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I miei articoli Le droghe Rassegna Stampa

L’invasione di campo

Con questo articolo l’ex sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, interviene nel dibattito sul festival del reggae Sunsplash

Tolmezzo chiama, Pinerolo risponde! Si potrebbe riassumere così il senso dell’intervento del magistrato Giuseppe Amato sulle questioni poste dall’azione giudiziaria contro i responsabili del festival Rototom Sunsplash di Osoppo. Mi auguro che il sostegno della corporazione si limiti a questo “aiuto” e che l’Associazione nazionale magistrati si dissoci da una così incredibile invasione di campo. Infatti il dottor Amato non si rende conto della gravità di una presa di posizione su una vicenda giudiziaria in corso, anzi appena nelle fasi iniziali. L’articolo subito pone degli interrogativi sull’arbitrarietà o meno dell’iniziativa della Procura di Tolmezzo e sempre retoricamente si domanda se di per sé tale azione comprima ingiustificatamente la libertà di associazione. È davvero stupefacente che in un’occasione così estemporanea il magistrato eviti il dovere di esprimere il proprio parere sulla legge Fini-Giovanardi, la più repressiva e punitiva d’Europa. Come tutti i lettori, avrei piacere di conoscere il suo giudizio sull’equiparazione di droghe leggere e pesanti e sull’identico sistema sanzionatorio da 6 a 20 anni di carcere per la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Sono ancora più interessato di conoscere l’opinione sulla presunzione di spaccio e sull’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino accusato. Infine, non sarebbe male apprendere la valutazione sul modo di approvazione di quella legge attraverso un decreto legge sulle Olimpiadi con la cancellazione della volontà popolare espressa dal referendum del 1993. Attraverso un ipocrita riconoscimento della filosofia rastafariana, il dottor Amato mostra di non riconoscere il valore di un pezzo della storia anticoloniale e antirazzista. Confermo il mio giudizio che ci si trovi di fronte a un’accusa inconsistente; certo la sede per una verifica sarà il processo (grazie!), ma riterrei più saggia una decisione di archiviazione. D’altronde l’utilizzo improprio di una norma controversa della legge proibizionista per costruire un teorema accusatorio che si sostanzia nell’agevolazione dell’uso di marijuana rappresenta un tributo al pregiudizio ideologico e moralista. Tralascio i paragoni con i rave party assolutamente fuoriluogo, ma esprimo la costernazione per l’ipotesi di una nuova legge per una preventiva autorizzazione del questore di tali manifestazioni musicali. Stato etico & Stato di polizia: un bel segno dei tempi. Il sovraffollamento delle carceri è causato proprio dalla legge sulle droghe, che riempie gli istituti penitenziari di tossicodipendenti come Stefano Cucchi; anche i tribunali sono ingolfati per procedimenti di questo segno, solo il dottor Amato non se n’è accorto. Il pezzo si chiude con il richiamo severo all’“inaccoglibilità di critiche pretestuose” contemperato dall’esigenza di un approccio “laico”. Dottor Amato ha proprio fatto bene a mettere tra virgolette il termine laico, perché lei appartiene senza dubbio alla scuola dei chierici! *già sottosegretario alla Giustizia segretario di Forum droghe presidente de La società della ragione.

Articolo pubblicato su Il Messaggero Veneto, 22.11.09

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I miei articoli Rassegna Stampa

Quale verità sulla morte di De Stefano?

