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comunicati stampa In Primo Piano Le carceri

Sulle carceri Severino non fa la cosa giusta

Ogni giorno un nuovo morto nelle carceri e le risposte del Governo sono il silenzio. La Ministra Severino visita le carceri ma non fa l’unica cosa che dovrebbe fare: proporre un decreto legge per eliminare le norme più odiose della legge Giovanardi sulle droghe, che causano la carcerazione di metà dei detenuti presenti. Il testo è quello della proposta di legge dell’onorevole Cavallaro, (n. 4871) e quello della proposta dei senatori Ferrante e Della Seta (n. 2798).

Se si vuole onorare l’impegno anche su questo argomento del Consigliere Loris D’Ambrosio, bisogna agire immediatamente. Lo strumento del decreto legge è più che legittimo di fronte ad una strage di legalità e a una situazione di prepotente urgenza, come ha affermato il Presidente Napolitano.

D’altronde la legge Giovanardi senza alcun fondamento giuridico e con un colpo di mano costituzionale fu approvata con un  decreto legge e con un doppio voto di fiducia.

Quindi la strada è indicata per ridurre le pene per i fatti di lieve entità riguardo la detenzione di sostanze stupefacenti e impedire così l’ingresso in carcere di migliaia di consumatori, di tossicodipendenti, di piccoli spacciatori di canapa e di coltivatori di una piantina di marijuana.

Franco Corleone
Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti

 

 

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I miei articoli Le carceri

Carcere, le cose da fare subito

Franco Corleone scrive per la rubrica settimanale di Fuoriluogo sul Manifesto del 18 aprile 2012:

I buoni propositi di Paola Severino, ministro della Giustizia, per affrontare la crisi del carcere rischiano di tradursi in un desolante nulla. Alla radice, manca un’idea della funzione del carcere e dei luoghi della pena. C’è bisogno di un profondo cambio di paradigma, anche con nuove leggi per eliminare i fattori che producono sovraffollamento e perpetuano un carcere “infantilizzante” (in contrasto con l’ambizione del principio costituzionale del reinserimento del reo nella società). Sostenere che per il governo tecnico non c’è spazio per interventi radicali, è un alibi senza senso che conduce alla paralisi. Così facendo nessuno è costretto ad assumersi precise responsabilità.
Come ho già avuto modo di dire, purtroppo molte volte, il sovraffollamento non è un accidente, un fatto dovuto al caso, ma è il prodotto di scelte politiche e di leggi criminogene, in primo luogo della legge sulle droghe. Il ministro per primo dovrebbe denunciare questo fatto e proporre una modifica almeno parziale dell’attuale legge antidroga, sulla linea del testo presentato già alla Camera dall’on. Cavallaro e al Senato dai senatori Ferrante e Della Seta.
Così si abbatterebbe drasticamente l’ingresso in carcere di consumatori, piccoli spacciatori e tossicodipendenti che ancora nel 2011 sfiorano il 50% degli ingressi e delle presenze in carcere. Si pensi che su 68.000 ingressi ben 23.000, cioè il 33% è per violazione dell’art. 73 (detenzione di sostanze stupefacenti) del Dpr 309 del 1990, riveduto e peggiorato dalla legge 49 del 2006. Il ministro Severino dovrebbe avere il coraggio di portare in Parlamento un decreto legge (esistono tutti i presupposti di necessità e urgenza, che al contrario non c’erano quando fu approvata la legge del 2006, con un colpo di mano incostituzionale di Giovanardi, lasciato passare colpevolmente dal Quirinale).
La cancellazione della legge Cirielli sulla recidiva e il ripristino della legge Simeone-Saraceni sarebbero il necessario corollario di una bonifica legislativa non rinviabile.
Ovviamente non basta. Occorre un piano per l’applicazione larga della legge sulla detenzione domiciliare coinvolgendo le Regioni e i Comuni; e un progetto per l’uscita dal carcere dei tossicodipendenti, almeno diecimila, con inserimenti sul territorio e in comunità di accoglienza.
Se infine si adottassero le misure necessarie per ridurre la carcerazione preventiva, allora il carcere tornerebbe ad una dimensione “fisiologica” e si potrebbe sperimentare un modello simile a quello spagnolo o danese (tanto per dare due riferimenti europei).
In ogni modo, si dovrebbe partire subito con l’applicazione integrale delle misure, sia strutturali che gestionali, previste dal Regolamento del 2000 (con un ritardo vergognoso di dodici anni).
Nel volume Il corpo e lo spazio della pena (Ediesse, 2011), si affronta il nodo dell’edilizia carceraria: gli stessi muri e le stesse sbarre contengono il mafioso e la persona in attesa di giudizio, il camorrista e il semilibero, lo stragista e la detenuta madre. E’ un evidente paradosso, che svela un intento di mero ammassamento di corpi, senza rispetto per la dignità delle persone private della libertà.
Altro che privatizzazione delle carceri, occorre un piano di socializzazione e di ridisegno urbanistico della città!