Categorie
I miei articoli Le droghe

Uruguay: la battaglia di Canne

Uruguay-legalize-marihuanaFranco Corleone scrive per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dell’8 gennaio 2014.

Il 10 dicembre del 2013 il Senato dell’Uruguay ha approvato definitivamente una legge di legalizzazione della canapa che rovescia il paradigma su cui si è costruita l’ideologia del proibizionismo. Due anni fa (Manifesto, 13 aprile 2011) in questa rubrica ci eravamo occupati della discussione in atto nel Parlamento di quel Paese sulle soluzioni possibili per sconfiggere il narcotraffico e per affermare una politica di riduzione del danno.

Non è stata una decisione facile né improvvisata. Oggi possiamo dire pubblicamente che abbiamo avuto qualche ruolo in questa svolta epocale, infatti chi scrive assieme a Riccardo De Facci e Cecco Bellosi ebbe tre anni fa un lungo incontro di lavoro con l’Ambasciatore dell’Uruguay a Roma presentando idee e proposte che largamente sono state recepite. Potremmo dire che la proposta di legalizzazione della cannabis presentata alla Camera dei Deputati in Italia nel 1995 (A.C. n. 2362) e nel 1996 (A.C. n. 128) con oltre 150 sottoscrizioni ha visto la luce a Montevideo.

Infatti è prevista per la prima volta nel mondo la regolamentazione della produzione, della vendita e del consumo ammettendo esplicitamente non solo l’uso terapeutico ma anche quello ricreativo. E’ prevista anche la coltivazione per uso personale individualmente e attraverso i cannabis club.

Si è così dimostrato che una forte e rigorosa volontà politica supera i tabù ideologici e i pretesi divieti imposti dalle Convenzioni internazionali; il presidente Mujica ha affermato con nettezza che cento anni di persecuzione del consumatore non hanno prodotto alcun risultato e che l’alternativa è rappresentata da un consumo responsabile e vigilato, fuori dai circoli criminali.

L’obiettivo dichiarato è la salute pubblica da raggiungersi attraverso politiche educative e la prevenzione dell’uso problematico, con il divieto di ogni forma di pubblicità. E’ previsto il controllo del livello di Thc presente nelle piante e la qualità del prodotto. Il prezzo concorrenziale a quello del mercato sarà di un dollaro al grammo.

La scelta dell’Uruguay, un paese di soli tre milioni e mezzo di abitanti, ha dimostrato che con relativa facilità ci si può sottrarre ai ricatti delle agenzie dell’Onu. Il presidente dell’Ufficio Internazionale di Controllo sui Narcotici (INCB) Raymond Yans ha proclamato che la riforma non protegge i giovani e addirittura produrrà un effetto perverso di incoraggiamento verso una precoce sperimentazione.  David Dadge, portavoce dell’Unodc ha lamentato che l’Uruguay abbia preso una decisione da solo senza aspettare gli esiti dell’Assemblea Generale dell’Onu prevista per il 2016. Non mancano gli anatemi sul fatto che l’Uruguay con la sua scelta radicale, più rigorosa di quella dell’Olanda, abbia violato la Convenzione del 1961 di cui è parte. Sono ululati dei cani da guardia di una narcoburocrazia al tramonto, perché il fallimento della war on drugs è sotto gli occhi di tutti.

Dopo la vittoria della Bolivia di Morales all’Onu per il riconoscimento della legittimità dell’uso della foglia di coca come patrimonio della cultura indigena, dall’America latina arriva dunque una nuova lezione. D’altronde anche negli Stati Uniti, senza squilli di tromba, si sono registrate significative riforme della legislazione sulla marijuana in ben dodici stati nel 2013.

E’ ora che anche l’Italia abbandoni la politica di repressione che riempie le galere di consumatori per il possesso di sostanze stupefacenti, in notevole percentuale di canapa, e per fatti di lieve entità. Nel decreto Cancellieri sul carcere si comincia ad avanzare qualche modesta proposta di modifica della Fini-Giovanardi. Il Parlamento mostri più coraggio!

Marijuana: come funziona la legge dell’Uruguay nell’infografica su fuoriluogo.it

Categorie
I miei articoli Le droghe

Droghe e politica, l’erba dell’Uruguay è più verde

Franco Corleone scrive sulla proposta di legalizzazione della coltivazione della canapa nel paese sudamericano per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 13 aprile 2011. Vai allo speciale sulla politica delle droghe in Sud America su fuoriluogo.it.

