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«La galera ha bisogno di aria e di luce»

Il corpo e lo spazio della pena: un libro di prossima uscita su architettura, urbanistica e politiche penitenziarie. A colloquio con uno dei tre curatori, Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti e Garante a Firenze. Le riforme possibili, le riflessioni sul senso della pena

«Il sovraffollamento delle carceri non è come un terremoto, un incidente naturale, al contrario è il frutto di scelte sbagliate».  Chi parla è Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001, attualmente Garante per i diritti dei detenuti a Firenze e Coordinatore nazionale dei Garanti territoriali. Tra le mani mostra l’ultima fatica Il corpo e lo spazio della pena (Ediesse edizioni), in libreria dal prossimo 23 novembre. È il frutto di un lavoro collettivo, nato da due seminari del 2009 e 2010, di cui Corleone è uno dei tre curatori, accanto a Stefano Anastasia, docente di Filosofia e Sociologia del Diritto a Perugia, e Luca Zevi, architetto e urbanista.

«Nel libro c’è l’ambizione – aggiunge Corleone – di proporre un disegno di politica della giustizia e di politica penitenziaria. Mi auguro che il nuovo ministro abbia voglia di tenerne conto perché c’è tutto: da come concepire gli spazi e i luoghi dell’architettura penitenziaria, all’idea che il carcere debba essere un luogo di responsabilizzazione e non dove si ritorna infantili, c’è il tema delle pene alternative, dei limiti che deve avere la carcerazione preventiva e altro ancora. Sono 15 interventi, di altrettante persone che si dedicano da anni su questi temi, che non posso elencare tutti, ma che riflettono – ritengo – la frase finale con cui Adriano Sofri chiude il suo intervento che vorrei citare: “Io penso che il fine della pena sia la fine della pena”. Come non essere d’accordo?»

Dottor Corleone, si diceva degli spazi e dei luoghi dell’architettura penitenziaria…

Non si risolve l’emergenza con nuove carceri. Certo, bisogna costruirne di nuove ma giusto per chiudere quelle immonde dove adesso si accatasta la gente. Carceri vecchie, antiche, dove diventa difficile garantire il recupero, la salute e la dignità dei reclusi. Poi bisogna cominciare a distinguere: non si possono mettere negli stessi luoghi le mamme con i figli, le persone in attesa di giudizio, i semiliberi e i detenuti con il 41-bis. Bisogna differenziare, costruire luoghi diversi e separati, in questo consiste il ripensare l’architettura dell’edilizia penitenziaria.

Ma intanto c’è il degrado degli oltre 67mila ristretti…

Come dicevo, non è un degrado naturale e inevitabile, è frutto di errori, culturali e politici innanzitutto. In cifre: se in un anno passano dalle carceri 80mila persone, sappiamo che 26mila sono piccoli spacciatori, di cui 16mila sono tossicodipendenti, e che il 40% di chi entra è in attesa di giudizio. Che senso ha mischiare tutti negli stessi identici luoghi. Ci sono esperienze all’estero dove il tema della differenziazione dei luoghi è stato affrontato, penso alla Danimarca. Sarebbe anche un modo per introdurre responsabilità e non infantilismo. Che senso ha chiedere a uomini maturi, in attesa di giudizio, magari con una vita famigliare professionale alle spalle, di dover fare la “domandina” per una scatola di pomodori? Che senso ha mettere negli stessi luoghi chi è in semilibertà e chi deve scontare venti anni? Ad esempio, bisognerebbe creare quelle che chiamiamo le Case della semi-libertà, luoghi dove costruirsi il futuro.

Oltre l’architettura?

Oltre l’architettura, oltre il corpo e lo spazio della pena, c’è tutto il resto: ripensare il senso della pena, abolire leggi criminogene sulla droga che inchiodano nelle carceri decine di migliaia di persone, chiudere gli OPG, fare davvero una riforma della giustizia, riscrivere il codice penale, rivisitare la riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria limitandone i compiti al controllo delle sezioni del 41-bis e dell’Alta Sicurezza, alle traduzioni e alla vigilanza antievasione.

E le altre funzioni?

Affidarle a un Corpo civile che sviluppi percorsi educativi e trattamentali riprendendo, ad esempio, il modello della Catalogna. Le cose da fare sono molte e possibili. Ma siamo in ritardo.


