(ANSA) – FIRENZE, 19 GIU – Continua il digiuno staffetta, iniziato il 12 giugno scorso, promosso dal garante per detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone per “chiedere che il decreto legge annunciato dal Governo, forse già per venerdì, affronti alla radice il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane”.
Tra i motivi dell’iniziativa, spiega il garante per i detenuti, anche quello di “sostenere la raccolta di firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare su tortura, carceri e droghe”, promosse da numerose associazioni di settore. “C’é poi la richiesta dell’attribuzione, da parte del
presidente del Consiglio Enrico Letta, della delega per la politica delle droghe a un soggetto in ambito governativo che segni una discontinuità con le politiche precedenti in materia”.
Il digiuno staffetta, che è stato interrotto oggi da Corleone “per motivi di salute legati alla necessità di assumere antibiotici” e che sarà portato avanti prima da Leonardo Fiorentini, webmaster del sito fuiriluogo.it, e poi dal giornalista Ettore Gobbato, andrà avanti almeno fino al 26 giugno.
BOLZANETO, PROMOTORI #3LEGGI: INTRODURRE REATO DI TORTURA
IL REGISTA DI “DIAZ” A SOSTEGNO DELLE LEGGI DI INIZIATIVA POPOLARE SU TORTURA, CARCERI, DROGHE
“La conferma in Cassazione della sentenza della Corte d’Appello sui gravissimi fatti di Bolzaneto ribadisce ancora una volta l’urgente necessità di introdurre il reato di tortura nel codice penale italiano, un obbligo al quale l’Italia si sottrae ormai da quasi 25 anni”, lo dichiarano in una nota i promotori delle “#3leggi per la giustizia e i diritti”.
La campagna sulle tre proposte legge di iniziativa popolare per introdurre il reato di tortura nell’ordinamento italiano, intervenire sulle norme che producono sovraffollamento carcerario e modificare la legge Fini-Giovanardi sulle droghe incassa oggi il sostegno del regista del film “Diaz” Daniele Vicari, protagonista di uno spot-appello nel quale invita a firmare le proposte perché farlo è “una questione di civiltà”.
La campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti” è promossa da un ampio cartello di associazioni e organizzazioni impegnate sul fronte dei diritti umani, tra cui: A Buon diritto, Acat Italia, L’Altro Diritto, Associazione 21 luglio, Associazione difensori di Ufficio, A Roma, insieme – Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Consiglio italiano per i rifugiati – Cir, Cgil, Cgil – Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Rete della Conoscenza, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic – Volontari in carcere.
Il prossimo 26 giugno, in occasione della concomitanza della Giornata Mondiale contro la Tortura e sulle Droghe, si terrà una manifestazione nazionale e sarà possibille firmare le #3leggi nelle più grandi piazze d’Italia.
Tutte le informazioni sulla campagna, i punti di raccolta firme e le iniziative in programma sono disponibili al sito: www.3leggi.it.
(ANSA) – FIRENZE, 11 GIU – Digiuno, a partire da domani, per sollecitare una riforma “strutturale”, in funzione ‘antisovraffollamento’ delle carceri italiane. E’ quanto ha annunciato il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone che ha spiegato: “L’unico che oggi parla della drammatica situazione dei penitenziari italiani è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: ho pensato di dargli una mano, con questa iniziativa, per cercare di suscitare un minimo di attenzione politica sul tema”. Per Corleone, una “riforma vera del sistema carcerario non é più rinviabile: Governo e Parlamento devono prendere decisioni immediatamente, prima dell’estate. Serve un decreto legge che affronti i nodi strutturali, legge su recidiva, droghe, le norme sulla custodia cautelare, la nomina di un soggetto, a livello governativo, incaricato di gestire la politica sulle droghe al di là di un mero profilo di ordine pubblico; serve un provvedimento che riduca la popolazione carceraria di almeno 25mila unità, a fronte degli oltre 66mila detenuti reclusi attualmente nelle strutture del nostro paese”. Il Garante ha spiegato anche di aver chiesto “un incontro al ministro della Giustizia Cancellieri, ai presidenti delle Camere, e delle commissioni Giustizia dei due organismi”. Quanto alla raccolta firme per legge popolare contro il sovraffollamento delle carceri, promossa da un cartello di numerose associazioni di settore e supportata dal garante dei detenuti, Corleone ha detto che “é arrivata a 25mila sottoscrizioni”, ricordando anche la manifestazione che vi sarà il 26 giugno (giornata mondiale contro la tortura) “in tutta Italia per sostenere la campagna”. (ANSA).
