L’Italia lavora in silenzio, lontano dai riflettori, senza discutere con associazioni e operatori del settore. E la Gelmini è il nuovo testimonial antidroga
La questione della politica delle droghe in questo momento appare fuori dall’agenda della politica e si situa in un cono d’ombra adatto alle trame oscure, lontana dai riflettori della cronaca e del dibattito pubblico. Si tratta di un mistero che appare inspiegabile se solo si rifletta sul fatto che le carceri sono tornate, dopo la breve parentesi di vivibilità assicurata dall’indulto, a un sovraffollamento dovuto in massima parte agli effetti dell’applicazione della legge Fini-Giovanardi. Il mistero trova la sua ragione nel fatto che il corto circuito mediatico che dà il la per determinare gli umori della società italiana ha individuato come emergenze da cavalcare oggi, gli stupri, i rom, l’immigrazione, le ronde per la “sicurezza delle città”. La droga e l’alcol sono funzionali alla strategia dell’allarme sociale e della paura solo nel caso di incidenti stradali che causano la morte di pedoni, ciclisti o altri automobilisti.
Nonostante gli sforzi di alcuni pseudo scienziati che preconizzano l’esplosione del flagello droga a causa della diffusione dei consumi di sostanze stupefacenti non solo tra i giovani ma in ampie fasce della popolazione, il pericolo ipotizzato sulla base di estrapolazioni statistiche arbitrarie, non viene preso sul serio. Puzza troppo di moralismo e di tolleranza zero. Ecco perché Carlo Giovanardi, che si è appassionato al ruolo di piccolo zar italiota nella strumentale guerra alla droga, può lavorare per preparare la Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze convocata a Trieste per il 12 marzo nella più assoluta clandestinità, con il mancato coinvolgimento dei principali attori della politica delle droghe, con una programmazione blindata delle sessioni tematiche senza spazi di dibattito libero aperto ai partecipanti e soprattutto con l’assenza di un confronto reale sulla legge punitiva approvata nel 2006 e con la censura assoluta della riduzione del danno.
Purtroppo questa impostazione provinciale non si ferma all’interno dei nostri confini ma tenta di affermarsi in sede internazionale sostenendo un fronte di Paesi proibizionisti, autoritari e antidemocratici nella discussione che si sta svolgendo a Vienna in vista della riunione dell’Onu che dovrà approvare una nuova dichiarazione politica per definire le linee della politica globale sulla droga a partire da un bilancio delle scelte fallimentari decise dall’Assemblea generale del 1998 a New York. Allora fu approvato il cosiddetto Piano Arlacchi caratterizzato dall’obiettivo demagogico di un mondo senza droga. La narcoburocrazia che vive di menzogne e retorica tenta un ultimo colpo di coda approfittando dell’assenza di un cambio di posizione chiaro da parte di Obama. Così l’Italia ha rotto l’unità dell’Unione europea sul punto qualificante della riduzione del danno. Ovviamente anche Antonio Costa, che sta manovrando per avere un prolungamento fino al 2010 del suo incarico di direttore dell’Unodc, l’Agenzia antidroga dell’Onu, sta dando il suo contributo per impedire una revisione delle politiche reazionarie. è arrivato al punto di sostenere che la riduzione del danno è paragonabile all’azione di chi offrisse zucchero a un malato di diabete.
Intanto Giovanardi lancia un portale per scuole “drugfree” con il sostegno del ministro Mariastella Gelmini che sostituisce come testimonial il povero Don Gelmini. Forum droghe a Trieste non mangerà questa polpetta avvelenata.
Franco Corleone
Da Notizie Verdi, Anno V – n. 53, domenica 8 marzo 2009