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Corleone: Sunsplash, assurda repressione

L’ex sottosegretario alla giustizia del Governo Prodi, Franco Corleone, ieri a Tolmezzo per un convegno sulla crisi della giustizia a Tolmezzo, ha affrotato pure la vicenda dell’arresto del luogotenente Demetrio Condello. «Anche la legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti – ha detto – sull’onda del proibizionismo produce realtà come questa. È la legge in sé che ha un rischio altissimo di abuso». Corleone si riferisce in particolare all’utilizzo di agenti provocatori, di infiltrati, di acquisti simulati e ad un pensiero unico della guerra alla droga che facendo assumere un valore artificiale a sostanze che, se non proibite, non varrebbero nulla, creerebbero situazioni in cui anche operatori delle forze dell’ordine rischiano di rimanere incastrati. Corleone se la prende poi anche con quello che considera un accanimento contro il Rototom Sunsplash a Osoppo: «La legge Fini-Giovanardi produce più danni delle sostanze stupefacenti e quando la giustizia persegue eventi culturali di spessore come il Rototom Sunsplash fa più danni della marijuana. È stata una caccia alle streghe con toni nell’accusa di tipo moralistico contro una manifestazione culturale di spicco che oggi è ospitata in Spagna. È stato tolto a Osoppo un evento importante sotto il profilo culturale, sociale ed economico per ricacciare questa terra in una visione perbenista, arretrata e chiusa in se stessa. È una legge di impostazione moralistico-ideologica, con cui si incarcerano i giovani, è basata sul pensiero unico della guerra alla droga che ormai è condannata anche dal segretario dell’Onu, dall’ex presidente del Brasile e da altri». Corleone sul sovraffollamento delle carceri italiane osserva che il 50% dei detenuti sono tossicodipendenti o in carcere per piccole violazioni della legge sulle droghe. E le pene previste vanno da 6 a 20 anni. Per Corleone i tossicodipendenti non dovrebbero finire in carcere e quella legge non produce né salute, né sanità pubblica, ma l’esatto contrario. Per questo sarebbe necessario un nuovo codice penale con un diverso approccio. I dati di ieri delle carceri del Fvg parlano di una capienza regolamentare totale di 493 detenuti, ma ve ne sono 876, di cui 220 tossicodipendenti. Quello di Tolmezzo di fronte ai 148 detenuti ammessi, ve ne sono invece 303, di cui 77 tossicodipendenti. (t.a.)
Dal Messaggero Veneto, 05 agosto 2011

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Lunedì consiglio comunale aperto a Sollicciano

Il presidente Giani: “Occasione di ascolto per dare risposte”. In primo piano i temi del sovraffollamento, delle residenze per le persone in semi libertà e per le detenute con figli minori.
Consiglio comunale aperto a Sollicciano. L’assemblea cittadina lunedì prossimo salterà il consueto appuntamento nel Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio per riunirsi nel carcere di Firenze dalle 15 alle 18. “Sarà un momento molto significativo – ha detto il presidente del consiglio comunale Eugenio Giani – un’occasione per ascoltare i diretti interessati. Lunedì l’ascolto sarà la cosa più opportuna da fare, più importante della presentazione delle singole posizioni politiche”.
Alla seduta parteciperanno oltre ai consiglieri e agli assessori Stefania Saccardi e Rosa Maria Di Giorgi, i detenuti, gli agenti di custodia, il garante dei diritti dei detenuti nominato dal Comune Franco Corleone, il direttore del carcere Oreste Cacurri, il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo. “Discuteremo – ha spiegato il presidente del consiglio comunale Giani – dei molti problemi già sollevati dal Garante e in particolare della sede per le residenze delle persone in semi libertà, degli alloggi per le detenute madri con i figli minori, del sovraffollamento”.

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L’ergastolo bianco di chi vive da detenuto (ma non lo e più…)

<em>Si chiamano internati: sono i reclusi che, dopo aver scontato una pena, non vengono liberati perché considerati pericolosi. Un residuo di archeologia giuridica che viola la Costituzione.</em>
Vivono in carcere a tempo indeterminato, senza un fine pena perché una pena da scontare non ce l’hanno. Dovrebbero lavorare, ma per la maggior parte del tempo oziano in cella, a fianco dei detenuti, A oggi sono circa trecento gli internati nelle case di lavoro, persone giudicate socialmente pericolose o delinquenti abituali e sottoposte a una misura di sicurezza detentiva anche dopo aver pagato il loro debito con la giustizia. In teoria la loro condizione non dovrebbe equivalere a quella di chi sconta una pena. Di fatto, però, la distinzione tra detenuto e internato è solo sulla carta e quelle che si chiamano case di lavoro spesso sono dei penitenziari da cui si rischia di non uscire più. L’altro rischio è di finire nelle porte girevoli delle misure di sicurezza detentive per cui si rientra in cella appena dopo esserne usciti.
Gli internati chiamano la loro condizione “ergastolo bianco”, perché la misura di sicurezza può essere prorogata illimitatamente, come ha denunciato Laura Longo, presidente del tribunale di sorveglianza dell’Aquila, che lo scorso febbraio, dopo l’ennesimo suicidio tra gli internati nel carcere di Sulmona, ha scritto una dettagliata relazione al ministero della Giustizia. La relazione denuncia, tra le altre cose, il meccanismo dei rinnovi continui della misura di sicurezza: non lavorando di fatto, gli internati non offrono elementi per far valutare ai giudici la loro cessata o diminuita pericolosità.
Le Case di lavoro, poi, rispondono a una concezione ottocentesca ripresa, nel 1930, dal codice Rocco ancora in vigore. In più c’è il problema del lavoro da svolgere; al momento non risultano cooperative sociali o aziende esterne che diano impiego agli internati. Le sole attività svolte sono quelle per l’amministrazione penitenziaria, In questo caso
non c’è un contratto e al massimo si guadagnano cento o duecento euro al mese, perché il capitolo di spesa per i pagamenti dei detenuti lavoratori si assottiglia sempre di più. Risultato: sia detenuti che internati, quando va bene, lavorano poche ore a settimana e a periodi, perché per far lavorare un pò tutti si organizzano gruppi a rotazione.
Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, parla di “reperto di archeologia giuridica” tornato in auge: “Negli ultimi tempi c’è stato un revival di questo tipo di misure. Ma sono norme scritte prima della Costituzione, e si vede”.