La terribile scure che è calata sui tutti i fondi destinati alle iniziative governative nel sociale, sembra aver risparmiato il dipartimento politiche antidroga della Presidenza del consiglio, fino a ieri feudo di Carlo Giovanardi e del suo braccio operativo Giovanni Serpelloni, capo incontrastato della struttura. Fiumi di denaro per pagine web e campagne pubblicitarie decise in totale autonomia «e senza controllo», come dice Franco Corleone, già sottosegretario alla Giustizia. Un’inchiesta dell’Agl rivela come la Asl di provenienza di Serpelloni, quella di Verona, che ha il monopolio della gestione dei progetti, abbia visto transitare fra il 2012 e il 2013 oltre 5 milioni di euro. E veronesi sono anche tutti i fornitori del Dipartimento. Quel che si dice aria di casa.
Il garante dei detenuti sul ministro Severino al Quirinale: “Un’assurdità”
“Non dimentichiamo che è la fautrice del ricorso contro la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni carcerarie”
“Che si parli dell’avvocato Severino come Presidente della Repubblica mi pare che non stia né in cielo né in terra”. Lo ha detto a Radio Radicale il coordinatore dei garanti dei detenuti, Franco Corleone, che è anche garante per il comune di Firenze. Corleone stava parlando del “ricorso contro la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni carcerarie in Italia”.
Con quell’atto, secondo Corleone, “la ministra Severino ha messo sotto i piedi le indicazioni suggerite dal Presidente Napolitano, dai garanti dei detenuti, dalle associazioni e anche le proposte del Csm e della commissione guidata dal professor Giostra”. Corleone ricorda anche quello che il ministro “sostenne al Senato nella replica sulla legge anticorruzione, quando fece l’elogio non solo del codice Rocco, ma del giurista Alfredo Rocco” che “era un leader politico del movimento nazionalista e poi del fascismo”. Riguardo al ricorso, “la motivazione data dal governo e dall’amministrazione penitenziaria – aggiunge Corleone – è che il ricorso fa guadagnare tempo, con l’ambizione probabilmente di portare avanti qualche progetto edilizio per dire che il sovraffollamento non è poi così intollerabile. Oggi alla fine della vita di questo governo c’é questo atto che dimostra l’impotenza politica ma anche il disprezzo del diritto”.
Il garante dei detenuti, Corleone, denuncia: comunità e Sert messi all’angolo. Protesta la Lega anti-Aids
ROMA «Serpelloni ha confinato l’Italia tra i Paesi più arretrati e conservatori, mentre nel mondo si ragiona ormai a partire dal fallimento del proibizionismo denunciato dalla Global Commission che ha come esponente di punta Kofi Annan. E soprattutto non c’è dubbio che in questi anni il Dipartimento poltiche antidroga si sia caratterizzato come un soggetto politico autoreferenziale che non risponde a nessuno delle scelte operative e delle posizioni pubbliche. Un potere assoluto, irresponsabile, senza controllo». Non usa giri di parole Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia da sempre sostenitore delle politiche di riduzione del danno e strenuo oppositore della legge Fini-Giovanardi. Una legge «che ha intasato le carceri e consentito la persecuzione di decine di migliaia di giovani tossicodipendenti e consumatori sulla base dell’assunto scientifico che “la droga è droga”, dice sfogliando i Libri Bianchi delle associazioni che testimoniano, cifre alla mano, «i disastri della legge e i suoi effetti collaterali». «Ecco vede? 28mila persone l’anno che entrano in cella in base all’articolo 73 sulla detenzione e altri quindicimila che tra le norme restrittive delle legge e quella sulla recidiva marciscono in galera», spiega indirizzando il messaggio «ai neo presidenti delle Camere». Quanto alle attività del Dipartimento, la reazione di Corleone è anche peggiore. «Il Dipartimento è da azzerare. In questi anni è stato uno scontro continuo con le Regioni, con i Sert, con le Comunità (tranne San Patrigano). Abbiamo assistito alla cancellazione totale della Consulta e abbiamo visto dare l’appalto del Comitato scientifico agli americani del Nida per centinaia di migliaia di euro. Un autentico sperpero di risorse per azioni di inutile propaganda». Non basta? «Serve subito una Conferenza sulle politiche delle droge. Le due organizzate da Giovanardi sono state una burla, di quella di Palermo non esistono nemmeno gli atti, quella di Trieste fu tenuta in maniera blindata e senza confronti. Si dovrà ripartire da quella di Genova 2001 per recuperare i 13 anni persi». Ma anche la Lila, la Lega italiana per la lotta all’Aids avanza durissime critiche sull’operato del Dipartimento e sui 43,5 milioni di euro spesi in progetti dal 2010 a oggi, come si legge in una nota dell’associazione divulgata qualche giorno fa. Ricodandone i molteplici incarichi la Lila scrive che l’«attivo e ambizioso» Serpelloni «è anche la firma che sta in calce agli articoli pubblicati dall’Italian Journal of Addiction, diretto da lui stesso, pubblicato e finanziato dal Dipartimento nazionale antidroga, di cui è capo. Insomma, il Dipartimento Antidroga, ovvero Giovanni Serpelloni, fa anche ricerca: se la commissiona, se la finanzia, se la giudica e se la pubblica. Una procedura che non rappresenta esattamente una garanzia di indipendenza e valore».(n.a.)
