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I Garanti si mobilitano per il carcere

Il Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, ha indetto una iniziativa collettiva per denunciare la situazione del carcere. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha richiesto insistentemente provvedimenti per affrontare la situazione del carcere, definita di prepotente urgenza. Queste parole così autorevoli sono cadute in un sostanziale silenzio. I Garanti italiani il 10 ottobre, presenteranno in molte città italiane una piattaforma di richieste precise e puntuali al Parlamento, al Governo e all’Amministrazione Penitenziaria (modifica della legge sulle droghe e della legge Cirielli, approvazione della legge per l’introduzione del reato di tortura, approvazione della legge per l’istituzione del Garante nazionale, approvazione di un piano per l’applicazione integrale del Regolamento del 2000, in modo da garantire condizioni di vita accettabili dentro il carcere).

Questa piattaforma costituirà la base di una mobilitazione di un mese, con l’organizzazione di eventi e confronti per raggiungere gli obiettivi fissati.

Il giorno 10 la conferenza stampa si terrà nelle seguenti città:

Firenze – Franco Corleone e Alessandro Margara

Massa Carrara – Umberto Moisè

Livorno – Marco Solimano

Pisa – Andrea Callaioli

Bari – Piero Rossi

Verona – Margherita Forestan

Napoli – Adriana Tocco

Sondrio – Francesco Racchetti

Rovigo – Livio Ferrari

Reggio Calabria – Giuseppe Tuccio

Sarà invece lanciato, sempre il giorno 10 ottobre, un comunicato stampa dal Garante del Comune di Pistoia, dal Garante del Comune di Brescia, dal Garante del Comune di Vicenza e congiuntamente dai Garanti del Comune di Nuoro e del Comune di Sassari.

Oggi a Milano il Consiglio Comunale si riunirà nel carcere di San Vittore per approvare l’istituzione della figura del Garante. E’ un importante momento per rafforzare la presenza sul territorio delle figure che difendono i diritti, la Costituzione  e le leggi.

Franco Corleone
Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti

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Napolitano, “Carceri indegne Parlamento valuti misure di clemenza”

Durissimo intervento del Quirinale sullo stato del sistema carcerario che “ferisce la credibilità del Paese”. E preme sul Parlamento perché si decidano misure di clemenza “e si rimuovano i rilevanti ostacoli della Costituzione a concederle”

ROMA – “Una realtà che non fa onore al nostro Paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee”. Sono queste le parole sulla condizione delle carceri del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidate ad una nota, dopo aver ricevuto al Quirinale una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori, accademici e giuristi, della lettera aperta sul tema dell’efficienza della giustizia. Il capo dello Stato ha rinnovato l’auspicio affinché “proposte volte a incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione dello stato delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione in parlamento”. A cominciare, ha aggiunto Napolitano “da quelle, già in avanzato stadio di esame, per l’introduzione di pene alternative alla prigione”.

Secondo il presidente della Repubblica “restano nello stesso tempo aperte all’attenzione del Parlamento – in questa legislatura ormai vicina al suo termine e in quella che presto inizierà – sia le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza sia della necessaria riflessione sull’attuale formulazione dell’art. 79 della Costituzione che a ciò oppone così rilevanti ostacoli”.

Nell’incontro al Quirinale, Napolitano ha riferito che “sono state affrontate scottanti esigenze di riduzione della popolazione carceraria e di creazione di condizioni più civili per quanti scontano sanzioni detentive senza potersi riconoscere nella funzione
rieducativa che la Costituzione assegna all’espiazione di condanne penali”.

Sulla condizione delle carceri italiane e il problema dello sconto delle sanzioni detentive che dovrebbero mirare a una funzione rieducativa, ha parlato spesso Adriano Sofri. Soprattutto richiamando la situazione di molti detenuti che scontano il cosiddetto ergastolo ostativo, ovvero una pena che non avrà mai fine 1, senza possibilità di ore di libertà, senza lavoro esterno e senza alcuna commutazione.

