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In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

Il Presidente Napolitano ha ricevuto una delegazione dei firmatari dell’appello sul tema della giustizia

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina al Quirinale una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori, accademici e giuristi, della lettera aperta sul tema dell’efficienza della giustizia e della realtà carceraria guidata dal prof. Andrea Pugiotto, estensore e primo firmatario dell’appello, e formata dai professori Francesco Di Donato, Fulco Lanchester, Renzo Orlandi, Tullio Padovani, Marco Ruotolo, Vladimiro Zagrebelsky, e Franco Corleone.
Hanno partecipato all’incontro il Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Sabato Malinconico, e il Capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino.

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Le droghe Rassegna Stampa

Cannabis, più sequestri ma meno denunciati

Calano le operazioni, calano le denunce, ma sono in aumento le persone che vengono “pizzicate” a coltivare piante di cannabis. A Udine nel 2011 le operazioni anti-droga sono state 89, con un calo rispetto al 2011 del 14%. Le persone segnalate all’autorità giudiziaria sono state 150, con una diminuzione rispetto all’anno precedente di quasi il 43%. In aumento, invece, i sequestri di piante: 748 in tutta la regione. E’ stato presentato ieri il “Terzo libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi”, a cura dell’associazione “Fuoriluogo”, per dimostrare, come spiegato dai relatori, che la normativa introdotta 6 anni fa «è stata un fallimento». «In questi anni in tutta Italia – ha detto il garante dei detenuti del carcere di Firenze, Franco Corleone – le persone in carcere per motivi legati alla droga sono raddoppiate. Il 40% dei detenuti sono piccoli spacciatori e consumatori che hanno violato il comma 5 dell’articolo 73, per intenderci per reati di lieve entità. Ma, secondo la legge, la droga è droga e non esiste più la distinzione tra pesanti e leggere». La proposta di Corleone è quella di misure alternative al carcere per i reati meno gravi. «Anche nella casa circondariale di Tolmezzo – ha aggiunto l’avvocato Rino Battocletti – accade lo stesso. Su 280 detenuti, 147 hanno violato l’articolo 73 (traffico illecito) e 33 l’articolo 74 (Associazione finalizzata al traffico), ovvero 180 persone con reati legati alla droga. La dimensione del fenomeno è ampia». Secondo uno studio riportato da Maurizio Battistutta, volontario dell’associazione Icaro, presente in via Spalato, chi esce dal carcere torna a delinquere. «Chi sconta tutta la pena dietro le sbarre – ha detto – nel 70% dei casi è recidivo, per chi lo fa con misure alternative, la soglia si abbassa al 20%». Anche a Udine è in atto una mobilitazione per chiedere l’amnistia dei detenuti per reati minori legati alla droga. Ilaria Gianfagna per Il Messaggero Veneto.

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In Italia una trentina di Garanti dei detenuti… ma sono “sentinelle senza poteri”

Una trentina i garanti dei detenuti in Italia, più al Centro Nord che al Sud. Milano e Udine saranno i prossimi a essere nominati. Manca una figura nazionale. Corleone: “Presenza evita che ci siano scontri o rivolte”.

