Categorie
In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

Carcere, il non-luogo dove gli architetti sono stati banditi

CONVEGNO. «Cominciare a costruire le case partendo da coloro che le abiteranno». Con la prospettiva di istituti più umani, i tecnici hanno discusso a Roma sul tema “Architettura VS Edilizia”.
Dina Galano su Terra

ll carcere di Sollicciano è in via del Pantano, Firenze. Da malum situ deriva il nome del Maliseti, la casa circondariale di Prato. Simbologie, forse, ma molto della realtà penitenziaria richiama la supina ammissione dell’inappetibilità del sistema carcerario. In un convegno di due giorni che si è concluso ieri al Senato, il tema del senso della pena ha preso forma legandosi a doppia mandata a quello dell’architettura penitenziaria. Con il titolo “Architettura versus edilizia” la Società della ragione, in collaborazione con l’associazione Antigone, la Fondazione Michelucci e il Forum droghe, ha tentato di guidare la riflessione all’interno degli spazi chiusi delle prigioni. Con l’auspicio di superarli.

I corpi
Le carceri sono sovraffollate, lo si ripete da tempo. Il già procuratore di Venezia Vittorio Borraccetti lo ha ricordato ieri: 48.693 persone alla fine del 2007, 64.971 al 31 dicembre 2009. Oggi siamo quasi a quota 70mila. Circa un terzo di essi, ha conteggiato il magistrato, sconta un massimo di 10 giorni. Arrestati in flagranza di reato o sottoposti a misura cautelare, il 30 per cento dei detenuti passa attraverso una porta girevole. «Il nostro ordinamento prevede già delle norme che possono impedire l’ingresso in carcere», ha ammonito Borraccetti. «Bisogna tuttavia convincere le forze di polizia e i pubblici ministeri ad applicarle». Quando a parlare è un detenuto d’eccezione, Adriano Sofri, subito si offre l’immagine della piccola cella che lo ha ospitato per nove anni a Pisa dove oggi vivono in tre. Dietro l’ammassamento in spazi ridottissimi, secondo il professore di filosofia del diritto Eligio Resta, riposa «l’idea dell’economia politica dei corpi». Non l’esercizio di un controllo sul delinquente, ma di un «biopotere sul corpo». Ed ecco che la privazione di esigenze primarie finiscono per aggiungere sofferenza alla pena, attentando alla dignità dell’uomo che, ha spiegato il filosofo, «non solo costituisce il punto di riferimento del Costituzionalismo moderno, ma significa il diritto a non essere sottoposti a sofferenze gratuite in cui non è possibile riconoscersi come essere umani». Il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone ricorda i numeri della sua Toscana: nel 2009, 2.318 “eventi critici”, di cui 9 decessi, 8 suicidi, 155 fermi al tentativo e 974 casi di autolesionismo.

Gli spazi
«L’edilizia penitenziaria non si studia nelle scuole di architettura», ha denunciato Cesare Burdese, architetto torinese autore di molti progetti per i servizi ai detenuti. Ciò che è contenuto nei capitolati del ministero della Giustizia è «tanto preciso per quanto riguarda celle, finestre e altri spazi di sicurezza», ha continuato il collega Corrado Marcetti, direttore della Fondazione Michelucci, «quanto del tutto disinteressato agli ambienti per la socialità, i colloqui, il lavoro». Quest’ultimi diventati una rarità perché, a causa della crescita della popolazione detenuta, si è realizzata «un’iperintensificazione delle carceri già esistenti, con nuovi padiglioni aggiunti all’interno dei recinti già esistenti». L’atmosfera di soffocamento che si respira anche fuori, ha segnalato l’architetto Scarcella, tecnico del ministero, ha fatto assomigliare il carcere «alla gabbia per il leone o al forno per il coniglio».  Se lo spazio ha una funzione ideologica e simbolica, il presidente del Comitato europeo contro la tortura Mauro Palma lo definisce «infantilizzante», il non-luogo dove il detenuto «viene fatto regredire». Nessuno spazio per l’affettività, come ha denunciato la psicologa Grazia Zuffa di Fuoriluogo, nessun rispetto per l’autonoma deliberazione della persona. Il carcere sembra obbligato per legge ad essere un luogo brutto e disumano. Con la frustrazione dei tecnici che, lavorando per anni a un progetto, non sono interpellati quando la struttura viene modificata. Tutto molto lontano da quello che insegnava Michelucci: «Commissionatemi la progettazione di una città», rispondeva a chi chiedeva di costruire un penitenziario.

