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In Primo Piano Le carceri Rassegna Stampa

La lezione di Moro: ora so cos’è la detenzione.

On line l’articolo di presentazione di Adriano Sofri del volume edito da Ediesse in collaborazione con la Società della Ragione “Contro l’ergastolo – Il carcere a vita, la rieducazione e la dignità della persona” curato da Franco Corleone e Stefano Anastasia. Da Repubblica del 23 dicembre 2009. Sul sito di fuoriluogo.it trovate la scheda di presentazione. Sul sito di Ediesse potete ordinare il libro

Sarebbe un buon segno se la sentenza di Perugia, dettata com’ è da una convinzione di colpevolezza, testimoniasse di una renitenza di fatto alla pena dell’ ergastolo. Quanto al diritto, probabilmente non siamo mai stati lontani come oggi dal ripudio della pena perpetua. A misurare la distanza che ci separa dai famigerati anni ‘ 70 può valere drammaticamente la rievocazione di una lezione accademica del 1976. Il professore era Aldo Moro. Quando, tanti anni fa, scrissi un libro su Moro, non potevo conoscere le Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale tenute nel 1976 nella facoltà romana di scienze politiche, raccolte da Francesco Tritto ed edite da Cacucci nel 2005. (Se ne tratta ora in Contro l’ ergastolo, a cura di S. Anastasia e F. Corleone, ed.Ediesse). Ne avrei fatto gran conto a proposito del rapporto fra Moro e il carcere, alla luce dei 55 giorni di “prigione del popolo”. Al buio di quei 55 giorni. Ero stato colpito un inciso in una lettera indirizzata a Cossiga: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». Moro lo insinua in un brano sulla possibilità di uno scambio fra l’ ostaggio inerme che lui è ora e qualche detenuto delle Brigate Rosse «Nella mia più sincera valutazione, e a prescindere dal mio caso, anche se doloroso, sono convinto che oggi esiste un interesse politico obiettivo… per praticare questa strada». A prescindere dal mio caso, dice. Anche rivolgendosi a chi è stato finora suo amico o seguace, deve adesso sorvegliarsi, non tradirsi: non chiamare in causa la propria sofferenza (solo la concessione pudica dell’ accenno, “anche se doloroso”). C’ è un intero mondo, fuori dalla sua segreta, pronto a espropriarlo delle sue parole e a leggervi la prova del suo cedimento. Vorrebbe dire l’ offesa della propria condizione, ma deve reprimersi: censurarsi per non essere censurato dai suoi carcerieri di dentro, e interdetto da amici di fuori. In questo sforzo di distanza scivola quella frase incidentale, io comincio a capire che cos’ è la detenzione. Eppure Moro aveva una fitta esperienza di carceri. In una biografia del 1969 si leggeva che «Come guardasigilli nel 1955-57… a che cosa dedica la sua maggior attenzione? Sorpresa. Alle carceri e ai carcerati, cui fa lunghe, lunghissime visite… Le sue esplorazioni in questo sottofondo della vita sociale italiana sono continue e minuziose. Vien voglia di chiedere a uno psicanalista quali potrebbero essere le motivazioni segrete della curiosa p r o p e n s i o n e per le galere e i galeotti che ha l ‘ u o m o c u i , non dimentic h i a m o l o , piacciono tanto le cravatte e i loro nodi». Più di vent’ anni dopo, l’ ex ministro della giustizia, minuzioso ispettore di carcerati, si trova sanguinosamente imprigionato, e scrive: «Io comincio a capire che cos’ è la detenzione». In un’ altra lettera, una delle più ondeggiantie demoralizzate, Moro arriverà ad auspicare per sé la stessa prigionia che subiscono i detenuti brigatisti. «Ritengo invocare la umanitaria comprensione… /per/ una legge straordinaria del Parlamento, la quale mi conferisca lo status di detenuto in condizioni del tutto analoghe, anche come modalità di vitaa quelle proprie dei prigionieri politici delle Brigate Rosse…». Un’ invidia, un auspicio dell’ ora d’ aria, di “una prigione comune, per quanto severa”! «In una prigione comune, per quanto severa, io avrei delle migliori possibilità ambientali, qualche informazione ed istruzione, assistenza farmaceutica e medica ed un contatto, almeno saltuario, con la famiglia». In quelle lezioni sulla funzione della pena, tenute solo due anni prima, Moro insiste sull’ ancoraggio della pena all’ idea della persona dotata della libertà di scegliere e di essere