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Gli inganni del governo

CARCERE. Il ddl Alfano sulla detenzione domiciliare arriva in Consiglio dei ministri. Intanto il sottosegretario Giovanardi lancia la sua proposta contro il sovraffollamento: chi è dentro per droga sconti la pena in comunità


Dina Galano su Terra del 7 maggio 2010.

Il giorno successivo allo scontro tra Alfano e Maroni sulla questione carceraria, è intervenuto a fare da paciere il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi: i detenuti per reati di droga di lieve entità – questa la sostanza della proposta – possono lasciare la cella per la comunità. In tal modo, ha spiegato il responsabile delle politiche contro la tossicodipendenza e coautore della legge 309 del 1990 che ha inasprito le sanzioni per i reati di droga, «da un lato, si darebbe sollievo alle strutture penitenziarie e, dall’altro, si consentirebbe una maggiore sicurezza per i cittadini perché l’opportunità di cura garantirebbe di restituire alla società una persona con minore propensione a delinquere».

L’idea, a ben vedere, gli è stata suggerita dal cartello di associazioni e comunità terapeutiche (composto dal Forum droghe, associazione Antigone, Cnca, Gruppo a’Abele e altre realtà) che ad aprile aveva iniziato a predisporre documenti per sollecitare un’uscita razionale dei tossicodipendenti ristretti in carcere. «L’unica riforma seria e importante che sia possibile realizzare senza incidere sulle leggi proibizioniste attualmente in vigore», ha commentato il garante dei detenuti di Firenze Franco Corleone. E che, ieri, è stata rilanciata inviando all’ufficio del sottosegretario una bozza di emendamento che, presumibilmente, è stata di ispirazione per la soluzione di misura.

Quello che, infatti, il ministro Maroni ha definito il decreto “svuota carceri” o ancora un “indulto mascherato”, rischia di non essere adottato nella forma più rapida del decreto legge. Proprio oggi, infatti, in sede di Consiglio di ministri, si dovrebbe conoscere l’iter di discussione del provvedimento a firma Alfano che permetterebbe la detenzione domiciliare per chi deve scontare un residuo di pena inferiore ai 12 mesi. L’obiettivo è arginare il sovraffollamento degli istituti di pena, che si aggrava al ritmo di 700/800 nuovi ingressi ogni mese. La possibilità concreta, invece, è che a beneficiarne saranno in pochissimi, come ripetono incessantemente gli esponenti dei Radicali italiani da tre settimane in sciopero della fame.

Dei quasi 67mila detenuti, infatti, la maggior parte non sarebbe toccata dal provvedimento: la metà perché non condannati in via definitiva, un altro 50 per cento perché appartenente a categorie (come ex articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario) normalmente escluse dall’accesso alle misure alternative. Sottratti, poi, tutti i detenuti stranieri che normalmente sono privi della garanzia dell’alloggio, occorre verificare a quanti manchi meno di un anno di pena da scontare. Il risultato, a rigor di logica, è ben lontano dalle 10mila unità “mandate a casa” di cui ha parlato il ministro degli Interni. Ma, nonostante i numeri, meglio battere il ferro fin che è caldo.

Dunque, auspica Franco Corleone insieme alle associazioni, «approfittiamo del trenino strumentale di Alfano per dire la grande verità: che le carceri sono piene di tossicodipendenti». Agendo per la decarcerizzazione di questa categoria, insomma, «si contenerebbe davvero il drammatico sovraffollamento delle strutture».

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Corleone: azioni nonviolente per far uscire i tossicodipendenti dalla carceri

Tutti i garanti dei detenuti d’Italia adottino ‘azioni non violente’, come lo sciopero della fame, per affrontare la ‘grave’ situazione delle carceri italiane, in particolare il problema del sovraffollamento. E’ la proposta che Franco Corleone, garante dei diritti detenuti del Comune di Firenze, avanzera’ domani in occasione di un incontro a Bologna fra tutti i garanti italiani. ‘Domani, tutti insieme, discuteremo della crisi del carcere in vista dell’estate che rischia di essere la stagione piu’ pericolosa. Io proporro’ a tutti i garanti d’Italia di iniziare un’azione non violenta, fatta anche di scioperi della fame, per sollecitare il Dap, il Governo e il Parlamento ad adottare quelle misure che consentano l’uscita dal carcere in particolare dei detenuti tossicodipendenti e l’incremento delle misure alternative dei detenuti stessi’.

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A Empoli un carcere per sole trans. Ma c’è chi parla di: “Rischio ghetto”

Un decreto ministeriale del 20 ottobre 2008 ha trasformato l’Istituto a custodia attenuata (dove cioè la funzione rieducativa della pena assume maggiore importanza rispetto a quella retributiva, offrendo maggiori opportunità al detenuto di riabilitarsi e di auto-sperimentare il grado di maturità e responsabilità raggiunta) della città toscana nel primo carcere italiano per transgender.