Sono una trentina i garanti dei diritti dei detenuti in Italia. Una presenza radicata al Centro Nord, meno al Sud dove solo le Regioni Sicilia, Puglia e Campania hanno nominato il garante regionale, mentre tra i Comuni troviamo solo Reggio Calabria e due città della Sardegna, Nuoro e Sassari.
Prossimi alla nomina anche Milano e Udine. “Ma non si tratta più di una sperimentazione” assicura Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze e coordinatore nazionale dei garanti. Sì, perché a Roma il primo garante è stato nominato 9 anni fa, seguito a un anno di distanza da quello di Firenze. Bologna è arrivata poco dopo. “Quello che manca però – continua Corleone – è l’organo di governo nazionale”. Un aspetto su cui l’Italia è inadempiente e per il quale esiste un disegno di legge fermo in Parlamento da almeno 2 legislature.
“Quasi tutti i Paesi europei hanno nominato il garante nazionale – prosegue – ed è una figura importante perché oltre a relazionare al Parlamento, può proporre modifiche di legge che vanno al di là delle singole criticità territoriali”.
L’esperienza è, quindi, complessivamente positiva secondo Corleone. “Siamo sentinelle senza poteri reali che hanno però la capacità di tenere viva l’attenzione sul carcere – afferma. E in un momento così difficile per il carcere in Italia, la nostra presenza oltre ad assicurare che i diritti dei detenuti siano salvaguardati e a sollecitare le istituzioni di riferimento sulle condizioni all’interno degli istituti, evitano che non ci siano scontri nonostante le condizioni pesanti”.
Nonostante in Italia manchi il garante nazionale (previsto tra l’altro dal Protocollo aggiuntivo della Convenzione di New York sulla tortura che il nostro Paese non ha ratificato), i garanti hanno creato un comitato per coordinare a livello nazionale le loro attività.
“Anche se esistono molte differenze a seconda delle dimensioni del carcere o della città in cui si trova – spiega Corleone – i problemi di fondo sono simili e nelle riunioni di coordinamento cerchiamo di fare valutazioni comuni sulle necessità del carcere”.
Su altre questioni i diversi garanti non hanno una visione comune. È il caso dell’amnistia rispetto alla quale però sono riusciti a trovare un accordo sulla riforma della legge sulle droghe, in particolare il comma 5 dell’articolo 73 che prevede il carcere per la detenzione di sostanze stupefacenti. “Condividiamo la proposta di legge presentata dai deputati Cavallaro alla Camera e dai senatori Ferrante e Della Seta che prevede l’amnistia in caso di fatti di lieve entità: una modifica che potrebbe incidere sensibilmente sul sovraffollamento delle carceri”.
Un altro tema su cui stanno lavorando è il principio di territorialità della pena. Vedono con favore la nuova circolare del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria che prevede un sistema di sorveglianza dinamica per detenuti ritenuti non pericolosi. “Un sistema a celle aperte – spiega Corleone – anche se rischiano di essere una burla se poi non ci sono risorse per attività da fare con i detenuti”.

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Toscana: in Consiglio regionale audizioni su percorso in atto per chiusura Opg di Montelupo

Audizioni oggi in Commissione Sanità e politiche sociali del Consiglio regionale, presieduta da Marco Remaschi (Pd), sulle problematiche dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo. Con l’assessore al welfare, Salvatore Allocca, la commissione ha sentito anche il Garante dei detenuti, Alessandro Margara; il direttore sanitario dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai; i rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg.
‘Quella che ci siamo trovati di fronte visitando l’ospedale psichiatrico di Montelupo lo scorso 30 gennaio – ha spiegato il presidente Remaschi – è stata una situazione grave ed estremamente seria, che più in generale vale anche per le carceri di tutta la Toscana. Da qui la volontà della commissione Sanità e politiche sociali di approfondire, mediante dati e informazioni, la reale situazione dell’Opg “per dare risposte concrete a un problema su cui fino ad oggi non è stato possibile intervenire in modo specifico”.
Il punto sulla situazione dell’Opg di Montelupo è stato fatto dal direttore dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai, che ha ricordato come dei 106 internati, ben 46 provengano dalla Toscana. Lo stato delle carceri toscane e, più nello specifico dell’Istituto, è stato illustrato dal Garante dei detenuti Alessandro Margara, che si è soffermato in particolare nell’illustrazione della legge statale numero 9 del 2012, ricordando come essa preveda la chiusura di tutti gli Opg presenti in Italia entro il 31 marzo del 2013.
Da questa considerazione, la ferma volontà dei rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg di dare piena attuazione alla legge e di veder ritirata la delibera della Giunta regionale, ritenuta da Cesare Bondioli, rappresentante di psichiatria democratica, fuori dai tempi e dalla normativa.
A far chiarezza in merito è stato l’assessore al Welfare, Salvatore Allocca che, dopo aver ringraziato il presidente e tutti i soggetti intervenuti, ha tolto ogni dubbio in proposito. “Non ci sono più margini: dobbiamo andare alla chiusura dell’Opg – ha affermato – ma per fare questo è opportuno vi sia un’intenzione comune, un percorso partecipato, un confronto tra tutti i soggetti coinvolti”.
L’assessore ha quindi ricordato che “non c’è nessun terreno come quello delle carceri dove il tema dell’integrazione sia così fondamentale”. Da qui la volontà della Regione Toscana di stilare un piano, uno ‘screening precisò del bisogno degli internati, ‘per costruire un progetto definito sul percorso da farè. La consigliera Maria Luisa Chincarini (Idv), ha parlato dell’Opg come di un luogo disumano, paragonabile ad un girone dantesco.
“Sgombrando il campo dalla retorica – ha proseguito – e tenendo presente come fra gli internati vi siano persone condannate per omicidio e violenza familiare, dobbiamo lavorare affinché vengano previste strutture alternative adeguate”. In chiusura, il richiamo del presidente Remaschi “al senso di responsabilità di tutti, per fare un provvedimento legislativo valido e in grado di dare le risposte attese”.