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Il Presidente Napolitano ha ricevuto una delegazione dei firmatari dell’appello sul tema della giustizia

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina al Quirinale una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori, accademici e giuristi, della lettera aperta sul tema dell’efficienza della giustizia e della realtà carceraria guidata dal prof. Andrea Pugiotto, estensore e primo firmatario dell’appello, e formata dai professori Francesco Di Donato, Fulco Lanchester, Renzo Orlandi, Tullio Padovani, Marco Ruotolo, Vladimiro Zagrebelsky, e Franco Corleone.
Hanno partecipato all’incontro il Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Sabato Malinconico, e il Capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino.

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Elogio della responsabilità

Franco Corleone commenta la sentenza di Oslo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 29 agosto 2012.

La sentenza della Corte penale di Oslo rappresenta una lezione di civiltà, da molti punti di vista. Anders Breivik è stato condannato a 21 anni di carcere, il massimo della pena per il codice penale norvegese. Dopo l’orrenda strage del 22 luglio 2011, in cui furono sterminate 77 persone, tra cui 69 ragazzi che partecipavano a una scuola di partito, molti esponenti dei partiti di destra sentirono il dovere di affermare “oggi siamo tutti laburisti”. Sarebbe bello che in Italia potessimo dire “siamo tutti norvegesi”, ma per far ciò dovremmo attuare una riforma copernicana della giustizia e della politica: cominciando dall’abolizione dell’ergastolo, dalla pratica del giusto (e rapido) processo, dal ripudio della cultura dell’emergenza.
La battaglia contro l’ergastolo è invece dimenticata e sepolta. Nel 1998, il Senato votò il superamento della pena perpetua ma poi la proposta fu insabbiata. Anche gli esiti delle Commissioni Grosso e Pisapia per la riforma del Codice Penale sono rimasti nei cassetti. Le forze politiche che hanno fissato il 9 maggio come Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo, in ricordo dell’assassinio di Aldo Moro, hanno dimenticato il suo insegnamento contro l’ergastolo, considerato peggiore della pena di morte.
Il processo contro Anders Breivik ha avuto tempi di una celerità impensabile per l’Italia, ma soprattutto ha visto la partecipazione popolare nel nome della tolleranza e del rifiuto della vendetta. Nils Christie, noto criminologo abolizionista, ricordando le centinaia di migliaia di persone che portarono un fiore alle vittime, ha scritto: “Rose, non vendetta. Un’eccellente forma di politica penale”. E il leader socialdemocratico Jens Stoltenberg subito dopo la strage usò queste parole:”Noi sceglieremo la via di più democrazia e più umanità”. Quale politico in Italia sarebbe oggi capace di pronunciare parole di esaltazione dello stato di diritto senza cedere all’orgia della retorica giustizialista? Colmare questo spread di civiltà non può essere compito dei tecnici. Occorrono un’anima e un pensiero che il deserto intellettuale di questi anni hanno disperso e che vanno ritrovati.
Il processo ha affrontato anche la delicata questione della responsabilità dell’imputato. L’accusa, sulla base di una perizia psichiatrica che dichiarava Breivik affetto da schizofrenia paranoide, propendeva per il ricovero in manicomio. La difesa e la maggioranza dell’opinione pubblica chiedevano invece il riconoscimento della sanità di mente e la condanna al carcere. Davvero un nodo intricato, apparentemente. Da una parte, la via rassicurante della pazzia individuale che consente di “sterilizzare” le ideologie razziste rivendicate da Breivnik; dall’altra, il timore di dare dignità politica a un assassino. C’è di più in campo. La pretesa dei lombrosiani contemporanei che, forti di alcuni filoni delle moderne neuroscienze, mettono in discussione addirittura il libero arbitrio, col risultato di avvalorare un ritorno alla psichiatria organicista e meccanicista.
In realtà, la partita non è tra pazzia e sanità di mente. Bisogna avere il coraggio di riconoscere a tutti, senza distinzioni, la responsabilità delle proprie azioni, quel tanto di umano che non può essere negato a nessuno. E’una lezione per noi, in vista della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: per rifuggire dal rischio di nuove istituzioni totali.