Ospiterà, dai primi giorni di marzo, venti giovani transessuali attualmente recluse in un’ala dedicata del penitenziario di di Sollicciano, in provincia di Firenze. La scelta del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria toscana è stata dettata dalla volontà di alleggerire il carcere fiorentino sfruttando le potenzialità di quello empolese, ormai vuoto.

“La scelta di trasferire le transessuali a Empoli” precisa a Panorama.it, il provveditore Maria Pia Giuffrida “è nata per alleviare le loro condizioni di detenzione. Nella nuova struttura sarà più semplice riuscire ad attuare programmi e percorsi educativi e lavorativi“. Attualmente solo tre delle future ospiti svolgono mansioni all’interno del carcere di Sollicciano. “A Empoli tutte avranno un’occupazione: potranno studiare ma anche imparare a lavorare la terra”, precisa Giuffrida. L’istituto empolese è infatti provvisto non solo di bagni idonei, ma anche di una sala per dipingere, strumenti musicali, una biblioteca, un cortile all’aperto con un gazebo, tavoli e un piccolo orto.

E le trans che cosa pensano del nuovo carcere? Secondo il provveditore Giuffrida che le ha incontrati solo pochi giorni fa: “Sono entusiaste e mi hanno fatto moltissime domande sulla struttura e sulle possibilità di lavoro”, racconta Maria Pia Giuffrida. “Ma la domanda più ricorrente è stata: quando?. La voglia di iniziare questa nuova esperienza è veramente forte”.

Mentre vanno ultimandosi i lavori di adeguamento al sistema idraulico e a quello elettrico della struttura e sono stati anche ridefiniti i livelli di sicurezza dell’istituto, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria sta anche concludendo il percorso formativo per gli agenti. Saranno uomini, come stabilisce la normativa, a vigilare all’interno dell’Istituto. Ma considerando la particolarità delle detenute il Provveditorato ha previsto anche la presenza di alcuni agenti di custodia donne. In parallelo con i corsi di formazione, è stato attivato anche un ciclo di incontri con endocrinologi e psicologi della Asl empolese.

Attualmente, le venti trans che saranno trasferite stanno scontando la pena all’interno della sezione femminile di Sollicciano, sorvegliati da donne, con il supporto di un solo agente maschile: svolgono attività culturali con le donne, giocano a pallavolo e fanno sport con le altre detenute di sesso femminile. “Questo è un carcere all’avanguardia, dove esiste l’integrazione concreta tra trans e altri detenuti” commenta il garante dei detenuti toscani, Franco Corleone. “Certo, con i problemi di sovraffollamento che investono anche l’istituto fiorentino, il trasferimento di venti detenuti in una struttura inutilizzata non può che essere positivo”.

Parla di buona notizia Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay : “Questo progetto pilota non solo toglierà le trans da un ambiente dove sono costrette a subire umiliazioni ma le introdurrà in una nuova dimensioneche ne favorità il reinserimento e l’occupazione”.

Più cauto il commento di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale: “L’esperimento toscano va monitorato. Empoli eviterà spiacevoli episodi di mobbing sessuale, ma il modello di carcere auspicabile per le trans è quello che prevede un’integrazione completa con gli altri detenuti uomini e donne senza correre rischi”.

Dubbi sui quali invita a riflettere anche Franco Corleone, che paventa il rischi che il carcere di Empoli si possa “trasformare in un “ghetto” o peggio ancora in un ‘carcere spettacolo’, o in uno ‘zoo’”, dice a Panorama.it il garante dei detenuti. E prosegue: “Sono perplesso su questo trasferimento, che avviene senza aver fatto un serio percorso di integrazione con la comunità empolese, l’Amministrazione comunale e le associazioni di volontariato. E poi trovo che ci siano tante contraddizioni da risolvere. Una su tutte il nome del nuovo carcere deciso dal decreto ministeriale del 2008: Istituto transgender maschile di Empoli. È sul “maschile” che, oggi come in passato, manifesto tutte le mie perplessità. Non si può parlare di integrazione, di progetto all’avenguardia se poi si ghettizzano in partenza”.