I modelli
Lo schema oggi imperante è quello del «carcere più lontano», non solo separato dalla città ma più isolato, nella periferia, presso gli snodi stradali (porti e autostrade). La «periferizzazione», ha spiegato Marcetti, è iniziata «a fine ‘800 e si è consolidata nel ‘900 per motivi di tipo igienico-sanitario e affinché l’istituto fosse separato dal tribunale». Questa delocalizzazione si sta spingendo perfino al subappalto della questione detentiva ad altri Paesi, come la Libia per esempio. Negli anni Settanta, alla vigilia della riforma del 1975 che ha innovando l’ordinamento penitenziario aprendo ad alternative alla reclusione, nascono le carceri nuove: la moderna architettura tenta il superamento del carcere a ballatoio, dei corridoi dritti, della rigidità degli schemi in genere. Sergio Lenci, il gruppo Mariotti, Giovanni Michelucci, Mario Ridolfi hanno segnato una stagione dell’architettura penitenziaria che Scarcella ha definito «irripetibile». Quel modello che aveva spinto a cambiare anche il materiale di realizzazione, tuttavia, si è scontrato con la storia d’Italia. Il “carcere della speranza” ha lasciato il posto alle esigenze degli anni della Tensione, degli inasprimenti sanzionatori, dell’emergenza terroristica e del carcere duro. Dal 1977 in poi sono venuti alla luce circa 80 strutture «tutte uguali, fatte con il timbro, in luoghi isolati che di notte sono allarmanti», ha polemizzato Marcetti. Il tentativo di costruire spazi di cerniera con la società libera è definitivamente tramontato. E quel timore diffuso nell’opinione pubblica, così come la mano forte dello Stato nel gestire l’emergenza, rischiano di tornare ad essere attuali.


Il Piano
E’ il 29 giugno 2010 quando il Piano per l’edilizia penitenziaria viene definitivamente vistato. Ma, ha pronosticato la senatrice Pd Anna Finocchiaro, «prima di tre anni non ne vedremo niente», soprattutto perché «nella legge di stabilità non c’è alcuna copertura per la sua realizzazione». Nella sua storia, il progetto edilizio proposto da Alfano ha attraversato molte tappe: commissariamento ad hoc, adozione di un programma di interventi, la dichiarazione dello stato di emergenza e il piano  edilizio completo. A quasi due anni dal primo annuncio, ha spiegato il difensore civico dei detenuti Stefano Anastasia nella sua relazione, il progetto finale ha subito «un sensibile ridimensionamento». Degli oltre 17mila posti promessi nella prima versione, amplificati a 22mila nella seconda, ecco che la terza formulazione è davvero più modesta: 9.150 posti detentivi da realizzare, finanziati con i 610 milioni di euro di cui sin dalle origini si era assicurata la disponibilità. «In tutto questo tempo il governo non ha trovato altri fondi», ha sottolineato il ricercatore, lasciando l’uditorio con questa domanda: «Quale idea insiste dietro un indirizzo politico irrealizzabile e fallimentare rispetto allo scopo prefisso?». Perché è certo, le nuove 11 carceri e i 20 padiglioni in ampliamento di istituti esistenti non riusciranno ad arginare il sovraffollamento delle strutture, che corre al tasso del 152 per cento.

Categorie
In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

La famiglia Cucchi, una come tante

La famiglia Cucchi, una come tante

La sorella del ragazzo morto nell’ottobre 2009 ha presentato in città “Vorrei dirti che non eri solo”

Venerdì sera presso la Sala della musica dell’ex convento di San Paolo, Ilaria Cucchi ha presentato il libro scritto con Giovanni Bianconi “Vorrei dirti che non eri solo”. Ad aprire la presentazione è stato il vicesindaco Massimo Maisto con un breve saluto ai presenti.