Articolo pubblicato su Il Manifesto, 22.11.09

Il sospetto, il semplice sospetto, che Manfredi De Stefano, uno dei componenti della Brigata XXVIII Marzo, il gruppo responsabile dell’omicidio di Walter Tobagi, non sia morto per aneurisma ma per un suicidio inspiegabilmente occultato è un fatto di per sé scandaloso, che dovrebbe suscitare reazioni.
Invece, a parte un’interrogazione parlamentare di Elisabetta Zamparutti e due articoli de Il Messaggero Veneto di Udine del Mattino di Padova, un silenzio impressionante ha circondato la vicenda che avevo denunciato in un articolo sul manifesto del 31 ottobre scorso.
È una distrazione particolarmente inquietante in giorni così caldi per il carcere, per i misteri di troppe morti inspiegabili e di tanti suicidi veri. È ancora più clamorosa vista la contemporanea uscita del libro di Benedetta Tobagi, nelle cui pagine è presente questa rivelazione, sfuggita ai tanti recensori. In questo strano paese, gli unici che si sono scandalizzati sono i famigliari di Manfredi De Stefano; in particolare il fratello, con cui ho parlato per telefono su questa vicenda che ha riaperto una dolorosa ferita.
Innanzitutto, devo correggere un errore nel mio precedente articolo: Manfredi De Stefano, seppure condannato a 28 anni di carcere in primo grado, ebbe un ruolo marginale nell’azione terroristica e non fu l’esecutore materiale del delitto; gli assassini furono Mario Marano e Marco Barbone.
Il fratello di De Stefano è rimasto sbigottito e turbato dalle affermazioni del giudice Caimmi riportate tra virgolette da Benedetta Tobagi su Ristretti Orizzonti e nel libro autobiografico appena stampato, secondo le quali Manfredi De Stefano non sarebbe deceduto per morte naturale. Nega recisamente che la causa della morte del fratello possa essere diversa da quella certificata ufficialmente e si domanda la ragione di una menzogna propalata dal giudice istruttore del procedimento del 1981 e raccolta dalla figlia della vittima, senza effettuare peraltro alcun riscontro.
La famiglia è determinata e risoluta nella volontà di cancellare, anche con mezzi legali, quello che ritiene un oltraggio alla memoria di Manfredi De Stefano e una diffamazione attraverso la diffusione di notizie false. Per quanto mi riguarda, ho cercato di approfondire i particolari di questa storia drammatica.
Dopo essere stato detenuto per alcuni mesi a Lecco, Manfredi De Stefano fu assegnato al carcere di Udine dal 26 ottobre 2001. Da qui fu tradotto per motivi di giustizia a Milano in due occasioni. L’ultima volta fu trasferito a San Vittore il 15 settembre 1983 e rientrò a Udine il 29 novembre 1983, il giorno dopo la sentenza del processo assai contestato per il trattamento di riguardo riservato a Barbone e Morandini, in quanto «pentiti».
Il 3 aprile 1984, alle 17.30, De Stefano è in cella con altri cinque detenuti e sta giocando a carte quando di colpo si irrigidisce e viene sostenuto da uno dei suoi compagni, Loris Mason, per impedire che cada a terra. Vengono chiamati gli agenti che lo trasportano in infermeria e poi all’ospedale civile di Udine. Lì muore il 6 aprile alle 20.45 nel reparto di terapia intensiva in relazione «a stato di coma profondo da emorragia sub aracnoidea», come indicato da certificato medico in possesso del direttore del carcere.
Tutto può accadere in un’istituzione quale il carcere che non brilla certo per trasparenza. In questo caso, il complotto avrebbe visto come attori ben cinque detenuti, un brigadiere, un maresciallo, il direttore e i sanitari dell’ospedale e gli agenti del posto di polizia presso il nosocomio, cioè tutti coloro che hanno reso testimonianze o dichiarazioni scritte. Solo il dottor Giorgio Caimmi, che nel frattempo non è più magistrato, può spiegare il mistero.
Credo che Caimmi non debba aspettare l’apertura formale di un’inchiesta per dare conto della sua tesi e spiegare come e perché sarebbe stato falsificato il certificato di morte.
Se, dopo quasi trent’anni, l’ex magistrato ricorda ancora «le mani lunghe, nervose, da pianista» di De Stefano, non farà certo fatica a ricordare altri particolari: per sgombrare il campo da questi inquietanti interrogativi, che si aggiungono ai tanti che ancora circondano l’omicidio di Walter Tobagi.

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Agenda Le carceri

Le carceri scoppiano. Domani a Ferrara.

Iniziativa promossa dai Radicali di Ferrara e dalla Federazione provinciale dei Verdi di Ferrara

Lunedì 23 novembre 2009 | ore 17,30 | Ferrara | Sala dell’Arengo
Palazzo Municipale | (P.tta Municipale 2)

Le carceri scoppiano
Incontro pubblico sulla situazione carceraria italiana.