Articolo di Nadia Francalacci per Panorama, Giovedì 28 Gennaio 2010

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Montelupo. L’Opg diventerà un carcere

L’annuncio del governatore Martini mentre a Pozzale è tutto pronto per l’arrivo delle trans
Gli internati a Solliccianino, al loro posto detenuti comuni
L’annuncio del governatore Martini ha colto di sorpresa il Comune di Montelupo. Il sindaco: non ci risulta e non ci piace

MONTELUPO. Una rivoluzione nella geografia carceraria del circondario con una formula di detenzione, quella a custodia attenuata di Pozzale, che è sparita, con un trasloco degli internati dell’Opg che andranno a “Solliccianino”. E con un riempimento conseguente, e inaspettato, della villa medicea dell’Ambrogiana con detenuti comuni. Una soluzione che non piace al Comune di Montelupo.
Un brusco stop dunque a desideri e progetti di recuperare l’imponente villa medicea dell’Ambrogiana, di aprirla al pubblico come, grazie ad appuntamenti mensili con una storica dell’arte, si era cominciato a fare da alcuni anni nella prospettiva del recupero più ampio possibile del patrimonio artistico e storico. Da anni e anni se ne parla e su questo tema si era impegnato anche l’attuale sindaco di Firenze Matteo Renzi quando era presidente della Provincia.
Nel protocollo d’intesa che è stato firmato ieri mattina i detenuti dell’Opg saranno trasferiti nelle regioni di loro provenienza e quelli toscani, al momento una cinquantina, saranno portati alla struttura Mario Gozzini (“Solliccianino”) che al momento accoglie giovani tossicodipendenti.
Fin qui il protocollo che comunque avrà tempi non immediati, si parla di un paio di anni, e che comunque non sono stati specificati dal capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta e dal presidente della Regione Claudio Martini. Ma sempre loro due hanno specificato che nella villa medicea «ci verrà realizzato un carcere ordinario». Una voce, questa, che circolava da mesi tra gli operatori dello stesso ospedale. E che si concilia bene con la ristrutturazione di alcuni padiglioni portata avanti dal ministero. Si tratta di lavori in corso e che andranno avanti nei prossimi mesi come quelli nella terza sezione (in parte già rimodernata nel 2006) e anche nell’area riservata ai colloqui.
«Nel protocollo – spiegano il sindaco Rossana Mori e l’assessore alle politiche sociali Giacomo Tizzanini – questa destinazione non è prevista e qualsiasi cambiamento va concordato con l’ente locale». «Noi stiamo combattendo la destinazione di quelli spazi a celle – aggiungono ancora – non sono adatti agli internati dell’Opg e di conseguenza non lo sarebbero neppure per dei detenuti normali».
Critico anche Franco Corleone, garante dei detenuti di Sollicciano. «Io sono dell’idea che vada superata l’istituzione dell’Opg – spiega – ma bisognerebbe chiedersi se la struttura più adatta sia davvero il Mario Gozzini. E ancora che ne facciamo dell’Opg? E’ opportuno fare un altro carcere in Toscana? Bisognerebbe non prendere decisioni improvvise, ma concordate con le altre istituzioni. Che cosa ne pensa il Comune di Montelupo di questa idea?». (l.a.)

E la prigione riservata ai trans fa discutere
Al garante dei detenuti non piace, la presidente del Mit invece applaude

EMPOLI. Piace ai transessuali il carcere per soli detenuti trans. La struttura tra poche settimane aprirà a Pozzale e trova d’accordo la presidente del Movimento nazionale identità transgender (Mit), Regina Satariano, transessuale e imprenditrice in Versilia, che commenta positivamente l’iniziativa del provveditorato regionale della Toscana per l’amministrazione penitenziaria.
«E’ stata un’idea geniale realizzare un carcere per soli detenuti trans – osserva Regina – non sarà un ghetto ma un’opportunità per evitare l’isolamento nei penitenziari e dare ai trans detenuti le motivazioni per affrontare progetti di reinserimento sociale mentre scontano la pena». La struttura sarà la prima in Italia di questo tipo ed è stata ricavata dall’ex casa circondariale a custodia attenuata per donne pregiudicate di reati di lieve gravità. Vi verranno trasferiti circa 30 persone trans che attualmente sono recluse in un apposito reparto del carcere di Sollicciano. «Questa iniziativa ha grandi possibilità, anche perchè non si può continuare a relegare i trans in un isolamento di fatto nelle carceri» aggiunge Regina Satariano, che nei giorni scorsi, proprio a Empoli, ha partecipato, a un’assemblea scolastica degli studenti del liceo scientifico Pontormo.
Meno entusiasta sulla nuova esperienza al via il garante dei detenuti di Sollicciano, Franco Corleone, sull’esperienza al via a Empoli. «Le detenute transessuali – spiega ancora il garante – dovrebbero andare nella sezione femminile. Creando una struttura apposta per loro si finierà per creare un ghetto».

Articoli dal Tirreno del 28 gennaio 2010.

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Italy ‘to open first prison for transgender inmates’

Many prisons in Italy suffer from overcrowding

Italy is to open one of the world’s first prisons for transgender inmates, reports say.