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Un altro morto a Sollicciano!

Rhee He Cheung, detenuto coreano, aveva chiesto il trasferimento a Roma in aprile per poter avere dei colloqui con i parenti attraverso l’Ambasciata Coreana.

In giugno, dopo una visita del mio ufficio al signor Rhee, ho sollecitato il Dap per il suo trasferimento a Roma. Purtroppo non ho avuto risposta e il signor Rhee He Cheung, ha iniziato uno sciopero della fame, ha poi tentato il suicidio e cadendo ha battuto la testa,  è entrato in coma ed è morto.

Se la direzione del carcere avesse preso sul serio la richiesta  del signor Rhee He Cheung e avesse affrontato con i volontari e con il Garante la questione, questa tragedia non si sarebbe verificata.

Ho inviato una lettera al Capo del Dap, per denunciare questo ennesimo episodio di trascuratezza che deve interrogare le coscienze e prendere un impegno perché sia davvero l’ultima morte, che non può essere rubricata come frutto del caso.

Franco Corleone
Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

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Sulle carceri Severino non fa la cosa giusta

Ogni giorno un nuovo morto nelle carceri e le risposte del Governo sono il silenzio. La Ministra Severino visita le carceri ma non fa l’unica cosa che dovrebbe fare: proporre un decreto legge per eliminare le norme più odiose della legge Giovanardi sulle droghe, che causano la carcerazione di metà dei detenuti presenti. Il testo è quello della proposta di legge dell’onorevole Cavallaro, (n. 4871) e quello della proposta dei senatori Ferrante e Della Seta (n. 2798).

Se si vuole onorare l’impegno anche su questo argomento del Consigliere Loris D’Ambrosio, bisogna agire immediatamente. Lo strumento del decreto legge è più che legittimo di fronte ad una strage di legalità e a una situazione di prepotente urgenza, come ha affermato il Presidente Napolitano.

D’altronde la legge Giovanardi senza alcun fondamento giuridico e con un colpo di mano costituzionale fu approvata con un  decreto legge e con un doppio voto di fiducia.

Quindi la strada è indicata per ridurre le pene per i fatti di lieve entità riguardo la detenzione di sostanze stupefacenti e impedire così l’ingresso in carcere di migliaia di consumatori, di tossicodipendenti, di piccoli spacciatori di canapa e di coltivatori di una piantina di marijuana.

Franco Corleone
Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti

 

 

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In Italia una trentina di Garanti dei detenuti… ma sono “sentinelle senza poteri”

Una trentina i garanti dei detenuti in Italia, più al Centro Nord che al Sud. Milano e Udine saranno i prossimi a essere nominati. Manca una figura nazionale. Corleone: “Presenza evita che ci siano scontri o rivolte”.

