze rimaste, quando ancora dovevano terminare gli esami per ottenere la licenza di terza media, erano state trasferite in altri istituti all’improvviso. Era la fine di giugno. Gli unici ospiti ora sono rimasti alcuni agenti tenuti a sorvegliare la struttura. Il ripopolamento del carcere con i transessuali doveva avvenire a settembre, poi a fine anno. Poi… non si sa. I rinvii si sono sommati ai rinvii.

Nuove ipotesi. «Sono abbastanza stufo di parlare del carcere di Empoli – attacca Franco Corleone, garante dei detenuti di Sollicciano – sono stati spesi migliaia di euro per aumentare la sicurezza della struttura e ora vengono fuori nuove ipotesi sulla sua destinazione futura». «Ma perché invece di chiuderlo – continua Corleone – non è stato utilizzato fino a quando non veniva concretizzato il nuovo progetto con i transessuali? Tenere un carcere vuoto è un insulto alla ragione quando tutte le strutture sono al collasso e scoppiano». E anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano più volte si è espresso con l’invito a porre rimedio al sovraffollamento nelle carceri. Franco Corleone conclude: «Si prendono decisioni senza però poi fare i conti con la realtà carceraria. Senza contare che la soluzione trovata, tra l’altro, contribuisce a ghettizzare ulteriormente i detenuti transessuali che invece dovrebbero essere inseriti gradualmente nelle strutture femminili». Anche gli operatori, distaccati ora in altri istituti tipo Opg, (oltre alle 22 guardie carcerarie e sei operatori ci sono anche i medici) non sanno quando rientreranno a Pozzale. Tra l’altro, il corso di formazione che dovevano frequentare per lavorare con i transessuali non è ancora partito. E non ci sono date fissate.

La direttrice. Convinta, invece, che la struttura di Pozzale riaprirà presto con i transgender è Margherita Michelini, direttrice del carcere empolese e ora distaccata a Sollicciano. Quella con i trans doveva essere la prima esperienza in Italia, con detenuti provenienti anche di altre carceri italiani (nella sezione di Sollicciano sono una quindicina). Progetti e studi in questo senso sono già stati elaborati dalla direttrice e dai suoi collaboratori. «A Pozzale dovevano essere fatti interventi nei bagni – spiega la direttrice – e doveva essere ampliata la portineria per motivi di sicurezza. I lavori sono stati già conclusi. Penso che tra poco venga fatto il trasferimento». «Tra l’a ltro – continua Michelini – abbiamo giù preso contatto con una struttura dell’ospedale di Careggi, il Ciadig, l’unico centro in Toscana composto da endocrinologi, psichiatri e psicologi che si occupa di transgender». E conclude: «Sotto le feste non era opportuno spostare le detenute di Sollicciano. Se non ci sono nuovi indirizzi da parte del ministero, a breve la struttura di Pozzale sarà a regime di nuovo». Ma è proprio quella possibilità di “nuovi indirizzi” che lascia qualche dubbio sul fatto che le 26 celle di Pozzale siano destinate a essere riempite presto.

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La Befana ti porta la tessera di Forum Droghe!

Quest’anno metti nella calza della Befana anche la tessera di Forum Droghe. Aderisci all’Associazione, da oggi anche on line con carta di credito o PayPal, e sostieni Forum Droghe e Fuoriluogo.it.

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Quote associative 2010
12,00 Euro studenti e disoccupati
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150,00 Euro associazioni

(dal blog di fuoriluogo.it)