The prison, at Pozzale, near the Tuscan city of Florence, is expected to house inmates who mainly have convictions for drug-related offences and prostitution.

Gay rights groups in Italy welcomed the move to convert an almost empty medium security women’s prison into a specially equipped detention centre.

It is thought that Italy has a total of some 60 transgender prisoners.

The centre will house about 30 people, according to reports.

The BBC’s Duncan Kennedy, in Rome, says that until now transgender prisoners have been located in women’s prisons where they are often segregated for their own safety.

Psychological support

Leading gay rights groups say they welcome the new prison as a dedicated space providing the psychological support transgender prisoners need.

However, one local council official has said she cannot understand why the Pozzale prison had remained almost empty for so long.

“There are at least 30 to 40 women held in nearby prisons who would be ready to be transferred to a medium-security centre such as Pozzale. But very restrictive entry requirements were imposed,” Franco Corleone told Italian news agency Adnkronos.

According to Italian newspaper Il Giornale, the prison only has two inmates at present but has a staff of 22 people.

The prison has its own library, recreation centre, football pitch and agricultural land which produces olive oil and wine.

Inmates also have their own cell and are given a personal development plan.

Dal sito della BBC.

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Empoli, il carcere vuoto due agenti, zero detenuti

Il carcere empolese di Pozzale è un caso già da mesi per la sua sottoutilizzazione. Un vero scandalo in un’Italia piena di carceri che scoppiano. Ma ora è un caso due volte: perché la struttura da ben sei mesi è completamente vuota. 26 celle, due agenti di guardia a nessuno, una destinazione (carcere per trans) che ancora non matura benché sia stata decisa da tempo. E poco lontano l’Opg di Montelupo è un inferno

di Lucia Aterini, da Il tirreno del 7 gennaio 2010

EMPOLI. A Pozzale è rimasto un fortino di cemento vuoto e inutile. Una fortezza Bastiani, come quella del “Deserto dei tartari”, che però alle tasche dei contribuenti costa migliaia di euro. Mentre, invece, a pochi chilometri di distanza, nell’Opg di Montelupo, i detenuti soffocano in celle piccole e anguste, dove vivono come nelle stive dei conigli. Dovrebbero essere 120 al massimo e sono 180.

Una assurdità colossale che costa e che non si spiega perché da un anno e mezzo l’amministrazione penitenziaria ha predisposto la trasformazione della struttura empolese a carcere per i transgender di Sollicciano e i lavori di adeguamento sono già terminati. I motivi di questi ritardi sono sconosciuti. E comunque danno l’idea che l’operazione conversione sia stata nel complesso malgestita.

In più pare di entrare in un labirinto del paradosso perché, dopo tanti proclami ufficiali del ministero, la destinazione di Pozzale potrebbe essere anche diversa rispetto a quella concordata. Mesi fa era venuta fuori l’ipotesi che nel piccolo carcere empolese che ha recuperato decine e decine di giovani tossicodipendenti ci potevano essere trasferiti i pazienti più gravi dell’Opg di Montelupo. Pozzale come valvola di sfollamento della villa dell’Ambrogiana. Mentre, invece, di recente si parlava di un carcere per detenuti che fanno l’università. Nell’empasse operativa, le voci si rincorrono. E vengono fuori le tesi più strane.

Declino e chiusura.
La verità è che da anni è sotto gli occhi di tutti, compreso quelli di Regione e Comune di Empoli, che il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria italiana era destinato alla sepoltura. Che per mesi la struttura è costata 3/4 mila euro al giorno con 22 addetti alla sorveglianza e sei operatori per garantire un servizio quando all’interno c’erano solo paio di detenute. E ancora, dopo sei mesi che il carcere è vuoto, non è stato messo riparo all’emorragia di soldi e all’inutilità evidente di 26 celle. Tutto questo alla faccia della razionalizzazione delle spese declamata dall’amministrazione penitenziaria. Le tre ragazze rimaste, quando ancora dovevano terminare gli esami per ottenere la licenza di terza media, erano state trasferite in altri istituti all’improvviso. Era la fine di giugno. Gli unici ospiti ora sono rimasti alcuni agenti tenuti a sorvegliare la struttura. Il ripopolamento del carcere con i transessuali doveva avvenire a settembre, poi a fine anno. Poi… non si sa. I rinvii si sono sommati ai rinvii.