Quotidiani locali Gruppo Espresso, mercoledì 10 aprile 2013
IL CONVEGNO. Il Garante dei detenuti di Firenze, il presidente della Camera penale di Brescia e una portavoce dei familiari su limiti e problemi di Canton Mombello
Corleone: «Fin dal 1982 detenuti ammassati e un’aria irrespirabile» Amato: «La messa in prova possibile antidoto al sovraffollamento»
Condizioni di vita disumane, malattie, suicidi: i limiti del carcere di Brescia – il carcere più sovraffollato d’Italia, con 471 detenuti registrati a gennaio, a fronte di una capienza di 206 posti – sono emersi in tutta la loro drammaticità nel corso dell’incontro organizzato dal «Comitato per la chiusura del carcere lager di Canton Mombello» nella sala Buozzi di via Folonari. Al tavolo dei ralatori Franco Corleone, Garante dei detenuti del Comune di Firenze, l’avvocato Stefania Amato, presidente della Camera penale di Brescia, e una portavoce dei familiari dei detenuti, Caterina Pagani, introdotti da Luigino Beltrami, che ha ricordato i problemi sollevati dal Comitato nei mesi scorsi. Le richieste di attenzione verso i detenuti vanno dal contrasto alle leggi che producono una carcerazione eccessiva (la ex Cirielli, la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi) al ricorso a soluzioni drastiche come indulto e amnistia ma anche alla verifica dell’operato del Tribunale di sorveglianza di Brescia, restio – secondo il Comitato – ad applicare i benefici di legge. Al top la richiesta di liberarsi della necessità del carcere in favore di pene alternative. FRANCO CORLEONE ha ricordato come già nel 1982 la questione Canton Mombello fosse grave: «Ormai trent’anni fa mi recai in visita e trovai detenuti ammassati e un’aria irrespirabile, proprio come oggi. Canton Mombello è una delle poche carceri ancora all’interno delle città e dovrebbe essere un luogo diverso rispetto a ciò che è». Il problema, secondo Corleone, non è la mancanza di posti letto, ma l’esistenza di «leggi criminose, che portano in carcere persone che non ci dovrebbero stare: il sovraffollamento non è casuale, ma voluto e costruito. Nel 2011 a causa della legge Fini-Giovanardi sono finite in carcere 28 mila persone, sempre le più deboli: il carcere italiano è un modello arcaico di infantilizzazione delle persone. Le nostre posizioni – ha precisato – non sono estremiste, ma sono le stesse del Consiglio superiore della magistratura». NON SOLO: la protesta contro le leggi ricordate da Corleone e contro la mancata applicazione delle pene alternative accomuna anche l’Unione delle Camere penali. «Ci sono stati interventi scellerati sulla custodia cautelare: in molti hanno provato a rendere inapplicabili gli arresti domiciliari per alcuni reati, ma la Corte costituzionale ha sempre smantellato questi tentativi – ha sottolineato Amato -. La maggior parte dei detenuti italiani è in carcere senza aver ancora una sentenza definitiva», prima do ricordare le proteste della Camera penale di Brescia, che nel 2011 ha partecipato a uno sciopero della fame con Marco Pannella e che il 22 novembre dell’anno scorso ha dato vita all’astensione dalle udienze. Negli ultimi tempi, però, qualcosa si è mosso. «Introdurre lo sport o la musica in carcere è uno sforzo di umanizzazione importante, così come la Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti emanata dal ministro Severino», ha riconosciuto Amato, per poi lanciare alcune idee utili a ridurre il problema del sovraffollamento: «Abbiamo chiesto indulto e amnistia, ma la politica non li accetta. Una buona idea sarebbe la sospensione del processo con la messa alla prova, già prevista per i minorenni». SE QUALCHE miglioramento è visibile, ciò non basta a placare la rabbia dei familiari dei detenuti. «Ho avuto due fratelli a Canton Mombello, dove i detenuti sono imbottiti di farmaci per tenerli buoni – ha accusato Pagani -. Chiediamo che la direttrice sia più disponibile, diminuendo le restrizioni sulla spesa che i familiari possono portare in carcere. E spero che la Chiesa bresciana si impegni di più per le loro condizioni di vita».