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Marijuana libera, basta ipocrisie

Secondo le statistiche a fumare cannabis sono quattro milioni di italiani. E’ il record europeo. Però la legalizzazione da noi è ancora un tabù e lasciamo questo enorme business miliardario in mano alle mafie. E’ ora di cambiare, no?

Sedici anni. Napoli. E’ finito in manette con 10 euro in tasca: aveva venduto uno spinello a un amichetto. Diciannove anni. Roma. Due tizi si sono fatti un giro in galera: coltivavano, nel diroccato bagno di casa, tre piantine di marijuana a testa. Sono gli ultimi casi di piccolo spaccio da pochi euro. Con tanto di sirene, polizia, giudice, prigione e soldi spesi.

Tre anonimi pizzicati proprio nelle ore in cui Roberto Saviano violava su “l’Espresso” uno dei più cristallizzati tabù made in Italy. E proponeva di legalizzare le droghe leggere per sottrarre miliardi, armi e potere alle mafie. Un grido salito dritto da Gomorra che ha incassato subito l’appoggio di luminari della medicina come Umberto Veronesi, ma che ha anche risvegliato – come tutte le volte – i fantasmi dentro milioni di italiani.

Già. Perché in Italia lo spinello è segreto. Si fa ma non si dice. Guai. Sempre più gente lo fuma. Mamme e papà. Figli e nipoti. Poi mamma sgrida il figlio. E il figlio ruba il fumo a mamma. Ma nessuno lo dice. E così per l’italiano medio vale ancora la regola: canna uguale droga. Pochi sanno che non è più così. E che nel nostro Paese lo spinello è un rito che coinvolge ormai 4 milioni di italiani. Avvocati, medici, notai. Idraulici, camerieri, disoccupati. Studenti e sfaccendati di ogni età e foggia. Sono il popolo radiografato dall’ultimo rapporto Onu, che ha spiegato come l’Italia dello spread alle stelle, in Europa un record ce l’ha: siamo noi quelli che hanno consumato più cannabis nel 2011, ben il 14,5 per cento degli italiani. Di tutte le età. Dai 15 ai 65 anni.

E’ gente che non guadagna certo con la droga, come fa invece la camorra, ma è anche un esercito invisibile che non vuole dare troppo nell’occhio. Che non si dichiara. Che fa di nascosto, compra di nascosto e fuma di nascosto. «Capita un po’ quello che succedeva con i gay negli anni Ottanta, in Italia chi usa cannabis o marijuana ha ancora paura di dirlo. E così nel dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere prevale il fronte del no», spiega l’ex sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, il primo a depositare alla Camera, già nel 1995, una proposta di legge per la canna libera, con 150 firme di deputati. Una norma che giace ancora lì. «Pochissimi lo ammettono, per cui sensibilizzare l’opinione pubblica diventa difficile». In realtà c’è di tutto nel carnet del fumatore medio.