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La Misura è colma

Articolo pubblicato su Terra del 02/01/2010

Ci siamo lasciati alle spalle un anno orribile e terribile, caratterizzato dalle proteste dei detenuti nel mese di agosto e dalla morte di Stefano Cucchi.
Nel pieno dell’estate il mondo delle carceri, un’umanità abbandonata e disperata, ha fatto sentire la propria voce per denunciare condizioni di vita indecenti e disumane.
Il Governo e l’Amministrazione penitenziaria hanno manifestato un’assenza di reazione assolutamente imbarazzante; nessuna iniziativa per mostrare una attenzione anche minima alle richieste legittime e ragionevoli. Intanto in carcere si continua a morire; per suicidio o per cause misteriose.  Continua a scorrere il sangue prodotto dall’autolesionismo: l’unico linguaggio di persone deboli e fragili che usano il proprio corpo per comunicare una disperazione inascoltata.
Il calvario di Stefano Cucchi ha suscitato un orrore diffuso anche in settori dell’opinione pubblica che in questi anni erano state suggestionate dalle evocazioni della certezza della pena e del mito del carcere come luogo di eliminazione dei conflitti. E’ una tragedia che deve far coltivare l’indignazione più profonda e far gridare che “mai più, mai più” possa accadere un accanimento così bestiale contro un corpo meritevole solo di rispetto. E’ stata la bancarotta della pietà, ma occorre chiedersi come è potuto accadere. La spiegazione è una sola: medici, giudici, forze di polizia hanno introiettato la convinzione che un tossicodipendente, un “drogato” non è un uomo, non ha diritti e può essere vilipeso con la convinzione dell’impunità.
Sembra proprio che ci si aspetti (o ci si auguri) una rivolta o un episodio di violenza, ovviamente verso un direttore o un agente di polizia penitenziaria per gridare all’emergenza e dare sfogo a una spirale di repressione e violenza liberatoria. E poi ottenere le agognate risorse per una nuova stagione di edilizia carceraria “d’oro”. Affermo invece che troppi sono i detenuti e non poche le galere e che occorre un piano straordinario per liberare i tossicodipendenti e per aumentare le misure alternative.
E’ indispensabile la convocazione degli Stati Generali del Carcere per un confronto tra tutte le realtà e i soggetti che si occupano di questo pianeta dimenticato e sconosciuto per scrivere una agenda delle riforme indispensabili.
Il cardinale Tettamanzi ha visitato il carcere di San Vittore il giorno di Natale ed è rimasto sconvolto per lo stato delle celle che “offendono la dignità umana”. Ma le parole davvero rivoluzionarie rispetto al senso comune sono state quelle dedicate alla composizione della popolazione detenuta: l’arcivescovo erede di Martini ha parlato di immigrati e di un percorso per il rientro in una società ospitale per tutti “perchè la più grande etnia che fonda e spiega tutte le altre etnie particolari è quella umana”. In tempi di barbarie e razzismo è una lezione da meditare per la Milano rassegnata ai pogrom.

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La lezione di Moro: ora so cos’è la detenzione.

On line l’articolo di presentazione di Adriano Sofri del volume edito da Ediesse in collaborazione con la Società della Ragione “Contro l’ergastolo – Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona” curato da Franco Corleone e Stefano Anastasia. Da Repubblica del 23 dicembre 2009. Sul sito di fuoriluogo.it trovate la scheda di presentazione. Sul sito di Ediesse potete ordinare il libro