A un anno dalla scomparsa di Stefano Cucchi, la sorella Ilaria racconta la storia di una famiglia italiana come tante, con le debolezze e i difficili rapporti con un ragazzo che a periodi entra ed esce dal tunnel della droga.
Un libro toccante che non nasconde nulla, ricco di unicità, ma che richiama un tema purtroppo comune a molte famiglie, come ha sottolineato Franco Corleone, presidente della Società della Ragione Onlus e Garante per i diritti dei detenuti.

La presentazione di Ilaria Cucchi, breve e spontanea, ha messo in luce una totale consapevolezza della “difficile situazione” del fratello che era “alla continua ricerca della propria libertà”; e il titolo stesso del libro “è la dimostrazione di come la sua famiglia provi tutt’oggi un senso di colpa per quei sei giorni in cui Stefano restò in carcere, abbandonato”.

Durante il suo intervento Corleone ha richiamato inoltre l’attenzione al problema del “pregiudizio verso la tossicodipendenza, come causa scatenante di queste tragedie, in cui spesso i ragazzi coinvolti, da vittime diventano colpevoli della propria morte, perché considerati cittadini non a pieno titolo in quanto tossicodipendenti”.

Questo tema è emerso anche nell’intervento di Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi, ormai diventata supporto morale da cui Ilaria trae forza e tenacia per arrivare alla verità. Due donne che vogliono semplicemente capire la verità, non per vendetta ma per denunciare le loro storie, decidendo anche di pubblicare foto forti e scioccanti, per svegliare le coscienze e fare in modo che non accada nuovamente.

Alla presentazione è intervenuto anche l’avvocato ferrarese Fabio Anselmo, che dopo aver difeso la famiglia Aldrovandi è stato scelto quale legale anche dalla famiglia Cucchi. Secondo Anselmo il sistema giudiziario che governa questi casi è “minato da un problema culturale presente nelle istituzioni, che troppo spesso davanti a queste situazioni si “chiudono a riccio” cercando di salvaguardare l’immagine a difesa di chi viene processato, spesso interferendo nel processo e creando un disagio psicologico alle famiglie delle vittime”.

Categorie
Le carceri Rassegna Stampa

Il lungo calvario di Ilaria Cucchi

Il lungo calvario di Ilaria Cucchi

La sorella di Stefano, morto mentre era in stato di arresto, ha presentato il suo libro a Ferrara

Da La Nuova Ferrara del 5 dicembre 2010.

«Il libro di Ilaria racconta di una famiglia italiana, delle difficoltà dei rapporti, dell’amore e della cura: non è un libro di denuncia ma c’è la cronaca di un calvario lungo sei giorni durante i quali la famiglia di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma mentre era in stato d’arresto, si è trovata abbandonata e poi maltrattata dalle istituzioni, quelle stesse istituzioni nelle quali avevano nutrito fiducia».

Con queste parole Franco Corleone, presidente della Società Ragione e Garante dei Diritti dei detenuti, ha presentato venerdì sera presso la Sala della Musica il libro “Vorrei dirti che non eri solo” di Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi, edito da Rizzoli.

«Il primo problema che la mia famiglia si è trovata ad affrontare è stato la mancanza di verità. Abbiamo saputo della sua morte grazie alla notifica del decreto del giudice che aveva richiesto l’autopsia del cadavere dopo giorni di attesa fuori la porta dell’ospedale, dove i medici ci rassicuravano dicendoci che Stefano era tranquillo – ha spigato la Cucchi -. Lui sapeva che nelle difficoltà avrebbe potuto sempre contare su di noi ed invece in quei giorni avrà pensato che l’avevamo abbandonato, questo ci dà ancora più dolore ed alimenta la nostra rabbia. Chi ha il diritto di decidere che una persona debba essere improvvisamente privata dei suoi diritti civili e debba morire da solo, ucciso dal pregiudizio di chi lo ha etichettato come un tossicodipendente? Io sono stata fortunata, ho trovato delle persone intorno a me che hanno saputo indirizzarmi, come Patrizia Moretti, che mi hanno sostenuto fino ad ora. Quando ci hanno fatto vedere il cadavere di mio fratello in una teca di vetro, senza poterlo neanche accarezzare, abbiamo capito che solo la verità avrebbe restituito dignità a Stefano e un po’ di pace a noi».