Sono una trentina i garanti dei diritti dei detenuti in Italia. Una presenza radicata al Centro Nord, meno al Sud dove solo le Regioni Sicilia, Puglia e Campania hanno nominato il garante regionale, mentre tra i Comuni troviamo solo Reggio Calabria e due città della Sardegna, Nuoro e Sassari.
Prossimi alla nomina anche Milano e Udine. “Ma non si tratta più di una sperimentazione” assicura Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze e coordinatore nazionale dei garanti. Sì, perché a Roma il primo garante è stato nominato 9 anni fa, seguito a un anno di distanza da quello di Firenze. Bologna è arrivata poco dopo. “Quello che manca però – continua Corleone – è l’organo di governo nazionale”. Un aspetto su cui l’Italia è inadempiente e per il quale esiste un disegno di legge fermo in Parlamento da almeno 2 legislature.
“Quasi tutti i Paesi europei hanno nominato il garante nazionale – prosegue – ed è una figura importante perché oltre a relazionare al Parlamento, può proporre modifiche di legge che vanno al di là delle singole criticità territoriali”.
L’esperienza è, quindi, complessivamente positiva secondo Corleone. “Siamo sentinelle senza poteri reali che hanno però la capacità di tenere viva l’attenzione sul carcere – afferma. E in un momento così difficile per il carcere in Italia, la nostra presenza oltre ad assicurare che i diritti dei detenuti siano salvaguardati e a sollecitare le istituzioni di riferimento sulle condizioni all’interno degli istituti, evitano che non ci siano scontri nonostante le condizioni pesanti”.
Nonostante in Italia manchi il garante nazionale (previsto tra l’altro dal Protocollo aggiuntivo della Convenzione di New York sulla tortura che il nostro Paese non ha ratificato), i garanti hanno creato un comitato per coordinare a livello nazionale le loro attività.
“Anche se esistono molte differenze a seconda delle dimensioni del carcere o della città in cui si trova – spiega Corleone – i problemi di fondo sono simili e nelle riunioni di coordinamento cerchiamo di fare valutazioni comuni sulle necessità del carcere”.
Su altre questioni i diversi garanti non hanno una visione comune. È il caso dell’amnistia rispetto alla quale però sono riusciti a trovare un accordo sulla riforma della legge sulle droghe, in particolare il comma 5 dell’articolo 73 che prevede il carcere per la detenzione di sostanze stupefacenti. “Condividiamo la proposta di legge presentata dai deputati Cavallaro alla Camera e dai senatori Ferrante e Della Seta che prevede l’amnistia in caso di fatti di lieve entità: una modifica che potrebbe incidere sensibilmente sul sovraffollamento delle carceri”.
Un altro tema su cui stanno lavorando è il principio di territorialità della pena. Vedono con favore la nuova circolare del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria che prevede un sistema di sorveglianza dinamica per detenuti ritenuti non pericolosi. “Un sistema a celle aperte – spiega Corleone – anche se rischiano di essere una burla se poi non ci sono risorse per attività da fare con i detenuti”.

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Toscana: in Consiglio regionale audizioni su percorso in atto per chiusura Opg di Montelupo

Audizioni oggi in Commissione Sanità e politiche sociali del Consiglio regionale, presieduta da Marco Remaschi (Pd), sulle problematiche dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo. Con l’assessore al welfare, Salvatore Allocca, la commissione ha sentito anche il Garante dei detenuti, Alessandro Margara; il direttore sanitario dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai; i rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg.
‘Quella che ci siamo trovati di fronte visitando l’ospedale psichiatrico di Montelupo lo scorso 30 gennaio – ha spiegato il presidente Remaschi – è stata una situazione grave ed estremamente seria, che più in generale vale anche per le carceri di tutta la Toscana. Da qui la volontà della commissione Sanità e politiche sociali di approfondire, mediante dati e informazioni, la reale situazione dell’Opg “per dare risposte concrete a un problema su cui fino ad oggi non è stato possibile intervenire in modo specifico”.
Il punto sulla situazione dell’Opg di Montelupo è stato fatto dal direttore dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai, che ha ricordato come dei 106 internati, ben 46 provengano dalla Toscana. Lo stato delle carceri toscane e, più nello specifico dell’Istituto, è stato illustrato dal Garante dei detenuti Alessandro Margara, che si è soffermato in particolare nell’illustrazione della legge statale numero 9 del 2012, ricordando come essa preveda la chiusura di tutti gli Opg presenti in Italia entro il 31 marzo del 2013.
Da questa considerazione, la ferma volontà dei rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg di dare piena attuazione alla legge e di veder ritirata la delibera della Giunta regionale, ritenuta da Cesare Bondioli, rappresentante di psichiatria democratica, fuori dai tempi e dalla normativa.
A far chiarezza in merito è stato l’assessore al Welfare, Salvatore Allocca che, dopo aver ringraziato il presidente e tutti i soggetti intervenuti, ha tolto ogni dubbio in proposito. “Non ci sono più margini: dobbiamo andare alla chiusura dell’Opg – ha affermato – ma per fare questo è opportuno vi sia un’intenzione comune, un percorso partecipato, un confronto tra tutti i soggetti coinvolti”.
L’assessore ha quindi ricordato che “non c’è nessun terreno come quello delle carceri dove il tema dell’integrazione sia così fondamentale”. Da qui la volontà della Regione Toscana di stilare un piano, uno ‘screening precisò del bisogno degli internati, ‘per costruire un progetto definito sul percorso da farè. La consigliera Maria Luisa Chincarini (Idv), ha parlato dell’Opg come di un luogo disumano, paragonabile ad un girone dantesco.
“Sgombrando il campo dalla retorica – ha proseguito – e tenendo presente come fra gli internati vi siano persone condannate per omicidio e violenza familiare, dobbiamo lavorare affinché vengano previste strutture alternative adeguate”. In chiusura, il richiamo del presidente Remaschi “al senso di responsabilità di tutti, per fare un provvedimento legislativo valido e in grado di dare le risposte attese”.