Saranno presenti
Sergio Alberti
Presidente Gruppo assembleare Uniti nell’Ulivo-Partito Socialista Regione Emilia Romagna
Marco Beltrandi
Deputato Radicale
Franco Corleone
Presidente de La Società della Ragione, già sottosegretario alla Giustizia
Coordina Leonardo Fiorentini Consigliere Verdi Circoscrizione 1

Nel corso dell’incontro sarà presentato l’appello Le carceri scoppiano: potenziamo le misure alternative, liberiamo i tossicodipendenti! promosso da Forum Droghe, Antigone, Gruppo Abele, Arci, La Società della Ragione, Ristretti Orizzonti, Comunità San Benedetto al Porto, Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali dei diritti delle persone private della libertà personale, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Seac-Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario, Fondazione Basaglia, Cooperativa Cat
Per adesioni: www.fuoriluogo.it/blog/appelli

In collaborazione con il Gruppo consiliare Laici e Riformisti del Comune di Ferrara.

Scarica la cartolina in formato pdf: carcere.pdf.

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I miei articoli Le carceri Rassegna Stampa

Yassin morto per ingiustizia

Articolo pubblicato da Terra del 19 novembre 2009.

Yassin avrebbe compiuto tra pochi giorni diciotto anni. Mi sono ricordato la canzone interpretata dai Tetes De Bois, “Non si può essere seri a diciassette anni”  e provo uno strazio indicibile   pensando alla sofferenza di un giovane venuto dal Marocco,  alla sua solitudine e a una voglia di vivere disordinata.
E’ il sessantacinquesimo suicidio in carcere in questo anno di dis/grazia 2009, per fortuna non ci siamo assuefatti alla tragedia continua; ma questa morte in qualche modo annunciata fa aumentare la rabbia per il segno di una  profonda ingiustizia.
Tutti gli operatori del carcere erano consapevoli della sua condizione difficile, psicologica e personale, e avevano sottolineato in più occasioni uno stato di incompatibilità con la detenzione. Ma la decisione del ricovero in ospedale è stata decisa fuori tempo massimo, il ritardo pare dovuto al palleggiamento  sulla competenza tra il reparto di psichiatria infantile e quello degli adulti e ci sarebbe da sorridere della capacità della burocrazia medica di giocare sulla pelle dei pazienti se non fossimo davanti a una morte crudele.
Questa storia offre molte conferme del carattere di giustizia di classe e addirittura etnica che si pratica in Italia nel silenzio e nella distrazione di tanti. Solo uno straniero sostanzialmente solo poteva rimanere in carcere in attesa del processo per tentato furto di un orologio. D’altronde la retorica della certezza della pena per qualcuno deve pur valere! Così si spiega la preoccupazione del magistrato che, se rimesso in libertà, Yassin non si sarebbe presentato al processo. C’è evasione e evasione: quella dalla vita è inspiegabile ma quella dalla legalità è intollerabile, pare.
Ma possiamo anche pensare a un’altra spiegazione più sollecita della sorte di un giovane in difficoltà: meglio in carcere che in strada. Così non è stato. Anche perchè la costrizione non aiuta un soggetto fragile. L’attenzione del carcere, che c’è stata, in casi del genere si traduce nella formula di assicurare un’alta sorveglianza. Forse c’era bisogno di amore ed è una richiesta impossibile.
Tanti giovani sono in carcere per reati minimi, furti o piccolo spaccio, e soffrono per la mancanza di libertà in modo lancinante; dobbiamo avere  il coraggio di proporre una riforma degli Istituti Penali Minorili perchè non siano dei mini carceri con sbarre e porte d’acciaio, ma “case” con pratiche di convivialità e solidarietà.
La devianza dei giovani è legata ai miti degli adulti, all’esercizio del potere della violenza, della sopraffazione e della ricchezza. Occorre disegnare un luogo fondato sulla responsabilità e sulla ricerca della felicità. Il carcere è inutile e dannoso e spesso dà la morte.

Franco Corleone