responsabile. Moro parla del proprio tempo- siamo nel 1976- come di «un’ epoca in movimento verso grandi attuazioni di giustizia e di civiltà umana, un’ epoca nella quale l’ uomo è chiamato a dare prova di sé con le sue scelte coraggiose nel senso della giustizia, della libertà e della dignità umana». Anche il reato, dice, è un atto di libertà, benché sia l’ atto di libertà che conduce a una scelta negativa. Dunque la pena dev’ essere personale, e legale – non dettata dall’ arbitrio di chi giudica, ma dall’ universalità della legge-e proporzionata.E la Costituzione stabilisce che la pena non possa mai consistere in trattamenti crudeli e disumani. «Vuol dire – spiega – trattamenti, vuol dire interventi, vuol dire atti di incidenza del potere pubblico sulla persona, che vadano al di là della necessità di limitare la libertà umana». La pena «è privazione della libertà, ma è soltanto privazione della libertà, non più di questo: è soltanto privazione della libertà». Di qui l’ inaccettabilità della pena di morte: «Come si potrebbe ricondurre la pena capitale nell’ ambito di interventi che non siano crudeli e disumani…? Capisco bene- aggiunge Moro,e viene in mente il vecchio e sconvolto Ugo La Malfa che nel giorno del suo rapimento si alzerà alla Camera a rivendicare la pena di morte per gli attentatori – che vi possono essere dei momenti di accesa passione popolare di fronte ad alcuni fatti gravissimi… Ma il potere pubblico deve essere ben controllato, per non farsi condurre ad immaginare che la pena sia considerata come una vendetta… Questo dell’ assassinio legale è una vergogna inimmaginabile in un regime di democrazia sociale e politica…». Meno aspettato è il capitolo che segue nella lezione di Moro, dedicato alla “pena dell’ ergastolo”. «Un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato… anche nei confronti della pena perpetua: l’ ergastolo, che, priva com’ è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte ». Interrompiamo la citazione per osservare che questa convinzione, della disumanità dell’ ergastolo come della pena capitale contrasta radicalmente con le forme di ripudio della pena di morte che vogliono compensarlo con l’ inflessibilità della reclusione a vita -argomento prevalente negli Stati Uniti. Continua il professor Moro: «Ed è, appunto, in corso nel nostro ordinamento una riforma che tende a sostituire a questo fatto agghiacciante della pena perpetua – (“non finirà mai, finirà con la tua vita questa pena!”) – una lunga detenzione, se volete, una lunghissima detenzione, ma che non abbia le caratteristiche della pena perpetua che conduce ad identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà. Questo, capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano ». Qualunque cambiamento nella vita di una persona, compreso il pentimento vero -“com’ è pur possibile” – prosegue Moro, è irrilevante se la pena esaurisce la vita di quella persona. « Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggettoe lo libera, perlomeno, con il sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, caratteristica della pena perpetua. Quando si dice pena perpetua si dice una cosa… umanamente non accettabile ». Sarete impressionati dal Moro che enuncia questi concetti. Perfino eccessivi, in un certo senso, in questo finale argomentare – “forse” – la crudeltà maggiore dell’ ergastolo rispetto alla pena di morte: convinzione non di rado pronunciata da ergastolani e simbolicamente impressionante. Purché non si dimentichino le obiezioni dai suoi due versanti. Che se si chieda ai condannati a morte di scegliere fra l’ esecuzione e la pena perpetua, sarà una minoranza a scegliere l’ esecuzione. E che agli ergastolani che preferiscano la morte a quella loro vita dovrà restare pur sempre la scelta di togliersela, la vita. Ciascuno può misurare quanta strada sia stata fatta da allora, da quel 1976, a oggi, fine di decennio del nuovo millennio: all’ indietro. Non allegherò commenti di troppo facile effetto sulla contraddizione fra la lezione di Moro e il modo della sua privata esecuzione. Finirò con le righe conclusive della lezione: «Allora ci vediamo per la lezione di venerdì. Bisogna che mi diate i nomi perché ho dimenticato il libretto sul quale, poi, registrerò le presenze».