Di pregiudizio hanno parlato anche Patrizia Moretti e l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. «Il prezzo che queste persone stanno pagando è troppo alto perchè sia accettato da una società civile – ha affermato Anselmo -. Se la legge è uguale per tutti, i rappresentanti delle istituzioni, che indossino o meno la divisa e che vengono accusati di avere approfittato del loro potere devono essere spogliati di quest’ultimo e posti a giudizio quali cittadini, sullo stesso piano delle proprie vittime. Invece, di fronte a tragedie come queste, le istituzioni si chiudono a riccio a protezione della propria immagine e si schierano a fianco dei propri operatori e non di tutti i cittadini. Il perpretarsi di questa cultura di impunità del potere è inaccettabile perché, cullata dai media e sospinta dalla pubblica opinione, partorisce i casi Cucchi ed Aldrovandi. La denuncia è l’unico mezzo per cambiare questa mentalità ma lo Stato chiede trasparenza ai cittadini e poi non è in grado di assicurarla agli stessi: il pm e il giudice che hanno interrogato Stefano Cucchi hanno dichiarato di non aver notato lo stato di salute del ragazzo per non averlo mai guardato in faccia».

Scarica l’articolo in forma to pdf: nuovaferrara4dic2010.pdf.

Categorie
In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

Opg di Montelupo il pm indaga sulle morti

Il pm di Firenze Giuseppe Bianco ha disposto l’acquisizione dei dati relativi ai decessi dei pazienti dell’ospedale psichiatrico detenuti fra il 2005 e il 2010. All’esame del pubblico ministero anche esposti relativi a maltrattamenti

Da Repubblica Firenze, di FRANCA SELVATICI

Il pm di Firenze Giuseppe Bianco, titolare con il procuratore Giuseppe Quattrocchi del fascicolo di inchiesta sull’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo Fiorentino, ha disposto l’acquisizione dei dati relativi ai decessi dei pazienti detenuti fra il 2005 e il 2010. Per ricostruire la situazione dell’Opg, il magistrato ha chiesto notizie al Provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria e al Centro regionale Salute in carcere diretto dal professor Giraudo, che ha già mandato diverse relazioni. All’esame del pm anche esposti di pazienti che hanno denunciato maltrattamenti al garante dei detenuti Franco Corleone.

L’indagine è stata aperta in seguito alla segnalazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla efficienza del Sistema Sanitario Nazionale, presieduta dal senatore del Pd Ignazio Marino, che ha compiuto un primo sopralluogo a sorpresa nell’Opg il 22 luglio scorso, e che ha eseguito un nuovo controllo ispettivo il 21 novembre, esaminando anche la gestione dei farmaci. Durante la prima visita ispettiva, i parlamentari, accompagnati dai carabinieri del Nas, hanno trovato una situazione strutturale molto grave: reparti fatiscenti, servizi igienici in pessime condizioni, un drammatico sovraffollamento. “L’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo è una struttura da chiudere”, dichiarò il senatore Marino.

Nel corso di alcune audizioni in commissione, il direttore sanitario della Asl di Empoli Enrico Roccato, il direttore sanitario dell’Opg Franco Scarpa e lo psichiatra Luca Bigalli, che lavora nell’ospedale, hanno illustrato le difficoltà incontrate quotidianamente per provvedere e possibilmente curare circa 170 malati di mente autori di reati talvolta anche assai gravi. Chiudere Montelupo e trasferire i malati a Solliccianino, come è stato ipotizzato, sarebbe probabilmente una scelta giusta, resa però estremamente difficile dal sovraffollamento carcerario.

Categorie
In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

Sollicciano. Una situazione surreale

Siamo di fronte a una situazione surreale. La riunione prevista da tempo con le associazioni di volontariato e la  Direzione del Carcere, è stata disertata dai responsabili dell’Amministrazione Penitenziaria.

Il Direttore di Sollicciano, dott. Oreste Cacurri è stato collocato in ferie  forzate per 45 giorni per il rispetto di circolari burocratiche, in un momento così grave per il carcere. E’ stato presente alla riunione il dott. Francesco Salemi, commissario responsabile della Polizia Penitenziaria, che però non aveva deleghe per assumere impegni sulle richieste contenute nel “piano” per il carcere, illustrato ieri in conferenza stampa e frutto di un lavoro collettivo di chi opera nel carcere per impegno civile.