Nuove ipotesi. «Sono abbastanza stufo di parlare del carcere di Empoli – attacca Franco Corleone, garante dei detenuti di Sollicciano – sono stati spesi migliaia di euro per aumentare la sicurezza della struttura e ora vengono fuori nuove ipotesi sulla sua destinazione futura». «Ma perché invece di chiuderlo – continua Corleone – non è stato utilizzato fino a quando non veniva concretizzato il nuovo progetto con i transessuali? Tenere un carcere vuoto è un insulto alla ragione quando tutte le strutture sono al collasso e scoppiano». E anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano più volte si è espresso con l’invito a porre rimedio al sovraffollamento nelle carceri. Franco Corleone conclude: «Si prendono decisioni senza però poi fare i conti con la realtà carceraria. Senza contare che la soluzione trovata, tra l’altro, contribuisce a ghettizzare ulteriormente i detenuti transessuali che invece dovrebbero essere inseriti gradualmente nelle strutture femminili». Anche gli operatori, distaccati ora in altri istituti tipo Opg, (oltre alle 22 guardie carcerarie e sei operatori ci sono anche i medici) non sanno quando rientreranno a Pozzale. Tra l’altro, il corso di formazione che dovevano frequentare per lavorare con i transessuali non è ancora partito. E non ci sono date fissate.

La direttrice. Convinta, invece, che la struttura di Pozzale riaprirà presto con i transgender è Margherita Michelini, direttrice del carcere empolese e ora distaccata a Sollicciano. Quella con i trans doveva essere la prima esperienza in Italia, con detenuti provenienti anche di altre carceri italiani (nella sezione di Sollicciano sono una quindicina). Progetti e studi in questo senso sono già stati elaborati dalla direttrice e dai suoi collaboratori. «A Pozzale dovevano essere fatti interventi nei bagni – spiega la direttrice – e doveva essere ampliata la portineria per motivi di sicurezza. I lavori sono stati già conclusi. Penso che tra poco venga fatto il trasferimento». «Tra l’a ltro – continua Michelini – abbiamo giù preso contatto con una struttura dell’ospedale di Careggi, il Ciadig, l’unico centro in Toscana composto da endocrinologi, psichiatri e psicologi che si occupa di transgender». E conclude: «Sotto le feste non era opportuno spostare le detenute di Sollicciano. Se non ci sono nuovi indirizzi da parte del ministero, a breve la struttura di Pozzale sarà a regime di nuovo». Ma è proprio quella possibilità di “nuovi indirizzi” che lascia qualche dubbio sul fatto che le 26 celle di Pozzale siano destinate a essere riempite presto.

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La Misura è colma

Articolo pubblicato su Terra del 02/01/2010

Ci siamo lasciati alle spalle un anno orribile e terribile, caratterizzato dalle proteste dei detenuti nel mese di agosto e dalla morte di Stefano Cucchi.
Nel pieno dell’estate il mondo delle carceri, un’umanità abbandonata e disperata, ha fatto sentire la propria voce per denunciare condizioni di vita indecenti e disumane.
Il Governo e l’Amministrazione penitenziaria hanno manifestato un’assenza di reazione assolutamente imbarazzante; nessuna iniziativa per mostrare una attenzione anche minima alle richieste legittime e ragionevoli. Intanto in carcere si continua a morire; per suicidio o per cause misteriose.  Continua a scorrere il sangue prodotto dall’autolesionismo: l’unico linguaggio di persone deboli e fragili che usano il proprio corpo per comunicare una disperazione inascoltata.
Il calvario di Stefano Cucchi ha suscitato un orrore diffuso anche in settori dell’opinione pubblica che in questi anni erano state suggestionate dalle evocazioni della certezza della pena e del mito del carcere come luogo di eliminazione dei conflitti. E’ una tragedia che deve far coltivare l’indignazione più profonda e far gridare che “mai più, mai più” possa accadere un accanimento così bestiale contro un corpo meritevole solo di rispetto. E’ stata la bancarotta della pietà, ma occorre chiedersi come è potuto accadere. La spiegazione è una sola: medici, giudici, forze di polizia hanno introiettato la convinzione che un tossicodipendente, un “drogato” non è un uomo, non ha diritti e può essere vilipeso con la convinzione dell’impunità.
Sembra proprio che ci si aspetti (o ci si auguri) una rivolta o un episodio di violenza, ovviamente verso un direttore o un agente di polizia penitenziaria per gridare all’emergenza e dare sfogo a una spirale di repressione e violenza liberatoria. E poi ottenere le agognate risorse per una nuova stagione di edilizia carceraria “d’oro”. Affermo invece che troppi sono i detenuti e non poche le galere e che occorre un piano straordinario per liberare i tossicodipendenti e per aumentare le misure alternative.
E’ indispensabile la convocazione degli Stati Generali del Carcere per un confronto tra tutte le realtà e i soggetti che si occupano di questo pianeta dimenticato e sconosciuto per scrivere una agenda delle riforme indispensabili.
Il cardinale Tettamanzi ha visitato il carcere di San Vittore il giorno di Natale ed è rimasto sconvolto per lo stato delle celle che “offendono la dignità umana”. Ma le parole davvero rivoluzionarie rispetto al senso comune sono state quelle dedicate alla composizione della popolazione detenuta: l’arcivescovo erede di Martini ha parlato di immigrati e di un percorso per il rientro in una società ospitale per tutti “perchè la più grande etnia che fonda e spiega tutte le altre etnie particolari è quella umana”. In tempi di barbarie e razzismo è una lezione da meditare per la Milano rassegnata ai pogrom.