C’è il ragazzino che fuma con i grandi in famiglia, quello che fa la doppia vita, quello che non lo dice nemmeno agli amici. Li accomuna un fatto. Rischiano per comprare la marijuana e finiscono così per alimentare la criminalità. Tutto per un pregiudizio. Eppure a fare due conti, fra consumo diretto (e quindi tasse che andrebbero allo Stato anziché alle cosche), e risparmio di tempo e denaro fra forze di polizia e carceri stracolme, la legalizzazione dello spinello sarebbe una boccata d’ossigeno anche per i nostri conti in rosso. A spanne, spiega Achille Saletti, presidente di Saman, la rete di comunità fondate da Mauro Rostagno, «porterebbe un introito di almeno un miliardo e mezzo l’anno». Una cifra da capogiro in tempi di spending review e tagli draconiani.

Stando a uno studio della Sapienza firmato da Marco Rossi, poi, si potrebbe far pure meglio: «In Italia il costo del proibizionismo è in media di circa 10 miliardi di euro l’anno», quantifica il docente. Di questi oltre il 50 per cento per la sola cannabis. Ecco che con norme fiscali simili ai tabacchi l’erario guadagnerebbe quasi 4 miliardi l’anno. Non senza regole. Perché, questo i pro-canne lo ammettono, ci sono pure i casi limite. Come Federico, 38 anni, milanese, di mestiere fa l’informatore farmaceutico. Con la valigetta di pelle in fila dal medico della mutua non s’è accorto che quello spinello tutto solo in auto o in veranda, che lo rimetteva al mondo, dice lui, era diventato un cappio: «Ogni santo giorno, rollavo in media otto o nove spinelli», racconta. Troppi. Così s’è presentato al consultorio di Milano e ha chiesto aiuto: «Noi trattiamo soprattutto cocaina, ma il 2 per cento dei casi riguarda la cannabis. Una cifra irrisoria, ma che mette a nudo un aspetto della questione che va tenuto in considerazione. In Italia pochissimi consumatori di droghe leggere ritengono pericoloso il loro comportamento, ma succede che a qualcuno sfugga di mano. Non per ragioni di dipendenza alla sostanza, come nel caso delle droghe pesanti, ma per problemi legati a depressione o disturbi della personalità che il soggetto aveva sottovalutato». Il bello è che, sul piano pratico, la colpa è proprio dell’ipocrisia italiana: «Di quei famosi 4 milioni di italiani che hanno fatto uso di canapa o marijuana, le statistiche dicono che meno dell’1 per cento lo ammette», spiega Saletti. Ecco perché anche chi, come lui, si schiera per lo spinello libero invoca «regole e controlli capillari del mercato».

Anche perché nel sistema-marijuana c’è un baco silenzioso che finora è stato sottovalutato: gli Ogm. «Da qualche anno molta della marijuana e cannabis che circola non ha più nulla a che vedere con le piantine che conoscevamo. Oggi gli esperti hanno individuato 115 specie Ogm. Senza un controllo serrato della coltivazione, non sappiamo cosa stiamo assumendo», aggiunge. Con qualche rischio, visto che in alcuni casi le versioni “mostruose” hanno effetti diversi dai progenitori naturali.

«La liberalizzazione porta dunque un vantaggio economico e contrasta la criminalità, ma deve avere dei paletti proprio come è stato per l’alcol, quando s’è vietata la produzione di liquori con gradazioni troppo alte». Ma l’Italia è ben lontana da questo traguardo. Addirittura il monito della Commissione globale per le politiche sulla droga, di cui fanno parte Kofi Annan e numerosi ex capi di Stato, che ha esortato – come Saviano – i governi a perseguire la via della legalizzazione delle droghe leggere perché «si indebolisca almeno la criminalità organizzata», in Italia rimane inascoltato.

Mentre la mafia si arricchisce, «ogni anno le segnalazioni ai prefetti sono circa 50 mila, il 68 per cento per gli spinelli. Vuol dire, dal 1990 a oggi, oltre un milione di italiani pizzicati», denuncia il Forumdroghe nel Libro bianco 2012. Per non parlare delle carceri che esplodono: «Il 38 per cento dei detenuti è dietro le sbarre per possesso di stupefacenti e, di questi, il 70 per cento per l’uso di cannabis e marijuana. Se si aggiungono i tossicodipendenti dentro per altri reati superiamo il 50 per cento della popolazione carceraria».