Sono preoccupato che in un momento di così grave emergenza il carcere di Sollicciano sia decapitato per la mancanza di un direttore.

L’impegno mio e delle associazioni presenti è di avere comunque l’indicazione di chi è l’interlocutore da qui alla fine dell’anno.

Certo il 2011 si annuncia non certamente bene.

Categorie
Rassegna Stampa

Md a Congresso, che cosa aspettarsi?

Lettera Aperta pubblicata su Il Manifesto del 29 ottobre 2010.

Magistratura Democratica è stata per tutti noi un punto di riferimento, fin dagli anni in cui la giustizia era “di classe” e una delle risposte erano le “contro inaugurazioni” dell’anno giudiziario.

Quella di Md è una storia non di pura testimonianza ma di protagonismo, basta ricordare in anni lontani la raccolta delle firme per un referendum contro i reati d’opinione e per l’abolizione dell’ergastolo e, più recentemente, l’impegno contro la legge Iervolino-Vassalli sulle droghe (e per il referendum che ne cancellò le norme più odiose e proibizioniste) e contro la legislazione punitiva nei confronti dei migranti costretti alla clandestinità, ai Centri di espulsione e a riempire le nostre galere.

Dall’inizio degli anni Novanta sulla giustizia si è aperta una lunga partita con un conflitto duro e aspro con la politica. Ora lo scontro rischia di coinvolgere la Costituzione e la democrazia, i fondamenti cioè della Repubblica. Sono stati anni pieni di contraddizioni al termine dei quali il bilancio non è certo esaltante. Il garantismo a sinistra è visto con sospetto, il diritto penale minimo è soverchiato dal ritorno delle norme-manifesto e di un diritto penale onnicomprensivo.

In Parlamento sono state cancellate con una vera e propria pulizia etnica tutte le voci del pensiero critico. Le leggi criminogene sulle droghe e sull’immigrazione sono tra le ragioni della crisi della giustizia con il risultato di riempire le carceri di incapaci di difendersi e criminalizzate per il loro status più che per le loro azioni. La demagogia sulla certezza della pena sembra avere conquistato il senso comune. Le leggi a favore dei potenti sono l’altra faccia di un potere arrogante e senza pudore.

Che fare? Noi ci spettiamo una analisi rigorosa che ribadisca i principi della ragione e della libertà, respingendo le sirene del giustizialismo. Occorre parlare al Paese, alzando la bandiera della riforma della giustizia come battaglia di civiltà e di umanità. Ci aspettiamo che MD rifiuti la logica e il sospetto di una difesa corporativa e anzi si dissoci dai comportamenti liberticidi di molti giudici che, ad esempio, nell’applicazione della legge sulle droghe ne esasperano le previsioni già duramente repressive. Occorre denunciare che i tempi lunghi del processo sono causati da chi ha approvato leggi propagandistiche sull’onda dell’ossessione securitaria, incurante dei loro effetti anche sul funzionamento della giustizia.

Insomma noi speriamo in un congresso che non si eserciti ad approfondire le divisioni, come capita sempre alla sinistra nei momenti di crisi, ma trovi la via per riprendere l’egemonia su una questione fondamentale per la vita dei cittadini ed essenziale per la società.

Firmatari: Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Eligio Resta, Tamar Pich, Grazia Zuffa, Stefano Anastasia, Franco Corleone, Mauro Palma, Luigi Ferrajoli, Sandro Margara, Giuliano Pisapia, Stefano Rodotà, Luigi Ciotti, Rossana Rossanda, Giuseppe Di Lello, Luigi Manconi, Patrizio Gonnella

Categorie
In Primo Piano Le droghe Rassegna Stampa

Ordinanza antidroga: “Provvedimento sgangherato, getta il ridicolo sulla città”

Ordinanza antidroga: “Provvedimento sgangherato, getta il ridicolo sulla città”
Duro attacco di Franco Corleone, segretario del Forum droghe, contro la misura voluta dal sindaco, bollata come “propaganda”. Hassan Bassi: “Dopo Bonsu è il caso di affidare ai vigili un tema delicato come questo?”
di RAFFAELE CASTAGNO