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I detenuti di Sollicciano prendono la parola

Ho ricevuto dai rappresentanti della Commissione detenuti del carcere di Sollicciano, questo documento, che spiega la loro posizione rispetto alla iniziativa nelle carceri dei Radicali e la scelta di attuare una forma di “sciopero di bianco” vista la difficoltà di uno sciopero effettivo del lavoro, che metterebbe in ulteriore difficoltà il carcere e costringerebbe la Direzione a trovare il modo di garantire comunque i servizi essenziali. I detenuti tengono molto al fatto che venga data notizia di questa iniziativa pacifica di denuncia delle condizioni di vita nel carcere e di testimonianza della loro umanità e della loro appartenenza alla società.

Franco Corleone
Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti

I detenuti di Sollicciano prendono la parola

Dopo una valutazione da parte nostra dell’iniziativa dei Radicali di una mobilitazione di quattro giorni (18-21 luglio) di non violenza, sciopero della fame e del silenzio, all’interno degli istituti penitenziari, per la richiesta di Amnistia, è da noi stata ritenuta poco incisiva, vista la situazione intollerabile e anticostituzionale in cui versano le Carceri.
A tale proposito i Detenuti del carcere di Sollicciano hanno pensato d’integrare l’iniziativa dei Radicali con lo sciopero dei lavoranti, per rimarcare le disastrose situazioni in cui versano le carceri in Italia (mancanza di fondi, sovraffollamento, impossibilità lavorative, negazione all’istruzione, mancanza di fornitura dei prodotti per l’igiene, assistenza sanitaria minimo garantita, ecc…) fra l’indifferenza della politica e della società cosiddetta civile.
Da un incontro con la Direzione dell’Istituto dove portavamo a conoscenza la nostra scelta di sciopero, consapevoli delle difficoltà che tale forma di protesta avrebbe determinato (impossibilità di garantire il vitto, il servizio di pulizie interno ecc…) i detenuti hanno deciso di promuovere una iniziativa alternativa devolvendo il proprio salario (delle 4 giornate del mancato sciopero) alle popolazioni terremotate dell’Emilia. Questa scelta di solidarietà ai terremotati è la risposta di noi Detenuti alle affermazioni negative e offensive (chiamandoci sciacalli) emerse da parte della stessa popolazione terremotata, in occasione della proposta del Ministro Severino ad utilizzare l’impiego dei Detenuti nell’opera di rimozione e ricostruzione delle zone terremotate.

Firenze, 16 luglio 2012

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Un’amnistia per i reati lievi sulle droghe

