Da ToscanaOggi
Firenze: è nata una Rete sulle esperienze di teatro nel carcere
Parte dalla “Pergola” di Firenze il cammino per costruire una rete nazionale fra le esperienze di teatro in carcere. “Dar vita a un coordinamento almeno interregionale – spiega l’assessore toscano alla Cultura, Paolo Cocchi – è utile per qualificare, sostenere e far conoscere meglio anche al grande pubblico ciò che di significativo avviene nel chiuso di tante carceri con un teatro che si fa davvero impegno civile”.
Il saloncino del teatro della Pergola ha ospitato un confronto (“A scene chiuse?”) fra esperienze di teatro in carcere portate avanti in Toscana, Emilia, Lazio, Puglia, Lombardia. Al centro l’esperienza toscana con il progetto di due assessorati regionali (Cultura e Politiche Sociali) iniziato nel 1999: dalle 7 realtà all’inizio coinvolte, oggi la “rete” associa 15 compagnia teatrali che op erano in 14 carceri (Arezzo, Empoli, Livorno, Massa, Massa Marittima, Montelupo, Meucci di Firenze, Pisa, Pistoia, Porto Azzurro, San Gimignano, Siena, Sollicciano, Volterra).
Punteggiato da momenti multimediali (la proiezione di un video, la presentazione di una mostra fotografica e di un volume, uno spettacolo dal vivo), al convegno sono stati illustrati i risultati di una ricerca sulla situazione nazionale del teatro in carcere. Ne ha parlato Massimo Marino, saggista e critico teatrale. Il questionario è stato diffuso nelle 207 carceri di diverso tipo distribuite nelle 20 regioni ottenendo risposte da 113 carceri, in 18 regioni, comunque rappresentative di oltre la metà della popolazione reclusa.
Nell’86,41% delle carceri che hanno risposto, si fa teatro e oltre il 50% delle esperienze teatrali dura da oltre tre anni. Nel 51% dei casi gli spettacoli sono stati rappresentati solo all’interno del carcere, nel 40,7% all’esterno e soltanto l’8,3% sono stati portati in tournée. “È il momento che queste esperienze di speranza siano meglio conosciute – ha insistito l’assessore Cocchi – che avvengano scambi, si creino strutture stabili anche, ad esempio, come scuola di teatro o come occasioni legate ai mestieri del teatro. È nelle non civiltà che il carcere diventa un luogo dove il detenuto scompare: nelle democrazie, invece, il carcere è strumento di espiazione per poi consentire un ritorno nella società”.
Per il Provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana, Maria Pia Giuffrida, secondo cui il nuovo tentativo di coordinamento è da osservare con favore, “il carcere ha bisogno del teatro non meno che il teatro del carcere. È anche qui che il teatro può trovare nuovo senso”. Moderato da Siro Ferrone, docente universitario in Discipline dello Spettacolo, il confronto iniziale ha visto numerosi apporti.
Per Andrea Mancini, autore del volume “A scene chiuse” che contiene anche molte foto, “il teatro in carcere contrasta la negatività del carcere ed esalta la positività del teatro”. Gianfranco Capitta, giornalista, ha sottolineato l’importanza che questo tipo di spettacoli esca dal chiuso degli stabilimenti carcerari (“il vero salto di qualità sta nel portarli fuori”). Lo scrittore e drammaturgo Giuliano Scabia ha rivolto un appello ai critici teatrali affinché si accorgano di questi spettacoli.
Per Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti a Firenze, il teatro può essere la leva per cambiare il carcere. Corrado Marcelli, direttore della Fondazione Michelucci, ha portato l’esperienza del “Giardino degli Incontri” a Sollicciano (“Quasi il 70% dei detenuti è di origine straniera, il teatro è una grande occasione anche per loro”). Armando Punzo, regista della compagnia che opera a Volterra, ha aperto il capitolo delle esperienze di teatro in carcere. Nel pomeriggio tavola rotonda conclusiva con le esperienze teatrali più significative nel sistema nazionale e un sostanziale consenso sulla utilità del coordinamento affinché – ha aggiunto Cocchi – “da chiuse, queste scene si facciano finalmente aperte”.