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La lezione di Moro: ora so cos’è la detenzione.

On line l’articolo di presentazione di Adriano Sofri del volume edito da Ediesse in collaborazione con la Società della Ragione “Contro l’ergastolo – Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona” curato da Franco Corleone e Stefano Anastasia. Da Repubblica del 23 dicembre 2009. Sul sito di fuoriluogo.it trovate la scheda di presentazione. Sul sito di Ediesse potete ordinare il libro

Sarebbe un buon segno se la sentenza di Perugia, dettata com’ è da una convinzione di colpevolezza, testimoniasse di una renitenza di fatto alla pena dell’ ergastolo. Quanto al diritto, probabilmente non siamo mai stati lontani come oggi dal ripudio della pena perpetua. A misurare la distanza che ci separa dai famigerati anni ‘ 70 può valere drammaticamente la rievocazione di una lezione accademica del 1976. Il professore era Aldo Moro. Quando, tanti anni fa, scrissi un libro su Moro, non potevo conoscere le Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale tenute nel 1976 nella facoltà romana di scienze politiche, raccolte da Francesco Tritto ed edite da Cacucci nel 2005. (Se ne tratta ora in Contro l’ ergastolo, a cura di S. Anastasia e F. Corleone, ed.Ediesse). Ne avrei fatto gran conto a proposito del rapporto fra Moro e il carcere, alla luce dei 55 giorni di “prigione del popolo”. Al buio di quei 55 giorni. Ero stato colpito un inciso in una lettera indirizzata a Cossiga: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». Moro lo insinua in un brano sulla possibilità di uno scambio fra l’ ostaggio inerme che lui è ora e qualche detenuto delle Brigate Rosse «Nella mia più sincera valutazione, e a prescindere dal mio caso, anche se doloroso, sono convinto che oggi esiste un interesse politico obiettivo… per praticare questa strada». A prescindere dal mio caso, dice. Anche rivolgendosi a chi è stato finora suo amico o seguace, deve adesso sorvegliarsi, non tradirsi: non chiamare in causa la propria sofferenza (solo la concessione pudica dell’ accenno, “anche se doloroso”). C’ è un intero mondo, fuori dalla sua segreta, pronto a espropriarlo delle sue parole e a leggervi la prova del suo cedimento. Vorrebbe dire l’ offesa della propria condizione, ma deve reprimersi: censurarsi per non essere censurato dai suoi carcerieri di dentro, e interdetto da amici di fuori. In questo sforzo di distanza scivola quella frase incidentale, io comincio a capire che cos’ è la detenzione. Eppure Moro aveva una fitta esperienza di carceri. In una biografia del 1969 si leggeva che «Come guardasigilli nel 1955-57… a che cosa dedica la sua maggior attenzione? Sorpresa. Alle carceri e ai carcerati, cui fa lunghe, lunghissime visite… Le sue esplorazioni in questo sottofondo della vita sociale italiana sono continue e minuziose. Vien voglia di chiedere a uno psicanalista quali potrebbero essere le motivazioni segrete della curiosa p r o p e n s i o n e per le galere e i galeotti che ha l ‘ u o m o c u i , non dimentic h i a m o l o , piacciono tanto le cravatte e i loro nodi». Più di vent’ anni dopo, l’ ex ministro della giustizia, minuzioso ispettore di carcerati, si trova sanguinosamente imprigionato, e scrive: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». In un’ altra lettera, una delle più ondeggiantie demoralizzate, Moro arriverà ad auspicare per sé la stessa prigionia che subiscono i detenuti brigatisti. «Ritengo invocare la umanitaria comprensione… /per/ una legge straordinaria del Parlamento, la quale mi conferisca lo status di detenuto in condizioni del tutto analoghe, anche come modalità di vitaa quelle proprie dei prigionieri politici delle Brigate Rosse…». Un’ invidia, un auspicio dell’ ora d’ aria, di “una prigione comune, per quanto severa”! «In una prigione comune, per quanto severa, io avrei delle migliori possibilità ambientali, qualche informazione ed istruzione, assistenza farmaceutica e medica ed un contatto, almeno saltuario, con la famiglia». In quelle lezioni sulla funzione della pena, tenute solo due anni prima, Moro insiste sull’ ancoraggio della pena all’ idea della persona dotata della libertà di scegliere e di essere responsabile. Moro parla del