CARCERI – «Il delitto della pena», un volume collettivo per i tipi Ediesse
Le sbarre che escludono il diritto
Quella cultura di morte che assegna al carcere il compito di punire e segregare il colpevole
Mauro Palma
(il Manifesto, 6 novembre 2012)
In uno strano periodo della sua esistenza Egon Schiele trascorse, con una brutta accusa mossa da pudibondi delatori, ventiquattro giorni in carcere: era il mese di aprile del 1912. Il pittore definì le condizioni complessive della detenzione come una situazione in cui sarebbe impazzito se avesse «dovuto continuare ancora a lungo in quello stato di continua ebetudine»: il riferimento era non tanto e non solo alle condizioni materiali, all’affollamento, alla non intimità, quanto all’ambiente, all’atmosfera complessiva, all’incidenza che essa inevitabilmente aveva – ed ha – sulla corporeità di chi in carcere è ristretto. Per lui la via di fuga furono i pennelli: «con dita tremanti inumidite dalla mia saliva amara, mi sono messo a dipingere per non impazzire del tutto; servendomi delle macchie nell’intonaco ho creato paesaggi e teste sulle pareti della cella, poi osservavo il loro lento asciugarsi fino a impallidire e sparire nella profondità del muro, come fatti sparire dall’invisibile potenza di una mano incantata».
Oggi quei graffiti e quegli schizzi sono all’Albertina di Vienna. Ritraggono ambienti immediatamente riconoscibili a chi frequenta il carcere, tanto immutati sono nei cento anni che ci separano da essi lo schema relazionale e l’impersonalità trasandata che essi trasmettono: li ritroviamo nelle pagine di descrizione di attuali analisti dei sistemi penitenziari, così come negli scritti di detenuti del nuovo secolo. Ciò che è mutato è che quanto un tempo era disvelato dalle descrizioni di rari osservatori, è oggi invece esibito, reso conoscibile; senza imbarazzo.
Così, la lettura di saggi e scritti che da angolazioni diverse esaminano il punto di arrivo dei sistemi penali non serve più a sapere ciò che in fondo già si sa. Serve piuttosto a recuperare la riflessione sulla legittimità, il significato e il limite del potere punitivo che la società e, per essa, lo Stato hanno nei confronti di coloro che hanno aggredito beni a cui essa attribuisce valore e che ritiene doveroso tutelare. Questa è la riflessione dei cicli di dibattiti sui libri sul carcere e sulla pena che l’università di Ferrara propone annualmente, per iniziativa di Andrea Pugiotto che, da costituzionalista, riporta al nucleo della finalità della pena detentiva le analisi che nascono da suoi aspetti e sue modalità. Il centro resta comunque la materialità della pena, la sua ineludibile incidenza sulle vite, sui corpi, sulle quotidianità.
Un recente volume, che Pugiotto ha curato insieme a Franco Corleone, riprende il ciclo d’incontri del 2011 (Il delitto della pena, a cura di F. Corleone e A. Pugiotto, Ediesse) e si muove attraverso quattro aspetti che evidenziano criticità diverse e tutte estreme, perché ruotano, tutte, attorno al tema della morte: la morte come pena; la morte non materiale ma civile della definitiva esclusione dal contesto sociale; la morte che interviene come fattore oscuro all’interno di un universo che dovrebbe essere di attenta custodia e, quindi, di responsabilità; la morte della pietas di chi, in una impropria concezione di rilevanza della vittima nella scena penale, tende a chiamare la vittima stessa a concorrere a decisioni pubbliche, quale è la punizione del colpevole.