E così finisce come a Osoppo, una cittadina abbarbicata sulle montagne della Carnia, in Friuli, dove sta andando in scena un processo che ha dell’incredibile. L’imputato è il Rototom, il festival di musica reggae più famoso d’Europa. Il capo della locale Procura ha mandato alla sbarra Filippo Giunta, patron della manifestazione, che portava su quelle montagne 150 mila persone da tutta Europa. L’accusa? Il parco del Rivellino dove cantò Bob Marley e ballarono i miti del culto rasta va considerato, secondo i pm, un “locale pubblico”. E quel popolo reggae salito lassù per ascoltare i ritmi del tamburi, un branco di spacciatori “protetto”, appunto, dagli organizzatori del Rototom. Per ora l’unico effetto è stato che il festival s’è trasferito in Spagna, dove ha trovato sponsor e appoggio da governi locali e polizia. Decine di migliaia di giovani partono dall’Italia. Molti sono gli stessi che hanno partecipato alla “Milion Marijuana March” di Roma, che lo scorso anno ha coinvolto oltre 50 mila persone. In Italia la mente della marcia di protesta contro il “neoproibizionismo” è Alessandro Buccolieri. Gli amici lo chiamano Mefisto e lui sta già lavorando all’edizione 2013. Con una novità: basta parate, ci sarà un grande evento-concerto sullo stile del primo maggio e una passerella di vip e artisti di fama mondiale, che stanno già aderendo.

L’obiettivo: «Aprire davvero il dibattito sulla legalizzazione della cannabis in Italia: stop alla persecuzione dei consumatori, sì al diritto alla coltivazione di una specie, che è un patrimonio dell’umanità e uso terapeutico in tutto il Paese».Proprio come in Toscana, che non sembra nemmeno Italia. E’ stata la prima regione, un paio di mesi fa, ad autorizzare la cannabis contro il dolore. E la polemica è esplosa. E se è vero che fu l’ex ministro Livia Turco, già nel 2007, ad aprire quella strada, è anche vero che i pazienti che hanno chiesto di farne uso in altre regioni sono finiti stritolati dalla burocrazia. Liste di attesa interminabili, ordinazioni di farmaci all’estero con tempi biblici, iter stremanti. Tanto che mentre il professor Felicino Debernardi, primario dell’istituto anti-tumori di Candiolo, all’avanguardia nelle terapie antidolore, ha auspicato come Veronesi che l’Italia apra alla cannabis, le statistiche raccontano un Paese lontano anni luce da quel modello. Dove l’associazione Pic Pazienti Impazienti Canapa denuncia le sofferenze dei malati che, in altri Paesi della Ue, sono già trattati con la cannabis e qui non trovano ascolto.

E pensare che perfino un super-proibizionista bacchettone come Carlo Giovanardi, quello che da sottosegretario voleva rendere obbligatori i test antidroga per i conduttori Rai, è finito in contraddizione. Mentre inveiva contro canne e spinelli, il “suo” dipartimento per le Politiche antidroga pubblicava una Bibbia proibizionista che, dopo una ventina di capitoli a senso unico, doveva prendere atto che la marijuana era utile per la sclerosi multipla e le terapie chemio. Tutte cure che, se affrontate con farmaci chimichi, costerebbero circa 3.600 euro al mese per ogni paziente, mentre nei Paesi dove la coltivazione è consentita non superano i 250 euro ciascuno. E l’elenco potrebbe continuare. Con le contraddizioni tipiche del nostro sistema. Come la storia di Fabrizio, un malato di Chieti che aveva ottenuto il permesso di importare cannabis per fini terapeutici, ma non aveva i soldi per potersi pagare il Bedrocam, un farmaco a base di cannaboidi. E così ha deciso di coltivarseli. Ma è finito in carcere e ora rischia vent’anni.