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Dipartimenti fantasma

Se nel testo unico della sanità della Regione Lombardia c’e’ il Dipartimento veterinario perchè non c’è quello delle dipendendenze? Se lo chiede il consigliere regionale Marcello Saponaro.

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I miei articoli Le droghe Rassegna Stampa

L’invasione di campo

Con questo articolo l’ex sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, interviene nel dibattito sul festival del reggae Sunsplash

Tolmezzo chiama, Pinerolo risponde! Si potrebbe riassumere così il senso dell’intervento del magistrato Giuseppe Amato sulle questioni poste dall’azione giudiziaria contro i responsabili del festival Rototom Sunsplash di Osoppo. Mi auguro che il sostegno della corporazione si limiti a questo “aiuto” e che l’Associazione nazionale magistrati si dissoci da una così incredibile invasione di campo. Infatti il dottor Amato non si rende conto della gravità di una presa di posizione su una vicenda giudiziaria in corso, anzi appena nelle fasi iniziali. L’articolo subito pone degli interrogativi sull’arbitrarietà o meno dell’iniziativa della Procura di Tolmezzo e sempre retoricamente si domanda se di per sé tale azione comprima ingiustificatamente la libertà di associazione. È davvero stupefacente che in un’occasione così estemporanea il magistrato eviti il dovere di esprimere il proprio parere sulla legge Fini-Giovanardi, la più repressiva e punitiva d’Europa. Come tutti i lettori, avrei piacere di conoscere il suo giudizio sull’equiparazione di droghe leggere e pesanti e sull’identico sistema sanzionatorio da 6 a 20 anni di carcere per la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Sono ancora più interessato di conoscere l’opinione sulla presunzione di spaccio e sull’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino accusato. Infine, non sarebbe male apprendere la valutazione sul modo di approvazione di quella legge attraverso un decreto legge sulle Olimpiadi con la cancellazione della volontà popolare espressa dal referendum del 1993. Attraverso un ipocrita riconoscimento della filosofia rastafariana, il dottor Amato mostra di non riconoscere il valore di un pezzo della storia anticoloniale e antirazzista. Confermo il mio giudizio che ci si trovi di fronte a un’accusa inconsistente; certo la sede per una verifica sarà il processo (grazie!), ma riterrei più saggia una decisione di archiviazione. D’altronde l’utilizzo improprio di una norma controversa della legge proibizionista per costruire un teorema accusatorio che si sostanzia nell’agevolazione dell’uso di marijuana rappresenta un tributo al pregiudizio ideologico e moralista. Tralascio i paragoni con i rave party assolutamente fuoriluogo, ma esprimo la costernazione per l’ipotesi di una nuova legge per una preventiva autorizzazione del questore di tali manifestazioni musicali. Stato etico & Stato di polizia: un bel segno dei tempi. Il sovraffollamento delle carceri è causato proprio dalla legge sulle droghe, che riempie gli istituti penitenziari di tossicodipendenti come Stefano Cucchi; anche i tribunali sono ingolfati per procedimenti di questo segno, solo il dottor Amato non se n’è accorto. Il pezzo si chiude con il richiamo severo all’“inaccoglibilità di critiche pretestuose” contemperato dall’esigenza di un approccio “laico”. Dottor Amato ha proprio fatto bene a mettere tra virgolette il termine laico, perché lei appartiene senza dubbio alla scuola dei chierici! *già sottosegretario alla Giustizia segretario di Forum droghe presidente de La società della ragione.

Articolo pubblicato su Il Messaggero Veneto, 22.11.09

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I miei articoli Le carceri Rassegna Stampa

Yassin morto per ingiustizia

Articolo pubblicato da Terra del 19 novembre 2009.

Yassin avrebbe compiuto tra pochi giorni diciotto anni. Mi sono ricordato la canzone interpretata dai Tetes De Bois, “Non si può essere seri a diciassette anni”  e provo uno strazio indicibile   pensando alla sofferenza di un giovane venuto dal Marocco,  alla sua solitudine e a una voglia di vivere disordinata.
E’ il sessantacinquesimo suicidio in carcere in questo anno di dis/grazia 2009, per fortuna non ci siamo assuefatti alla tragedia continua; ma questa morte in qualche modo annunciata fa aumentare la rabbia per il segno di una  profonda ingiustizia.
Tutti gli operatori del carcere erano consapevoli della sua condizione difficile, psicologica e personale, e avevano sottolineato in più occasioni uno stato di incompatibilità con la detenzione. Ma la decisione del ricovero in ospedale è stata decisa fuori tempo massimo, il ritardo pare dovuto al palleggiamento  sulla competenza tra il reparto di psichiatria infantile e quello degli adulti e ci sarebbe da sorridere della capacità della burocrazia medica di giocare sulla pelle dei pazienti se non fossimo davanti a una morte crudele.
Questa storia offre molte conferme del carattere di giustizia di classe e addirittura etnica che si pratica in Italia nel silenzio e nella distrazione di tanti. Solo uno straniero sostanzialmente solo poteva rimanere in carcere in attesa del processo per tentato furto di un orologio. D’altronde la retorica della certezza della pena per qualcuno deve pur valere! Così si spiega la preoccupazione del magistrato che, se rimesso in libertà, Yassin non si sarebbe presentato al processo. C’è evasione e evasione: quella dalla vita è inspiegabile ma quella dalla legalità è intollerabile, pare.
Ma possiamo anche pensare a un’altra spiegazione più sollecita della sorte di un giovane in difficoltà: meglio in carcere che in strada. Così non è stato. Anche perchè la costrizione non aiuta un soggetto fragile. L’attenzione del carcere, che c’è stata, in casi del genere si traduce nella formula di assicurare un’alta sorveglianza. Forse c’era bisogno di amore ed è una richiesta impossibile.
Tanti giovani sono in carcere per reati minimi, furti o piccolo spaccio, e soffrono per la mancanza di libertà in modo lancinante; dobbiamo avere  il coraggio di proporre una riforma degli Istituti Penali Minorili perchè non siano dei mini carceri con sbarre e porte d’acciaio, ma “case” con pratiche di convivialità e solidarietà.
La devianza dei giovani è legata ai miti degli adulti, all’esercizio del potere della violenza, della sopraffazione e della ricchezza. Occorre disegnare un luogo fondato sulla responsabilità e sulla ricerca della felicità. Il carcere è inutile e dannoso e spesso dà la morte.