Articolo di Gina Pavone da Il Venerdì de La Repubblica, 17 luglio 2011

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Garante: “La procura indaghi sulla mancata nomina”

Garante: “La procura indaghi sulla mancata nomina”
Esposto dei penalisti fiorentini: da un anno e mezzo doveva esserci il nuovo Garante regionale per i diritti dei detenuti
di FRANCA SELVATICI per Repubblica.it

Il 19 novembre 2009 il Consiglio regionale toscano ha approvato la legge istitutiva del Garante regionale per i detenuti. A distanza di un anno e mezzo il Consiglio non lo ha ancora nominato. Perciò ieri il direttivo della Camera penale fiorentina ha depositato un esposto nel quale si chiede alla procura di verificare urgentemente se questo incomprensibile ritardo non integri gli estremi del reato di omissione o rifiuto di atti di ufficio. Gli avvocati penalisti ricordano in particolare che la figura del Garante è essenziale per assicurare ai detenuti le prestazioni inerenti al diritto alla salute.
Il 14 dicembre scorso il presidente della Camera penale fiorentina, professor Giovanni Flora, e l’avvocato Michele Passione, membro del direttivo e dell’Osservatorio nazionale sulle carceri delle Camere penali, hanno scritto al Consiglio regionale segnalando la condizione gravissima in cui versano i detenuti nelle carceri toscane e sollecitando la nomina del Garante. Non avendo ricevuto risposta, si sono messi in contatto telefonico con il presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci, attraverso il capo di gabinetto dottor Burresi, e lo hanno incontrato due volte, ricevendo l’assicurazione che il Garante sarebbe stato nominato entro il primo aprile. Ciò non è avvenuto.

Nel frattempo la situazione nelle carceri è sempre più allarmante. Il Garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, ha recentemente denunciato che nel solo carcere di Sollicciano nel 2010 sono stati registrati oltre 900 casi di autolesionismo e 200 tentativi di suicidio. A Sollicciano la popolazione carceraria è di quasi 1000 detenuti contro una capienza di 500.

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Lo sciopero dei direttori

CARCERE. Nella sola Toscana, otto istituti di pena sono senza guida. Scoperti altri uffici dell’amministrazione. Una situazione che ha portato i responsabili delle strutture a incrociare le braccia per tutto il mese di maggio.

E’ scattato lo sciopero nelle carceri della Toscana. Stavolta non si tratta solo di un problema legato al sovraffollamento o alla carenza di personale di polizia penitenziaria. No, a far sentire la loro voce non sono né i detenuti né i lavoratori appartenenti al corpo. A scioperare da tre giorni (e così sarà per tutto il mese di maggio) sono invece i loro direttori. Infatti mancano i dirigenti. E soprattutto manca un contratto collettivo. La conseguenza di tutto questo porta a una condizione paradossale: ad oggi, in Toscana, ci sono ancora otto carceri senza direttore. Livorno, Gorgona, Massa Marittima, Pistoia, San Gimignano, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo, Massa e Gozzini. Ecco, queste sono le strutture che non hanno un dirigente.

Se poi aggiungiamo che sono scoperti anche diversi uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe) e ben dodici posti di dirigente al provveditorato regionale, si capisce il livello di drammaticità del mondo carcerario toscano. «Lo sciopero – spiega Franco Corleone, coordinatore dei garanti territoriali e garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze – interesserà tutte le prestazioni che ricadono fuori dal normale orario di lavoro». Corleone manifesta inoltre solidarietà «per chi difende il proprio lavoro e i propri diritti» e chiede che «il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria risponda immediatamente alle giuste richieste e trovi una soluzione per la copertura dei posti vacanti».