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«Legalizzare la marijuana? Si può»

«Legalizzare la marijuana? Si può»
Franco Corleone: il proibizionismo ha fallito, ma serviranno regole precise per tutelare i minorenni e colpire i trafficanti
Articolo di Natalia Andreani per i Quotidiani locali gruppo Agl

ROMA Il dibattito lo ha risvegliato lo scrittore Roberto Saviano, ricordando che la droga è l’ossigeno delle mafie. Poi anche il professor Umberto Veronesi, illustre oncologo ed autorevole esponente della comunità scientifica, ha sposato l’appello lanciato dall’autore di “Gomorra” per la legalizzazione delle droghe leggere. «Un orizzonte possibile anche in Italia e al quale molti paesi stanno guardando, ora che le stesse Nazioni unite hanno dichiarato il clamoroso fallimento delle politiche proibizioniste. Chiaramente serve un sistema di regole precise, perché anche se parliamo di cannabis si tratta pur sempre di sostanze stupefacenti», mette in chiaro Franco Corleone, ex segretario alla giustizia ed oggi tra i massimi esperti internazionali sul fronte caldo di droga e carceri. Che tipo di regole? «Ad esempio si possono porre dei limiti alle quantità acquistabili mensilmente, si può vietare la pubblicità, si può impedire la vendita ai minori di 16 anni, si possono prevedere pene severe per chi dovesse cedere droga ai minorenni. Si può pensare all’istituzione di un registro e di una tessera attraverso la quale controllare il consumo. Insomma legalizzare non vuol dire vendere la canapa al supermarket, ma riportare nel circuito legale un fenomeno culturale che oggi è invece criminalizzato e in mano alle mafie». Il fronte proibizionista italiano però non mostra cedimenti. «Allora parliamo di cifre. Dal 1990 ad oggi gli italiani che si sono beccati una sanzione amministrativa per possesso di canapa (in quantità modeste) sono stati più di 800mila. Un altro milione quelli che invece sono addirittura finiti in carcere. Qui parliamo di un fenomeno culturale che riguarda tantissimi giovani, e non solo, e che non può essere affrontato con questi strumenti». Tutta colpa della Fini-Giovanardi? «Quella legge è stata la nostra catastrofe perché ha equiparato droghe leggere e pesanti, spaccio e detenzione, provocando un intasamento dei tribunali e il collasso delle carceri che è sotto gli occhi di tutti. Il risultato è stata la più grande criminalizzazione di massa della storia recente». Addirittura di massa? «Di massa, sì. Basta guardare i dati relativi alle segnalazioni ai prefetti. Il 74 per cento dei cittadini si è ritrovato nei guai per uso di cannabis». Ci dia qualche altro dato? «Il 33 per cento dei detenuti è dentro per violazione della legge sulle droghe. Se a questi uniamo gli arrestati per reati collegati – ad esempio scippi e furti – arriviamo al 50 per cento della popolazione carceraria. E il 40 per cento di questa metà è in galera per cannabis, per colpa di una maledetta legge». Chi rifiuta la legalizzazione replica che la droga è droga e basta, senza distinzioni. «Ma questa è una tesi oscurantista che non ha alcun presupposto scientifico, come è stato ampiamente dimostrato. Una tesi grazie alla quale l’Italia è rimasta fanalino di coda; anche, ma non solo, nel dibattito sulle strategie da adottare dopo il fallimento della guerra globale alla droga». La relazione che il Dipartimento antidroga presenta a giugno, intanto, quest’anno tarda ad arrivare. «Per mille ragioni l’esecutivo sembra averla bloccata. Noi aspettiamo di vedere i dati. Dai davanti ai quali, forse, c’è qualche imbarazzo».

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Garanti, appello a Napolitano

Mauro Palma scrive dell’incontro dei Garanti dei detenuti con il Presidente della Repubblica per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 4 maggio 2012.