Franco Corleone

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Agenda

La legge antidroga e il carcere: il caso Toscana

Immagine 2Forum Droghe
Fondazione Michelucci

La legge antidroga e il carcere: il caso Toscana
Presentazione della ricerca commissionata dalla Regione sull’impatto penale e sanzionatorio della normativa

Consiglio Regionale della Toscana
Martedì 17 novembre 2009, ore 10,00 – 13,00 Sala Gigli, Via Cavour 4, Firenze

Presentazione di Sandro Margara – Presidente Fondazione Michelucci
Illustrazione dei risultati della ricerca: Alessio Scandurra e Massimo Urzi

Contributi di:
Patrizia Meringolo – Professore Ordinario di Psicologia Università di Firenze
Patrizio Nocentini – Dirigente Responsabile del Settore Integrazione Socio Sanitaria
Grazia Zuffa –Comitato Scientifico Forum Droghe, Direttrice di Fuori Luogo
Enrico Rossi – Assessore alla Sanità della Regione Toscana

Interventi programmati:
Beniamino Deidda – Procuratore Generale della Repubblica di Firenze
Henri Margaron – Responsabile Sert Livorno
Elisabetta Masini – NOT Nucleo Operativo Tossicodipendenze Prefettura di Firenze
Arcangelo Alfano – Responsabile di Prevenzione e Cura delle condotte di abuso e delle dipendenze
Pierluciano Mennonna – SILP CGIL Firenze
Riccardo De Facci – Responsabile Nazionale Tossicodipendenze
Antonio Lucchesi – Responsabile Settore Dipendenze C.N.C.A. Toscana
Michele Passione – Avvocato
Valentina Orvieto – Avvocato
Maria Stagnitta – Associazione Insieme
Massimo Niro – Giudice di Sorveglianza del Tribunale di Firenze
Mariella Orsi – Responsabile Cesda
Mariagrazia Di Bello – Dirigente Sert Penitenziario di Sollicciano
Susanna Falchini – Responsabile UFM Sert Firenze 2 Asl
Paola Trotta – Direttrice Dipartimento Dipendenze Asl Firenze
Gianfranco Politi – Responsabile Area Educativa Sollicciano
Fabio Roggiolani – Presidente Commissione Sanità Regione Toscana
Anna Maria Celesti – Vice Presidente Commissione Sanità Regione Toscana
Severino Saccardi – Consigliere Regionale Toscana
Enzo Brogi – Consigliere Regione Toscana
Alessia Petraglia – Consigliere Regione Toscana
Monica Sgherri – Consigliere Regione Toscana

Conclude:
Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

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I miei articoli Rassegna Stampa

La verità sull’omicidio Tobagi

tobagi2mMartedì 13 ottobre alle ore 11,30
Circolo della Stampa, c.so Venezia, 4
Sala Lanfranchi

LA LIBERTA’ DI STAMPA E LA CONDANNA DI MAGOSSO
LA VERITA’ SULL’OMICIDIO TOBAGI E’ UN DIRITTO

Domani inizia il processo d’appello contro il giornalista Renzo Magosso e l’ex sottufficiale dei carabinieri Dario Covolo condannati per la pubblicazione sul settimanale Gente di una intervista in cui si rivelava che Tobagi avrebbe potuto essere salvato. Infatti un confidente, con il nome in codice il postino, aveva annunciato la preparazione dell’attentato contro il giornalista del Corriere della Sera. L’informativa non venne presa sul serio e il 28 maggio Walter Tobagi, senza protezione cadde sotto i colpi della banda di Barbone, che 15 giorni prima aveva ferito il giornalista di Repubblica Guido Passalacqua.
Ora, a distanza di quasi trent’anni, è venuto alla luce un documento che prova la veridicità di questa sconvolgente rivelazione.
Rompiamo la catena di errori, omertà, misteri, insipienza!
Intervengono:
Franco Corleone, già Sottosegretario alla Giustizia
Paolo Corsini, deputato del Partito Democratico
Elisabetta Zamparutti, deputata radicale
Giorgio Galli, storico e politologo
Marco Boato, già deputato verde
Presiede
Giovanni Negri, presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti
Saranno presenti Renzo Magosso e Dario Covolo