proprio tempo- siamo nel 1976- come di «un’ epoca in movimento verso grandi attuazioni di giustizia e di civiltà umana, un’ epoca nella quale l’ uomo è chiamato a dare prova di sé con le sue scelte coraggiose nel senso della giustizia, della libertà e della dignità umana». Anche il reato, dice, è un atto di libertà, benché sia l’ atto di libertà che conduce a una scelta negativa. Dunque la pena dev’ essere personale, e legale – non dettata dall’ arbitrio di chi giudica, ma dall’ universalità della legge-e proporzionata.E la Costituzione stabilisce che la pena non possa mai consistere in trattamenti crudeli e disumani. «Vuol dire – spiega – trattamenti, vuol dire interventi, vuol dire atti di incidenza del potere pubblico sulla persona, che vadano al di là della necessità di limitare la libertà umana». La pena «è privazione della libertà, ma è soltanto privazione della libertà, non più di questo: è soltanto privazione della libertà». Di qui l’ inaccettabilità della pena di morte: «Come si potrebbe ricondurre la pena capitale nell’ ambito di interventi che non siano crudeli e disumani…? Capisco bene- aggiunge Moro,e viene in mente il vecchio e sconvolto Ugo La Malfa che nel giorno del suo rapimento si alzerà alla Camera a rivendicare la pena di morte per gli attentatori – che vi possono essere dei momenti di accesa passione popolare di fronte ad alcuni fatti gravissimi… Ma il potere pubblico deve essere ben controllato, per non farsi condurre ad immaginare che la pena sia considerata come una vendetta… Questo dell’ assassinio legale è una vergogna inimmaginabile in un regime di democrazia sociale e politica…». Meno aspettato è il capitolo che segue nella lezione di Moro, dedicato alla “pena dell’ ergastolo”. «Un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato… anche nei confronti della pena perpetua: l’ ergastolo, che, priva com’ è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte ». Interrompiamo la citazione per osservare che questa convinzione, della disumanità dell’ ergastolo come della pena capitale contrasta radicalmente con le forme di ripudio della pena di morte che vogliono compensarlo con l’ inflessibilità della reclusione a vita -argomento prevalente negli Stati Uniti. Continua il professor Moro: «Ed è, appunto, in corso nel nostro ordinamento una riforma che tende a sostituire a questo fatto agghiacciante della pena perpetua – (“non finirà mai, finirà con la tua vita questa pena!”) – una lunga detenzione, se volete, una lunghissima detenzione, ma che non abbia le caratteristiche della pena perpetua che conduce ad identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà. Questo, capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano ». Qualunque cambiamento nella vita di una persona, compreso il pentimento vero -“com’ è pur possibile” – prosegue Moro, è irrilevante se la pena esaurisce la vita di quella persona. « Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggettoe lo libera, perlomeno, con il sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, caratteristica della pena perpetua. Quando si dice pena perpetua si dice una cosa… umanamente non accettabile ». Sarete impressionati dal Moro che enuncia questi concetti. Perfino eccessivi, in un certo senso, in questo finale argomentare – “forse” – la crudeltà maggiore dell’ ergastolo rispetto alla pena di morte: convinzione non di rado pronunciata da ergastolani e simbolicamente impressionante. Purché non si dimentichino le obiezioni dai suoi due versanti. Che se si chieda ai condannati a morte di scegliere fra l’ esecuzione e la pena perpetua, sarà una minoranza a scegliere l’ esecuzione. E che agli ergastolani che preferiscano la morte a quella loro vita dovrà restare pur sempre la scelta di togliersela, la vita. Ciascuno può misurare quanta strada sia stata fatta da allora, da quel 1976, a oggi, fine di decennio del nuovo millennio: all’ indietro. Non allegherò commenti di troppo facile effetto sulla contraddizione fra la lezione di Moro e il modo della sua privata esecuzione. Finirò con le righe conclusive della lezione: «Allora ci vediamo per la lezione di venerdì. Bisogna che mi diate i nomi perché ho dimenticato il libretto sul quale, poi, registrerò le presenze».

