Articolo per Notizie Verdi del 14 marzo 2009.
Antonio Maria Costa, capo dell’Agenzia antidroga delle Nazioni Unite, sognava forse di ripetere i fasti dell’Assemblea Generale di New York del 1998 nella quale fu accolto il Piano Arlacchi per un mondo senza droga da conquistare in dieci anni. Era un obiettivo irrealistico ma dotato di fascino millenaristico; Pino Arlacchi finì malamente la sua avventura all’Onu e l’oscuro professore raccolse la difficile eredità.
Bisogna riconoscergli una certa abilità nel tessere rapporti di potere con gli stati più potenti e che influenzano le scelte di politica internazionale sulle droghe e soprattutto nell’avere costruito la 52° assise della CND come occasione per riproporre la strategia perdente della proibizione e della repressione.
Occorre una capacità diabolica nel trasformare un fallimento conclamato che dovrebbe portare a cambiare rotta e a licenziare i responsabili di una strategia meramente illusoria e consolatoria, in un riaffermazione pervicace della stessa strada spacciando dati e cifre diversi dalla realtà.
Non solo, l’impudenza arriva a chiedere maggiori fondi e soldi per un organismo, l’Unodc, già oggi costoso, inutile e dannoso.
Per fortuna l’Economist, l’autorevole settimanale britannico proprio nei giorni della riunione di Vienna invitava a cessare la guerra alla droga, corredando questa richiesta con il quadro dei costi e degli insuccessi.
Un lavoro intenso della diplomazia doveva portare a una nuova Dichiarazione Politica che rappresentasse un diverso livello di consapevolezza dei problemi e di attenzione alle pratiche sociali che in questi dieci anni si sono sviluppate sotto la denominazione di riduzione del danno. In questo compito l’Unione Europea aveva assunto un ruolo che ridimensionava il tradizionale strapotere degli Stati Uniti e dei paesi satelliti, autoritari e non democratici.
Il colpo di scena è avvenuto quando l’Italia, fino a quel momento silente e d’accordo con i 27 paesi dell’Unione si è pesantemente smarcata e con l’alleanza della Svezia, tradizionale punto di riferimento del paternalismo solidarista e del moralismo contro il “vizio” in nome della virtù ha pesantemente contestato l’inserimento nel testo del riferimento alle politiche di salute pubblica.
Così è stato. La pressione di Carlo Giovanardi da Roma, con il sostegno del Vaticano, in nome della Vita, ovviamente, ha avuto successo e dal testo ridotto a un collage di frasi banali e retoriche messo insieme da burocrati annoiati è scomparso il riferimento alla riduzione del danno.
Un documento senza anima e che raggiunge il ridicolo quando rinvia al 2019, l’obiettivo dell’eliminazione della produzione e del consumo di sostanze stupefacenti.
Lord Keynes ammoniva che a lungo termine saremo tutti morti. Ma ai guerrieri della droga fa comodo illudere sul futuro per continuare a ingannare sul presente.
Ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La prepotenza italiana non è piaciuta a molti e per la prima volta in sede di approvazione di un documento che non viene votato ma accolto e adottato per consenso, un nutrito gruppo di paesi, soprattutto europei, hanno espresso una riserva puntuale sul Documento censurando l’assenza di un riferimento che è diventato l’elemento discriminante. Quando il rappresentante della Germania, a nome della Gran Bretagna, della Spagna, del Portogallo, dell’Olanda e di altre venti nazioni, ha fatto la dichiarazione, si è capito che il castello di carta fondato sull’unanimismo pigro era irrimediabilmente crollato. L’ira del delegato della Russia rendeva plasticamente il significato della svolta.
Un altro colpo all’ipocrisia del Palazzo di Vetro è venuto dall’intervento del Presidente Evo Morales che ha chiesto con pacatezza ma altrettanta fermezza la cancellazione dalla tabella delle sostanze vietate la foglia di coca in nome del rispetto della cultura delle popolazioni indigene e della produzione dei contadini boliviani. Morales ha sottolineato il carattere politico della sua richiesta e ha difeso l’utilizzo millenario di una pianta che non può essere sradicato autoritariamente con una decisione del 1961. I sepolcri imbiancati sono ancor più impalliditi quando Morales ha iniziato a masticare una foglia di coca!
Solo Giovanardi può essere soddisfatto del ruolo dell’Italia, come fanalino di coda dell’Europa. A Trieste si celebra infatti il trionfo della carcerazione di massa e della criminalizzazione di migliaia di giovani grazie a una legge che punisce il consumo di tutte le sostanze con pene spropositate. I tossicodipendenti marciscono in galera, ma questa decisione è per il loro bene, comunque per salvare la loro anima e redimerli dal peccato. La provincia sa essere davvero crudele!
Franco Corleone