Franco Corleone, già sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001, promotore di diverse leggi per il miglioramento della condizioni dei detenuti negli istituti di pena non fa sconti alla discussa ordinanza emanata dal sindaco Pietro Vignali per contrastare lo spaccio (LEGGI). Il segretario del Forum droghe, alla conferenza stampa indetta dai Verdi, parte subito all’attacco: “E’ tempo di fare qualcosa, perché l’ignoranza si è diffusa in questa città. I cittadini dovrebbero sentirsi offesi da un’ordinanza fatta per fare propaganda. Fare immaginare che si risolvano problemi complessi con frasi fatte è pericoloso”.
Corleone è entrato nel merito del provvedimento, che definisce “sgangherato, anche in rapporto al decreto Maroni”. A suo giudizio la misure volute dal ministro dell’Interno prevedono che il sindaco possa intervenire e contrastare situazioni di degrado urbano che possono favorire fenomeni criminali. Secondo Corleone non è in alcun modo sanzionabile il consumo. Anche il prefetto, nella conferenza stampa di venerdì 17, dove è stato illustrato il provvedimento, aveva parlato di rimodulare l’ordinanza in questo senso (LEGGI ).

Sanzioni che per altro sono già previste dalla legge n.309 (la Giovanardi) “la più severa d’Europa” dice Corleone, che già contempla reati penali e ammende per chi spaccia, con pene da 6 a 20 anni di reclusione per i casi più gravi, e da 1 a 6 nelle circostanze più lievi. La legge però non prevede multe per chi consuma, bensì sanzioni amministrative, quali il ritiro della patente, del passaporto, e nel caso di soggetti recidivi, obbligo di firma in caserma.
I dubbi investono anche l’effettiva applicabilità della norma, nonché il ruolo della municipale. Hassan Bassi, del Forum droghe, si chiede “se dopo il caso Bonsu sia il caso di affidare ai vigili un tema così delicato”, mentre Corleone fa notare che gli agenti potranno fare ben poco. “Se si ha a che fare con uno spacciatore con un chilo di eroina, bisogna avvertire la polizia. Per un ragazzo che fuma uno spinello i vigili possono intervenire, ma devono segnalare al prefetto, che potrà procedere alla sanzione dopo i controlli tossicologici sulla sostanza. Se si metterà in atto questa demenziale ordinanza – continua – la municipale per fare multe dovrà comunque dotarsi di attrezzature adeguate, per appurare di che sostanza si tratti”. Ma c’è anche un altro problema, visto che già esiste una legge nazionale: “Le doppie sanzioni non sono possibili. Il provvedimento contrasta con la legge in vigore che non prevede multe per chi consuma. Non si capisce che cosa dovrebbe fare la municipale. Immaginate se i giovani si mettono a spacciare tè verde od origano per scherzo”.

Corleone riconosce la pericolosità delle sostanze stupefacenti: “Non sono innocue, ma una politica di repressione danneggia più dell’uso delle stesse”. L’ex sottosegretario ripete spesso un termine: serietà. “Qui – afferma – siamo alla farsa, alla pseudo città etica, che poi parlare di Parma come città etica fa ridere. Si spacciano per verità cose che non sono tali, figlie di uno scientismo di quart’ordine”. La questione dell’abuso di droga va affrontato con seminari di studi e lavoro, da attivarsi a livello regionale a cominciare dal problema delle carceri, sovraffollate proprio da reati legati al piccolo spaccio. Bisogna puntare sulla riduzione del rischio. Suggerimenti accolti dalla consigliera regionale dei Verdi Gabriella Meo, che si impegnerà in Regione per mantenere alta l’attenzione sul tema. “L’ordinanza – conclude Corleone – contrariamente a quanto enuncia, divide la città, perché stigmatizzando i giovani la spacca. Un provvedimento che getta il ridicolo sulla figura del sindaco e su Parma”.

(Da Repubblica.it Parma.)