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Ortonese d’adozione

Immagine 35

Articolo di Lorenzo Seccia pubblicato da il Centro del 14 dicembre 2009

Corleone ortonese d’adozione

ORTONA. Franco Corleone, ex sottosegretario alla giustizia, diventa cittadino ortonese. E’ quanto ha sancito il consiglio comunale di Ortona riunito in seduta solenne al polo Eden. Un riconoscimento per l’impegno profuso in città negli anni in cui l’ex parlamentare del centrosinistra era il punto di riferimento del collegio di Ortona. Durante l’assemblea, hanno preso la parola il sindaco Nicola Fratino, il presidente del consiglio comunale Tommaso Cieri e i capigruppo del Pdl, del Pd e del gruppo misto. «Sono particolarmente contento del risultato raggiunto, quest’atto politico è molto importante perché proviene da un’amministrazione di centrodestra» ha detto il capogruppo del Pdl, Remo Di Martino , promotore dell’iniziativa, «bisogna sempre riconoscere i meriti degli avversari politici. Franco Corleone si è trovato spesso su posizioni diverse dalle mia, con idee che non ho condiviso, ma ho sempre riconosciuto e approvato il suo modo di portarle avanti con correttezza, aprendosi al confronto senza inutili scaramucce e attacchi personali». L’impegno di Corleone per Ortona è stato appassionato e concreto. Riuscì a trovare i fondi, con l’inconsueta formula delle giocate del Lotto, per progettare e poi portare a termine il restauro conservativo del castello Aragonese e contribuì alla realizzazione a Ortona della sede distaccata del tribunale di Chieti. «La prima volta che sono arrivato a Ortona risale a quindici anni fa, chi l’avrebbe mai detto che oggi ci saremmo rivisti in quest’occasione» ha commentato Corleone, «eravamo alla fine della prima repubblica e volevo fare una politica diversa, tutta da inventare, con l’ausilio di tanti ortonesi che si sono impegnati molto in vari progetti e con i quali conservo un bellissimo rapporto di stima e amicizia. Ripercorrendo velocemente la città», ha proseguito Corleone, «mi manca particolarmente la piazza principale dove ho fatto il mio primo comizio. Un luogo d’incontro, d’ascolto, di ricerca e progettazione. Mi piacerebbe che, nel prossimo futuro, Ortona diventasse realmente la città della cultura, della convivenza diversa e della convivialità». Dopo che l’assemblea ha deliberato la cittadinanza onoraria con un fragoroso applauso, Corleone ha ricevuto una pergamena che riporta la seguente motivazione: «per l’impegno profuso nella crescita culturale e sociale della città di Ortona».

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I miei articoli Le carceri Rassegna Stampa

Eliminiamo torture e trattamenti inumani

Le carceri oggi appaiono sempre più un campo di battaglia con morti e feriti e l’affermazione del diritto costituzionale alla salute rischia di risultare una vana proclamazione retorica rispetto alla durezza della realtà.
E’ indispensabile ricordarsi costantemente la ragione della lunga lotta per il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario pubblico.
Non si trattava di cambiare una targa o di passare dalla burocrazia corporativa a quella delle Asl, ma di rompere la logica autoreferenziale dell’istituzione totale e le connivenze ai danni dei diritti delle persone private della libertà.
Insomma dare priorità assoluta al valore della trasparenza rispetto ai vizi prodotti dall’ossessione securitaria.
Questo passaggio richiede un coraggio riformatore molto forte senza soggiacere a ricatti più o meno espliciti. La vicenda di Stefano Cucchi da questo punto di vista deve essere di monito. Il comportamento dei medici in ospedale e in particolare nel repartino bunker del “Pertini” è stato improntato a logiche non solo deontologicamente scorrette, ma contrarie ai principi di umanità e di rispetto dei diritti.
Il ricovero ospedaliero non può avere caratteristiche tali da limitare il diritto alla cura per il paziente e per il personale sanitario; di norma si dovrebbe prevedere una misura di incompatibilità con la detenzione per il tempo necessario.
Il carcere oggi non è il luogo che ospita solo la grande criminalità, infatti la gran massa di presenze è il frutto della dichiarazione di guerra alla droga e all’immigrazione clandestina, per cui si è trasformato in un ospedale da campo, in un lazzaretto in cui prevalgono tossicodipendenti, poveri ed emarginati.
Si tratta di un laboratorio del welfare degli ultimi, in cui occorre sperimentare modelli originali di intervento. Gli obiettivi della cartella clinica informatizzata e le campagne di screening delle patologie più delicate, devono essere accompagnate da misure di emergenza come l’adeguamento dei materassi allo standard di quelli degli ospedali civili e da cure odontoiatriche complete per tutti i detenuti.
Lo stile di lavoro dei medici dovrebbe riprendere la tradizione dei medici condotti del passato delle nostre campagne. Andare di cella in cella per individuare le condizioni di chi è depresso, isolato e non ha la forza di chiedere la visita. Occorre rompere la prassi per cui si deve fare la “domandina” per vedere il medico.
Soprattutto eliminando le pratiche di tortura o i trattamenti inumani e degradanti e soprattutto i suicidi e prevenendo l’autolesionismo che fa scorrere molto sangue nelle notti infernali.
Sarebbe un cambiamento copernicano.

Franco Corleone

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore – Sanità Toscana 1° dicembre 2009