Sarebbe un buon segno se la sentenza di Perugia, dettata com’ è da una convinzione di colpevolezza, testimoniasse di una renitenza di fatto alla pena dell’ ergastolo. Quanto al diritto, probabilmente non siamo mai stati lontani come oggi dal ripudio della pena perpetua. A misurare la distanza che ci separa dai famigerati anni ‘ 70 può valere drammaticamente la rievocazione di una lezione accademica del 1976. Il professore era Aldo Moro. Quando, tanti anni fa, scrissi un libro su Moro, non potevo conoscere le Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale tenute nel 1976 nella facoltà romana di scienze politiche, raccolte da Francesco Tritto ed edite da Cacucci nel 2005. (Se ne tratta ora in Contro l’ ergastolo, a cura di S. Anastasia e F. Corleone, ed.Ediesse). Ne avrei fatto gran conto a proposito del rapporto fra Moro e il carcere, alla luce dei 55 giorni di “prigione del popolo”. Al buio di quei 55 giorni. Ero stato colpito un inciso in una lettera indirizzata a Cossiga: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». Moro lo insinua in un brano sulla possibilità di uno scambio fra l’ ostaggio inerme che lui è ora e qualche detenuto delle Brigate Rosse «Nella mia più sincera valutazione, e a prescindere dal mio caso, anche se doloroso, sono convinto che oggi esiste un interesse politico obiettivo… per praticare questa strada». A prescindere dal mio caso, dice. Anche rivolgendosi a chi è stato finora suo amico o seguace, deve adesso sorvegliarsi, non tradirsi: non chiamare in causa la propria sofferenza (solo la concessione pudica dell’ accenno, “anche se doloroso”). C’ è un intero mondo, fuori dalla sua segreta, pronto a espropriarlo delle sue parole e a leggervi la prova del suo cedimento. Vorrebbe dire l’ offesa della propria condizione, ma deve reprimersi: censurarsi per non essere censurato dai suoi carcerieri di dentro, e interdetto da amici di fuori. In questo sforzo di distanza scivola quella frase incidentale, io comincio a capire che cos’ è la detenzione. Eppure Moro aveva una fitta esperienza di carceri. In una biografia del 1969 si leggeva che «Come guardasigilli nel 1955-57… a che cosa dedica la sua maggior attenzione? Sorpresa. Alle carceri e ai carcerati, cui fa lunghe, lunghissime visite… Le sue esplorazioni in questo sottofondo della vita sociale italiana sono continue e minuziose. Vien voglia di chiedere a uno psicanalista quali potrebbero essere le motivazioni segrete della curiosa p r o p e n s i o n e per le galere e i galeotti che ha l ‘ u o m o c u i , non dimentic h i a m o l o , piacciono tanto le cravatte e i loro nodi». Più di vent’ anni dopo, l’ ex ministro della giustizia, minuzioso ispettore di carcerati, si trova sanguinosamente imprigionato, e scrive: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». In un’ altra lettera, una delle più ondeggiantie demoralizzate, Moro arriverà ad auspicare per sé la stessa prigionia che subiscono i detenuti brigatisti. «Ritengo invocare la umanitaria comprensione… /per/ una legge straordinaria del Parlamento, la quale mi conferisca lo status di detenuto in condizioni del tutto analoghe, anche come modalità di vitaa quelle proprie dei prigionieri politici delle Brigate Rosse…». Un’ invidia, un auspicio dell’ ora d’ aria, di “una prigione comune, per quanto severa”! «In una prigione comune, per quanto severa, io avrei delle migliori possibilità ambientali, qualche informazione ed istruzione, assistenza farmaceutica e medica ed un contatto, almeno saltuario, con la famiglia». In quelle lezioni sulla funzione della pena, tenute solo due anni prima, Moro insiste sull’ ancoraggio della pena all’ idea della persona dotata della libertà di scegliere e di essere responsabile. Moro parla del proprio tempo- siamo nel 1976- come di «un’ epoca in movimento verso grandi attuazioni di giustizia e di civiltà umana, un’ epoca nella quale l’ uomo è chiamato a dare prova di sé con le sue scelte coraggiose nel senso della giustizia, della libertà e della dignità umana». Anche il reato, dice, è un atto di libertà, benché sia l’ atto di libertà che conduce a una scelta negativa. Dunque la pena dev’ essere personale, e legale – non dettata dall’ arbitrio di chi giudica, ma dall’ universalità della legge-e proporzionata.E la Costituzione stabilisce che la pena non possa mai consistere in trattamenti crudeli e disumani. «Vuol dire – spiega – trattamenti, vuol dire interventi, vuol dire atti di incidenza del potere pubblico sulla persona, che vadano al di là della necessità di limitare la libertà umana». La pena «è privazione della libertà, ma è soltanto privazione della libertà, non più di questo: è soltanto privazione della libertà». Di qui l’ inaccettabilità della pena di morte: «Come si potrebbe ricondurre la pena capitale nell’ ambito di interventi che non siano crudeli e disumani…? Capisco bene- aggiunge Moro,e viene in mente il vecchio e sconvolto Ugo La Malfa che nel giorno del suo rapimento si alzerà alla Camera a rivendicare la pena di morte per gli attentatori – che vi possono essere dei momenti di accesa passione popolare di fronte ad alcuni fatti gravissimi… Ma il potere pubblico deve essere ben controllato, per non farsi condurre ad immaginare che la pena sia considerata come una vendetta… Questo dell’ assassinio legale è una vergogna inimmaginabile in un regime di democrazia sociale e politica…». Meno aspettato è il capitolo che segue nella lezione di Moro, dedicato alla “pena dell’ ergastolo”. «Un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato… anche nei confronti della pena perpetua: l’ ergastolo, che, priva com’ è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte ». Interrompiamo la citazione per osservare che questa convinzione, della disumanità dell’ ergastolo come della pena capitale contrasta radicalmente con le forme di ripudio della pena di morte che vogliono compensarlo con l’ inflessibilità della reclusione a vita -argomento prevalente negli Stati Uniti. Continua il professor Moro: «Ed è, appunto, in corso nel nostro ordinamento una riforma che tende a sostituire a questo fatto agghiacciante della pena perpetua – (“non finirà mai, finirà con la tua vita questa pena!”) – una lunga detenzione, se volete, una lunghissima detenzione, ma che non abbia le caratteristiche della pena perpetua che conduce ad identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà. Questo, capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano ». Qualunque cambiamento nella vita di una persona, compreso il pentimento vero -“com’ è pur possibile” – prosegue Moro, è irrilevante se la pena esaurisce la vita di quella persona. « Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggettoe lo libera, perlomeno, con il sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, caratteristica della pena perpetua. Quando si dice pena perpetua si dice una cosa… umanamente non accettabile ». Sarete impressionati dal Moro che enuncia questi concetti. Perfino eccessivi, in un certo senso, in questo finale argomentare – “forse” – la crudeltà maggiore dell’ ergastolo rispetto alla pena di morte: convinzione non di rado pronunciata da ergastolani e simbolicamente impressionante. Purché non si dimentichino le obiezioni dai suoi due versanti. Che se si chieda ai condannati a morte di scegliere fra l’ esecuzione e la pena perpetua, sarà una minoranza a scegliere l’ esecuzione. E che agli ergastolani che preferiscano la morte a quella loro vita dovrà restare pur sempre la scelta di togliersela, la vita. Ciascuno può misurare quanta strada sia stata fatta da allora, da quel 1976, a oggi, fine di decennio del nuovo millennio: all’ indietro. Non allegherò commenti di troppo facile effetto sulla contraddizione fra la lezione di Moro e il modo della sua privata esecuzione. Finirò con le righe conclusive della lezione: «Allora ci vediamo per la lezione di venerdì. Bisogna che mi diate i nomi perché ho dimenticato il libretto sul quale, poi, registrerò le presenze».