Alicia Castilla

Dall’Uruguay giunge la notizia della presentazione in Parlamento di una proposta di legge per la legalizzazione della coltivazione per uso personale della canapa.
L’Uruguay è un paese che ha abbandonato la war on drugs e recentemente ha avuto una svolta politica progressista. La legge non criminalizza l’uso personale di droghe e il governo dà la priorità al perseguimento dei grandi spacciatori invece di concentrare risorse ed energie contro i pesci piccoli. Nell’ultimo decennio, si è mostrata una certa larghezza di vedute soprattutto verso la marijuana: la norma non punisce il possesso di un cosiddetto “ragionevole quantitativo” per consumo personale, la cui legittimità è affidata alla discrezionalità del giudice. Dal 2007, diversi gruppi di attivisti pro-canapa hanno aperto un confronto con le autorità per chiedere la legalizzazione della auto coltivazione.
La vicenda è però esplosa nello scorso gennaio quando una giudice, Adriana Aziz, ha imprigionato Alicia Castilla, nota militante, autrice di due volumi sulla cultura della canapa e che pubblica ogni anno un Almanacco sulla coltivazione biodinamica della marijuana.
E’ così scoppiata la contraddizione di una legge che contemporaneamente vieta la coltivazione e ammette il possesso di una “ragionevole” quantità di sostanza per il consumo privato.
Il 24 febbraio si è svolta una manifestazione davanti alla Suprema Corte per la liberazione di Castilla e di altri 350 persone condannate per il possesso di piccole quantità di marijuana. Il portavoce della Suprema Corte Raul Oxandabarat in una conferenza stampa ha ammesso l’esistenza di un vuoto legislativo e lo Zar antidroga Milton Romani ha riconosciuto che “non è prudente incarcerare una donna che chiaramente non costituisce alcun pericolo per la salute pubblica”. Immediatamente la politica ha battuto un colpo: il deputato Sebastian Sabini del Movimento di partecipazione popolare (MPP), ha presentato una proposta di legge per la legalizzazione  della canapa,  stabilendo la liceità del possesso fino a 25 grammi e della coltivazione domestica fino ad otto piante femmine. Sabini è un esponente del maggior partito della coalizione di governo e ha trovato l’accordo con Nicolas Nunez, leader del Partito Socialista. Anche parlamentari dell’opposizione hanno predisposto un testo di riforma ma lasciando al giudice la valutazione sulla destinazione della sostanza detenuta, se per uso o per spaccio.
Sono interessanti le analogie con la situazione giuridica italiana, in ambedue i paesi le norme ricalcano i trattati Onu: l’articolo principale (il 73 della legge italiana, il 3 di quella uruguayana) criminalizza indiscriminatamente tutte le condotte, dal traffico, alla coltivazione, al possesso. Le norme che in Uruguay depenalizzano il possesso di “ragionevoli quantità” (in Italia infliggono solo punizioni meno drastiche) si presentano come una sorta di “eccezione” alla norma generale e rimane la questione se la coltivazione ad uso personale debba essere equiparata alla detenzione. In Italia, una recente sentenza del tribunale di Milano stabilisce l’equiparazione, nonostante altre sentenze della Cassazione di segno ( ne ho scritto sul manifesto, 11/2/ 2010).
Quanto alla politica, il capo del Dipartimento antidroga italiano, Giovanni Serpelloni si diletta a commissionare studi sui pretesi danni dell’uso di cannabis, mentre nel mondo si ragiona su come eliminare i danni certi prodotti dall’incarcerazione per una sostanza a minor rischio come la marijuana. Carlo Giovanardi (cui si deve l’approvazione della legge che ha equiparato tutte le droghe e che ha contribuito a riempire le galere di tossicodipendenti e di presunti spacciatori) sostiene che in Italia il consumo non è penalizzato, ma sanzionato solo in via amministrativa. Non è così, perché la detenzione di una quantità superiore a quello stabilita dal governo (tramite semplice decreto del ministro della sanità) apre le porte delle prigioni (da sei a venti anni di carcere, da uno a sei solo in caso il giudice riconosca la “lieve entità” del reato).
Qualche anno fa, Ethan Nadelmann, direttore della Drug Policy Alliance, intitolava un saggio sulla politica globale delle droghe “L’Europa ha qualcosa da insegnare all’America”. Dopo l’autorevole appello dei tre ex presidenti sudamericani Cardoso, Gaviria, Zedillo a superare la “guerra alla droga”, dopo la richiesta di Evo Morales di emendare i trattati Onu per legalizzare la foglia di coca, possiamo dire: l’Europa ha qualcosa da imparare dall’America Latina.