Sono nodi non semplici da dirimere soprattutto nel contesto attuale che sembra spesso centrare il discorso non sulla funzione della pena come elemento per riannodare i fili spezzati, quanto sulla meritevolezza dei castighi, in un improprio e impossibile bilanciamento tra male sofferto e male da infliggere. A questa deriva, che non attiene soltanto all’ambito giuridico, ma a quello più generale della cultura e dei rapporti tra individui e a quello dell’abbandonato ruolo propositivo che la politica dovrebbe esprimere, sono dedicate le pagine più originali del libro; quelle che lo pongono al di là delle analisi più tradizionali sul carcere. Lo pongono, infatti, come un testo che ci ricorda che il diritto penale nella modernità non nasce in continuità con la pratica della vendetta, solo rendendola meno direttamente cruenta e soprattutto affidandola alla neutralità dello Stato; al contrario, nasce in contrapposizione a essa e alla logica che la sosteneva. Questa affermazione – banale nelle dissertazioni dotte, però negata nella pratica della quotidianità mediatica e spesso anche in qualche deriva pseudo-giuridica – ha valore determinante per la riflessione sul sistema delle punizioni e sul carcere odierno.
Proprio per questo le pagine del libro sono precedute da un’approfondita introduzione, dall’emblematico titolo Quando il delitto è la pena, centrata sul dove siamo giunti e che ci richiama all’estrema vicinanza dei temi affrontati; e si concludono con le parole del Presidente Napolitano in un convegno in Senato dello scorso anno. Parole che certificano ciò che la premessa denuncia: la prepotente urgenza di riportare il carcere alle sue connotazioni costituzionali. Un dovere verso chi vi è detenuto, verso chi vi opera, ma anche verso noi stessi, a esso esterni, ma che rischiamo di essere inconsapevolmente parte di una cultura di morte.
(ANSA) – FIRENZE, 3 NOV – ”Sui braccialetti elettronici per i detenuti in misura alternativa non c’e’ bisogno di alcun accertamento o indagine, basta leggere la relazione della corte dei conti del 14 settembre scorso, che denuncia lo scandalo”.
Lo ha detto il garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, parlando ”degli acquisti e delle forniture di apparecchiature elettroniche denunciate da un corvo”.
”La Corte dei conti – aggiunge Corleone – segnalo’ gli 89 milioni di euro spesi in 10 anni per 14 braccialetti e il rinnovo della convenzione con Telecom, fino al 2018”.
”Il carcere – conclude Corleone – soffre di mancanza di risorse anche per i bisogni elementari, a cominciare dalla carta igienica. Lo spreco di denaro pubblico per strumenti inutili e inesistenti e’ un insulto intollerabile”.(ANSA).
Durissimo intervento del Quirinale sullo stato del sistema carcerario che “ferisce la credibilità del Paese”. E preme sul Parlamento perché si decidano misure di clemenza “e si rimuovano i rilevanti ostacoli della Costituzione a concederle”
ROMA – “Una realtà che non fa onore al nostro Paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee”. Sono queste le parole sulla condizione delle carceri del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidate ad una nota, dopo aver ricevuto al Quirinale una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori, accademici e giuristi, della lettera aperta sul tema dell’efficienza della giustizia. Il capo dello Stato ha rinnovato l’auspicio affinché “proposte volte a incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione dello stato delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione in parlamento”. A cominciare, ha aggiunto Napolitano “da quelle, già in avanzato stadio di esame, per l’introduzione di pene alternative alla prigione”.
Secondo il presidente della Repubblica “restano nello stesso tempo aperte all’attenzione del Parlamento – in questa legislatura ormai vicina al suo termine e in quella che presto inizierà – sia le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza sia della necessaria riflessione sull’attuale formulazione dell’art. 79 della Costituzione che a ciò oppone così rilevanti ostacoli”.
Nell’incontro al Quirinale, Napolitano ha riferito che “sono state affrontate scottanti esigenze di riduzione della popolazione carceraria e di creazione di condizioni più civili per quanti scontano sanzioni detentive senza potersi riconoscere nella funzione
rieducativa che la Costituzione assegna all’espiazione di condanne penali”.
Sulla condizione delle carceri italiane e il problema dello sconto delle sanzioni detentive che dovrebbero mirare a una funzione rieducativa, ha parlato spesso Adriano Sofri. Soprattutto richiamando la situazione di molti detenuti che scontano il cosiddetto ergastolo ostativo, ovvero una pena che non avrà mai fine 1, senza possibilità di ore di libertà, senza lavoro esterno e senza alcuna commutazione.
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