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Il lungo calvario di Ilaria Cucchi

Il lungo calvario di Ilaria Cucchi

La sorella di Stefano, morto mentre era in stato di arresto, ha presentato il suo libro a Ferrara

Da La Nuova Ferrara del 5 dicembre 2010.

«Il libro di Ilaria racconta di una famiglia italiana, delle difficoltà dei rapporti, dell’amore e della cura: non è un libro di denuncia ma c’è la cronaca di un calvario lungo sei giorni durante i quali la famiglia di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma mentre era in stato d’arresto, si è trovata abbandonata e poi maltrattata dalle istituzioni, quelle stesse istituzioni nelle quali avevano nutrito fiducia».

Con queste parole Franco Corleone, presidente della Società Ragione e Garante dei Diritti dei detenuti, ha presentato venerdì sera presso la Sala della Musica il libro “Vorrei dirti che non eri solo” di Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi, edito da Rizzoli.

«Il primo problema che la mia famiglia si è trovata ad affrontare è stato la mancanza di verità. Abbiamo saputo della sua morte grazie alla notifica del decreto del giudice che aveva richiesto l’autopsia del cadavere dopo giorni di attesa fuori la porta dell’ospedale, dove i medici ci rassicuravano dicendoci che Stefano era tranquillo – ha spigato la Cucchi -. Lui sapeva che nelle difficoltà avrebbe potuto sempre contare su di noi ed invece in quei giorni avrà pensato che l’avevamo abbandonato, questo ci dà ancora più dolore ed alimenta la nostra rabbia. Chi ha il diritto di decidere che una persona debba essere improvvisamente privata dei suoi diritti civili e debba morire da solo, ucciso dal pregiudizio di chi lo ha etichettato come un tossicodipendente? Io sono stata fortunata, ho trovato delle persone intorno a me che hanno saputo indirizzarmi, come Patrizia Moretti, che mi hanno sostenuto fino ad ora. Quando ci hanno fatto vedere il cadavere di mio fratello in una teca di vetro, senza poterlo neanche accarezzare, abbiamo capito che solo la verità avrebbe restituito dignità a Stefano e un po’ di pace a noi».

Di pregiudizio hanno parlato anche Patrizia Moretti e l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. «Il prezzo che queste persone stanno pagando è troppo alto perchè sia accettato da una società civile – ha affermato Anselmo -. Se la legge è uguale per tutti, i rappresentanti delle istituzioni, che indossino o meno la divisa e che vengono accusati di avere approfittato del loro potere devono essere spogliati di quest’ultimo e posti a giudizio quali cittadini, sullo stesso piano delle proprie vittime. Invece, di fronte a tragedie come queste, le istituzioni si chiudono a riccio a protezione della propria immagine e si schierano a fianco dei propri operatori e non di tutti i cittadini. Il perpretarsi di questa cultura di impunità del potere è inaccettabile perché, cullata dai media e sospinta dalla pubblica opinione, partorisce i casi Cucchi ed Aldrovandi. La denuncia è l’unico mezzo per cambiare questa mentalità ma lo Stato chiede trasparenza ai cittadini e poi non è in grado di assicurarla agli stessi: il pm e il giudice che hanno interrogato Stefano Cucchi hanno dichiarato di non aver notato lo stato di salute del ragazzo per non averlo mai guardato in faccia».

Scarica l’articolo in forma to pdf: nuovaferrara4dic2010.pdf.

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