Non è frequente che un Capo di Stato riceva coloro che con continuità visitano i luoghi di detenzione per ricevere informazioni dirette sulle condizioni a cui sono soggetti coloro che vi sono ristretti, sulle loro connotazioni sociali, sulle possibili azioni da compiere per rendere la pena coerente con quell’idea di reinserimento sociale, molto spesso affermata e altrettanto spesso disattesa.
Non stupisce tuttavia che il Presidente Napolitano abbia incontrato i garanti delle persone private della libertà – quelli eletti su base regionale e il coordinatore di quelli cittadini, Franco Corleone – giacché più volte egli è intervenuto  su questo tema, dimostrando attenzione istituzionale e soprattutto considerando le condizioni carcerarie un parametro fondamentale della qualità della nostra democrazia.
Il 27 aprile scorso il Presidente, in un incontro cordiale e chiaro organizzato dalla garante della Campania Adriana Tocco, ha ricevuto una fotografia diretta di una situazione che permane molto grave e preoccupante.  Il primo punto evidenziato dai garanti è stato, infatti, il perpetrarsi di una situazione ben distante sia dalle previsioni costituzionali per quanto attiene la finalità della pena,sia  dagli obblighi internazionali a prevenire trattamenti e pene che contrastino con la dignità delle persone recluse e sia, infine, dalle stesse previsioni normative del nostro Paese: è emblematico il fatto che già la piena attuazione del Regolamento per il carcere – adottato dodici anni fa e restato sostanzialmente inapplicato – avrebbe effetti di radicale trasformazione della situazione esistente. E questa  è stata, quindi,  la prima necessità evidenziata: l’ immediata attuazione del regolamento quale soluzione a molti problemi di vivibilità.
I garanti erano accompagnati da chi scrive, quale membro italiano del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, e per molti anni presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura. Mio, quindi, è stato il compito di rappresentare al Presidente l’urgenza dell’istituzione di un’autorità indipendente che monitori la privazione della libertà; istituzione possibile attraverso la ratifica di un Protocollo Opzionale delle Nazioni Unite che l’Italia ha firmato e – contrariamente alla grande maggioranza degli altri Paesi europei – non ha mai ratificato.
A tutti è tuttavia noto – ed è stato importante ribadirlo nell’incontro – che, senza un incisivo intervento sul vasto fenomeno della carcerizzazione dei consumatori di droghe e dei tossicodipendenti, le discussioni sulla riduzione del ricorso al carcere rischiano diventare puramente accademiche. Il governo  in quest’ambito è stato inesistente e tale assenza rischia di vanificare le stesse azioni fin qui intraprese sul sovraffollamento. Occorre iniziare a corrodere il moloch delle attuali norme, cominciando almeno con l’aggredire quegli aspetti dell’attuale approccio punitivo alle droghe che determinano carcere – e molto – anche per situazioni e reati di lieve entità. Su questo i numeri delle presenze segnalano un’urgenza che non giustifica indecisioni e rinvii. Questa è la prima tra le altre molte necessità ribadite nell’incontro, di cui ormai tutte le autorità dello Stato, a cominciare dalla più alta, sono state rese edotte. Si resta fiduciosi, ma anche impazienti.

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I Garanti ricevuti da Napolitano

Incontro al Quirinale
Il Presidente Napolitano ha ricevuto una delegazione dei Garanti regionali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto questa mattina al Quirinale Desi Bruno, Salvo Fleres, Alessandro Margara, Angiolo Marroni, Italo Tanoni e Adriana Tocco, Garanti regionali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, accompagnati da Mauro Palma del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale e Francesco Corleone, Coordinatore dei Garanti comunali e provinciali.
Ha partecipato all’incontro il Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino.

 

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SI PER UN NUOVO MODELLO CARCERARIO NO AI BAMBINI DI MADRI DETENUTE IN CARCERE

Visita della guardasigilli Paola Severino nel capoluogo toscano, in occasione dell’inaugurazione del Nuovo Palazzo di giustizia e del Nuovo complesso penitenziario di Firenze Sollicciano. Al termine della visita al carcere di Sollicciano, il ministro Severino si e’ confrontata con i giornalisti nel Giardino degli incontri della struttura penitenziaria fiorentina. “Un uomo in carcere e’ un uomo sofferente che deve essere rispettato – ha affermato il ministro -. Oggi il carcere e’ una tortura, piu’ di quanto non sia la detenzione stessa, che deve comunque portare alla rieducazione. Vogliamo intraprendere un cammino che vuole mettere insieme piccole misure che complessivamente potrebbero dare sollievo ai detenuti. E questo perche’ il carcere deve essere un luogo di redenzione e non di inutile sofferenza”.