Sono convinto che non possiamo più continuare ad accettare che, di fronte alla tragedia quotidiana che vive il carcere, si persegua una gestione rassegnata e contrassegnata dal tratto della normale amministrazione, quando la situazione è davvero insostenibile e richiede un cambio di passo visibile, una discontinuità profonda. In occasione della Festa della Polizia Penitenziaria il Presidente Napolitano è tornato sul tema del sovraffollamento e ha chiesto a Parlamento e governo di superare la paralisi attraverso «nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali». Il Presidente del Senato Schifani annuncia un’altra sessione straordinaria sulle carceri. Quello della Camera Fini suggerisce la strada della depenalizzazione e la scelta di privilegiare l’adozione di misure alternative. Di fronte a queste intenzioni tocca a noi non lasciarle cadere e chiedere decisioni coerenti. Purtroppo la ministra Severino propone misure modeste come il disegno di legge sulle pene detentive non carcerarie e la messa alla prova e insiste con la scelta di un Piano carcere che prevede programmi di edilizia inutile e dannosa.
Ho avuto modo di esprimere al Csm, al Presidente della Repubblica, al ministro Riccardi, ai vertici del Dap che la ragione della bulimia carceraria è determinata dalla legge sulla droga, quella del 1990 aggravata dalla modifica ideologica e ancor più punitiva realizzata con un vulnus costituzionale nel 2006. È questa la legge che provoca il maggiore afflusso in carcere. Il 33% degli ingressi in carcere è relativo alla violazione dell’art. 73 (detenzione e spaccio); nel 2011 ben 22.677 consumatori e piccoli spacciatori sono stati colpiti e una alta percentuale è ristretta per fatti di lieve entità, come previsto dal quinto comma, ma con pene da uno a sei anni di carcere.
Occorre interrompere il flusso di entrata oltre che liberare dalle catene i tossicodipendenti, che rappresentano un’altra alta quota di vittime sull’altare della disumanità dell’ossessione securitaria. La proposta di legge dell’on. Cavallaro è lo strumento per affrontare efficacemente la questione. Al Senato lo stesso testo è stato presentato dai senatori Ferrante e Della Seta. Si prevede l’istituzione di un reato autonomo della detenzione di sostanze stupefacenti nella modalità della lieve entità, oggi configurata come semplice attenuante con una pena da sei mesi a tre anni che eviterebbe l’ingresso in carcere e la possibilità di misure alternative. L’iter potrebbe essere rapido se queste e le altre norme previste venissero inserite nel disegno di legge governativo già in discussione. Mi sento di proporre un provvedimento mirato, cioè una amnistia limitata ai fatti relativi al quinto comma dell’art. 73 del Dpr 309/90, che inciderebbe sulle presenze in carcere e sarebbe contestuale alla modifica della legge.
Ho aderito all’appello per l’introduzione del reato di tortura nel Codice Penale, la cui approvazione richiederebbe poco tempo da parte del Parlamento ma avrebbe un grande valore simbolico. Questa campagna, lanciata da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, si deve accompagnare alla ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura (Opcat). L’Italia ha firmato il Protollo nel 2003 ma non lo ha mai ratificato, contrariamente alla quasi totalità dei Paesi dell’Unione Europea. L’Italia non ha quindi alcun rappresentante nell’organismo di Ginevra che prevede un potere ispettivo a livello globale. La firma del Protocollo obbligherebbe anche l’Italia a istituire la figura del garante nazionale dei diritti dei detenuti ed è una ragione in più per adempiere a un dovere colpevolmente disatteso. Mauro Palma ha scritto al ministro Terzi per sollecitare una decisione nel gennaio scorso, ma nulla si è mosso. Abbiamo chiesto al nuovo Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino di scegliere come priorità l’applicazione del Regolamento del 2000 non solo per migliorare la vivibilità quotidiana nelle carceri ma per indicare la strada maestra della riforma. Attendiamo con fiducia l’istituzione di un Tavolo di confronto e di iniziativa che inizi dall’abbandono della via del cemento.
Che fare dunque? Che tipo di mobilitazione va inventata? Confesso di non avere una risposta certa. Per aiutarmi a pensare ho iniziato un digiuno, sperando che si formi una catena che veda impegnati garanti ed esponenti del volontariato. I prossimi giorni devono vederci impegnati a trovare forme originali di denuncia e di proposta. Forse occorre più fantasia, più spregiudicatezza, ma non si può stare fermi e muti neppure un minuto di più.

Da il Manifesto, 29 maggio 2012