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In Primo Piano Le carceri

Contro l’ergastolo

E’ uscito nelle librerie, edito da Ediesse, il volume “Contro l’ergastolo – Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona” curato da me insieme a Stefano Anastasia. Ecco la Scheda.
Sul sito di Ediesse potete ordinare il libro.

ergastoloContro l’ergastolo
Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona

Autori: Stefano Anastasia – Franco Corleone
Pubblicato nel: Dicembre 2009
Pagine: 144
ISBN: 88-230-1383-4

La grande promessa della Costituzione repubblicana, dopo vent’anni di regime fascista e di abusi contro la libertà delle persone, era inscritta – per i carcerati – nella finalità rieducativa della pena e nella speranza dell’abolizione dell’ergastolo. Sessant’anni dopo, nonostante innumerevoli tentativi, l’ergastolo è ancora lì, e si moltiplica tra le pene da scontare nelle carceri italiane.
A partire dalle lezioni tenute da Aldo Moro nei suoi ultimi anni di vita, contro l’ergastolo e la pena di morte, gli autori si confrontano con la pena senza tempo, la sua sopravvivenza e la sua vitalità, per capire se e come se ne potrà fare a meno.
Testi di: Boccia, Calvi, Fortuna, Gonnella, Margara, Martinazzoli, Mosconi, Senese, Sofri.

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Agenda In Primo Piano Le carceri Le droghe Rassegna Stampa

La legge sulle droghe e le carceri che scoppiano

La legge sulle droghe e le carceri che scoppiano. Le cause, i numeri, i paradossi di una crisi annunciata. Le ragionevoli proposte per uscirne. Dal blog di Fuoriluogo.it vi segnalo la registrazione video a cura di Radio Radicale della conferenza stampa di Torino, 30 novembre 2009.
Sono intervenuti alla conferenza stampa: Franco Corleone (Società della Ragione, già sottosegretario alla Giustizia), Alessio Scadurra (Antigone, curatore del Libro Bianco sulla Fini Giovanardi), Grazia Zuffa (Curatrice della ricerca condotta in Toscana), Cecco Bellosi (CNCA), Bruno Mellano (Presidente Radicali Italiani, Associazione radicale Adelaide Aglietta). Coordina Susanna Ronconi, Forum Droghe – COBS