PENE ALTERNATIVE: Per la Severino, la detenzione deve essere l’ultima spiaggia, “l’estrema ratio quando non si possono piu’ percorrere le altre strade. Vogliamo un rovesciamento di proporzioni. Vogliamo riservare il carcere solo quando l’esigenza di difesa sociale prevale. Il carcere, insomma, solo quando altre misure non possono essere sufficienti”.

TOSSICODIPENDENTI E CARCERE: “Credo che i tossicodipendenti vadano curati per intraprendere un cammino di redenzione – ha affermato il ministro della Giustizia -. Ma vanno allontanati dall’ambiente da cui si e’ originata la dipendenza”. Per quanto riguarda le normative su carcere e tossicodipendenza, “le alternative al carcere ci sono, ma prima di fare una proposta di legge voglio approfondire, verificare i numeri e le varie possibilita’. Non vogliamo varare misure palliative quando il problema va approfondito alla radice”.

LAVORO CARCERARIO: “Stiamo lavorando sul lavoro carcerario. Il detenuto che impara a fare un lavoro e’ un detenuto semi-salvato, che ritrovera’ in se’ le risorse per riprendersi”, ha aggiunto. BAMBINI IN CARCERE: “E’ straziante vedere i bambini che sono in carcere con le loro madri. I bambini non si possono alzare la mattina e vedere le sbarre. E’ una pena immensa”. Per i bambini figli delle detenute, ha annunciato il ministro, “stiamo attivando sistemi alternativi”.

IMMIGRATI: Infine, sulla questione degli immigrati in carcere, una delle soluzioni ipotizzate del titolare del ministero della Giustizia e’ quella delle convenzioni bilaterali con i Paesi di origine, nell’ottica di “un ritorno nel loro Paese”.

Insieme al ministro hanno visitato il carcere anche l’assessore regionale alla Sanita’, Daniela Scaramuccia, l’assessore fiorentino alle Politiche sociali, Stefania Saccardi, il direttore dello stesso carcere, Oreste Cacurri, il provveditore regionale Maria Pia Giuffrida, il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, e don Alessandro Santoro, cappellano delle Piagge.

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CARCERI: DELEGAZIONE ‘SOVRAFFOLLAMENTO CHE FARE’ INCONTRA MINISTRO SEVERINO

(AGENPARL) – Roma, 12 gen – Una delegazione, composta da Patrizio Gonnella, Ornella Favero, Franco Corleone, Stefano Anastasia, Franco Uda, in rappresentanza del Cartello “Sovraffollamento: che fare” (A buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Beati i costruttori di pace, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, CGIL, Coordinamento dei garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, Funzione pubblica CGIL, Forum per il diritto alla salute delle persone detenute, Forum droghe, Giuristi democratici, Jesuitsocialnetwork, Ristretti Orizzonti, Unione Camere penali italiane, Magistratura democratica, VIC volontari in carcere Caritas) ha incontrato oggi, 12 gennaio, il ministro della Giustizia Paola Severino.

Nel corso dell’incontro, lungo e cordiale, sono stati posti all’attenzione del ministro i temi relativi alle cause che producono il sovraffollamento e le proposte del Cartello in materia. È stata in particolare sottolineata la necessità di modificare la legge Fini Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sulla recidiva e la Bossi Fini sull’immigrazione, che più hanno contribuito a riempire le carceri, nonché di ridurre l’uso della custodia cautelare e di potenziare le misure alternative. Quanto alle condizioni di vita negli istituti di pena, oggi poco rispettose della dignità delle persone detenute e del personale che vi lavora, il Cartello ha proposto tra l’altro di intervenire aumentando le ore dei colloqui e le telefonate, perché rafforzare i legami famigliari costituisce anche una delle poche forme di prevenzione dei suicidi. Il ministro, che nel corso dell’incontro era accompagnata da Simonetta Matone, magistrato e Vice Capo del Dap, ha apprezzato le proposte, segnalando la possibilità che alcune di queste entrino nel decreto legge sulle carceri in discussione al Senato, e ha condiviso la necessità di un confronto permanente con le associazioni e le altre realtà che si occupano da anni di questi temi e mettono a disposizione le loro competenze.