Categorie
In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

I ‘tagli alla scuola’ aboliscono cinque classi a Sollicciano

Per Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti di Firenze, ”il taglio è l’ultimo sfregio. La situazione può risolversi con poco: gli insegnanti sono pagati dalle scuole e non sono neppure precari”

Firenze, 14 settembre 2010 – Anche i detenuti di Sollicciano sono al centro dei problemi causati dai ‘tagli alla scuola’. Infatti, rispetto allo scorso anno, non sono state riattivate 5 classi secondarie di secondo grado: l’unica è una quinta. Il taglio riguarda un centinaio di detenuti che non potranno più accedere alle classi. La situazione è stata illustrata in una conferenza stampa nel penitenziario, alla presenza del direttore di Sollicciano, Oreste Cacurri.

Lo scorso anno tra i corsi della scuola primaria (a Sollicciano e all’istituto ‘Gozzini’), l’istruzione secondaria di primo grado (due classi nel 2009, di cui una tagliata nel 2010) e le superiori sono stati coinvolti 560 detenuti e due persone, un uomo e una donna (la prima a Sollicciano), si sono anche diplomate. ”Il Governo taglia 3 miliardi in tre anni – ha detto Rosa De Pasquale, parlamentare del Pd -, ma lascia il coltello in mano a chi amministra l’istruzione in modo periferico”. Per Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti di Firenze, ”il taglio è l’ultimo sfregio. La situazione può risolversi con poco: gli insegnanti sono pagati dalle scuole e non sono neppure precari”.

Il direttore Cacurri dichiara di essere ”preoccupato dei tagli alle classi dell’istituto penitenziario” e della situazione, che influisce anche sulla sicurezza. Venerdì ci sarà un incontro con l’Ufficio scolastico regionale. ”La Provincia – ha detto
l’assessore provinciale Giovanni Di Fede – è disponibile ad accogliere richieste per materiali e strumenti per la scuola”.

Sollicciano è sovraffollato, più di 1.000 i detenuti
”Ieri i detenuti erano 1013, oggi siamo sulla stessa cifra. Da tempo ormai superiamo le mille unità, con problemi molto seri anche per quanto attiene la carenza di personale”. Questa la dichiarazione del direttore del carcere a margine dell’incontro sul taglio delle classi scolastiche all’interno dell’istituto. La capienza regolamentare del penitenziario è di 476 detenuti.

”Il personale qui fa sforzi sovrumani – ha aggiunto Cacurri -. Il sovraffollamento è certamente una questione di carattere nazionale e va risolto: non dipende da questo o da quell’altro Governo, ormai dura da tempo, da anni”. Franco Corleone in merito alla possibilità di intraprendere uno sciopero della fame per denunciare il sovraffollamento, ha spiegato: ”Sto valutando cosa fare perché la situazione è fuori controllo, è drammatica. Il mio appello è di far uscire al più presto un numero significativo di tossicodipendenti e pensare anche a misure alternative, magari per quelle persone che sono all’ultimo mese di detenzione. La situazione è esplosiva – ha concluso – e occorrono interventi straordinari: tutti pensano che non sia grave perché non ci sono state ancora proteste”.
Da la Nazione.

Categorie
Le carceri Rassegna Stampa

A Sollicciano 5 classi meno

Fra proteste e tagli la scuola comincia nel caos. Se questo e’ vero per tutti gli istituti e’ ancor piu’ vero per le carcere ed in particolare a Sollicciano. ‘Si penalizzano i carcerati per cui la scuola non e’ solo uno strumento di istruzione, ma anche una maniera per reinserirsi nella societa’ – denuncia Giovanni Di Fede, assessore all’istruzione della Provincia di Firenze -, basti pensare che a Sollicciano ci sara’ solo una quinta superiore a causa dei tagli’. Il grido di allarme di Di Fede e’ stato sostenuto, nel corso di una conferenza stampa, anche da Franco Corleone, garante per i detenuti del Comune di Firenze e dallo stesso direttore del penitenziario Oreste Cacurri. ‘Rispetto allo scorso anno, non sono state riattivate 5 classi secondarie di secondo grado ha detto Cacurri – l’unica e’ una quinta. Il taglio riguarda un centinaio di detenuti’. Lo scorso anno tra i corsi della scuola primaria (a Sollicciano e all’istituto ‘Gozzini’), l’istruzione secondaria di primo grado (due classi nel 2009, di cui una tagliata nel 2010) e le superiori sono stati coinvolti 560 detenuti, con anche due diplomati, un uomo e una donna (la prima a Sollicciano). Per Franco Corleone ”il taglio e’ l’ultimo sfregio. La situazione puo’ risolversi con poco: gli insegnanti sono pagati dalle scuole e non sono neppure precari”. Il direttore Cacurri si e’ poi detto ”preoccupato dei tagli alle classi dell’istituto penitenziario” e della situazione, che influisce anche sulla sicurezza. Venerdi’ ci sara’ un incontro con l’Ufficio scolastico regionale. ”La Provincia – ha detto l’assessore provinciale Giovanni Di Fede – e’ disponibile ad accogliere richieste per materiali e strumenti per la scuola.
(da ToscanaTV)

Categorie
Le droghe Rassegna Stampa

«Il vento è cambiato»

INTERVISTA. Franco Corleone di Forum droghe ed ex sottosegretario alla Giustizia col governo Prodi, nel 1998 presentò una proposta di legge antiproibizionista che venne firmata anche da Roberto Maroni.

Nel marzo 1997 alla seconda conferenza nazionale sulle droghe di Napoli per la prima volta si parlò di una completa depenalizzazione dell’uso personale, del consumo di gruppo e della coltivazione domestica di cannabis. Franco Corleone, oggi alla guida dell’associazione Forum Droghe ma all’epoca sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi, presentò alla Camera una proposta di legge per legalizzare la cannabis, sottoscritta da ben 125 parlamentari, compreso l’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il centrosinistra quando nel 2006 tornò al governo con l’Unione nel suo programma si era impegnato ad abrogare la Fini-Giovanardi, cancellando le sanzioni per i consumatori. Infatti il 28 aprile 2006 quella proposta di legge venne ripresentata alla Camera, sottoscritta da vari deputati dei partiti del centrosinistra, ma non si riuscì ad approvare.

In Italia verranno mai depenalizzate le droghe leggere?
Il nostro Paese ha avuto diversi movimenti, a seconda delle varie stagioni politiche. In alcuni momenti siamo arrivati vicini alla legalizzazione, soprattutto alla presentazione della mia proposta di legge, la più sottoscritta. Poi le opinioni sono cambiate. Ora il clima si è però rovesciato. Servirebbe un movimento autorevole per spingere in questa direzione. A Milano un giudice ha recentemente assolto un giovane che in casa coltivava sette piante di marijuana. Una sentenza importante e coraggiosa, perché spiega che quella domestica non può essere equiparata alle coltivazioni industriali.

Quale dovrebbe essere il nostro punto d’arrivo?
L’Italia deve depenalizzazione tutte le sostanze. Per poi legalizzare e regolamentare, con diversi regimi, le varie droghe. Anche perché le galere sono piene di tossicodipendenti, arrestati per piccolo spaccio o consumo. Il problema è solo politico.

E nel resto del mondo?
Il modello olandese resta molto valido. Contrariamente a quello che molti proibizionisti dicono, il livello di consumo ad Amsterdam è inferiore a Paesi o città dove c’è una forte proibizione o sanzioni elevate. Perché la legalizzazione normalizza il consumo e lo smitizza. In Svezia come a San Francisco. Infatti anche negli Stati Uniti si sta muovendo qualcosa e importanti economisti suggeriscono la regolamentazione, attraverso la tassazione. Tanto che in California ora si terrà un referendum sulla canapa, proprio per aumentare gli introiti fiscali. Se vincerà il sì lo scenario nel Nord America e forse anche in Europa cambierà notevolmente. Anche in Sudamerica la Democracy and drug democracy, presieduta dai presidenti di tre Paesi (Colombia, Messico e Brasile), vuole mettere fine alla guerra alla droga e legalizzare le varie sostanze in modo differenziato. Anche per fermare la repressione dei contadini che coltivano le piante di coca. Intorno a noi ci sono molte realtà in movimento. Molti Paesi europei ora ad esempio consentono di fatto la coltivazione della canapa per uso personale oppure incentivano politiche di riduzione del danno e del rischio, a differenza dell’Italia.

Alessandro De Pascale