Mentre per il Lisiapp (sindacato del corpo di polizia penitenziaria) «urgono misure urgenti e una riforma dell’intero personale penitenziario attraverso l’istituzione di ruoli tecnici del corpo». Massimiliano Andreoni, educatore in carcere da quasi 25 anni, sottolinea la disattenzione «delle amministrazioni nazionali e regionali. Nell’interesse di tutti, per far sì che il carcere assuma davvero quella funzione educativa e rieducativa che la nostra carta costituzionale sancisce, occorre investire le nostre migliori risorse: idee, denaro, tempo».

Gianluca Testa (Comunicare il sociale) direttore VolontariatOggi.info su Terra del 4 maggio 2011

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Garante: «Udine è in ritardo e ne occorrerebbe uno a Tolmezzo»

Due articoli da il Gazzettino del 13 aprile 2011

«Udine è in ritardo e ne occorrerebbe uno a Tolmezzo»
(L.Z.) La figura del garante per i diritti dei detenuti, istituita in diverse città del NordEst, sarà un passo importante anche per Udine. «Non è un obbligo di legge – precisa Franco Corleone, coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, nonché ex consigliere provinciale – ma un atto di volontà politica che giudico positivo». Corleone, che conosce bene le realtà delle carceri friulane, sottolinea come sia «importante che dopo i passaggi in commissione e in consiglio comunale, la nomina del garante sia rapida e non si lascino trascorrere mesi come accade in altre regioni». L’istituzione del garante arriva un po’ in ritardo in Friuli Venezia Giulia e Corleone auspica che ci sia una procedura accelerata, magari con nomina del sindaco. «Udine ha un carcere che soffre di sovraffollamento e ha una storia particolare, legata a episodi difficili. In realtà – aggiunge – occorrerebbe un garante anche Tolmezzo» e proprio dai detenuti di queste due carceri Corleone riceve lettere che denunciano situazioni di durezza o richieste di trasferimento. Quanto al possibile arrivo di un garante a Udine, Corleone dichiara di voler collaborare con la persona che sarà scelta e mette in evidenza la necessità di un incontro pubblico, organizzato dall’amministrazione comunale, per spiegare ai cittadini chi sia il garante e quali compiti svolga, «sono disponibile a venire a Udine per partecipare» assicura.

La proposta non trova molti consensi in commissione
«Il Garante non serve»
Manca però l’assessore competente e la decisione viene rimandata
«Udine non è Guantanamo». La proposta di istituire la figura del garante per i diritti dei detenuti suscita perplessità polemiche durante la doppia commissione convocata a Palazzo D’Aronco. A dire che il carcere friulano nulla ha in comune con il campo di prigionia americano è la leghista Barbara Zelè. «Ben vengano gli strumenti di recupero e reinserimento sociale dei detenuti – precisa – ma istituire un garante mi sembra una forzatura. Pensiamo piuttosto ai diritti delle guardie carcerarie». I consiglieri di minoranza si scaldano sull’argomento e il secondo affondo arriva da Orlanda Primus che vedrebbe più di buon occhio la presenza di mediatori culturali in via Spalato, «dato che la maggior parte dei detenuti è di origine straniera. Un garante – dice – sarebbe più utile per i gay che sono sempre oggetto di discriminazioni». Dai banchi della maggioranza intervengono Federico Pirone e Cinzia Del Torre per difendere la bontà della proposta, ma le loro parole non convincono i colleghi dell’opposizione. «Abbiamo abrogato al figura del difensore civico – ricorda Piergiorgio Bertoli – che senso ha nominare un garante che ha ben poco a che fare con la prospettiva funzionale di un ente locale». Sorge poi il problema dei costi, sollevato da Franco Della Rossa che trova la condivisione di diversi commissari. Anche Natale Zaccuri si dichiara perplesso e aggiunge: «A Udine c’è un sistema di volontariato penitenziario, quindi non vedo la rilevanza, dal lato pratico, della fiura del garante se non per dire che ci siamo anche noi». L’unica voce fuori dal coro dell’opposizione è quella di Aldo Rinaldi che, dopo l’esperienza in qualità di medico alle carceri di Udine, si dichiara favorevole al garante. Su un punto però sono tutti d’accordo: alla seduta avrebbe dovuto partecipare l’assessore competente. Alla fine, favorevoli o contrari, i commissari non se la sentono di votare «di pancia» senza ulteriori approfondimenti e scelgono di rinviare la seduta dopo aver chiamato in audizione il direttore del carcere, Francesco Macrì per capire quale sia la reale situazione della casa circondariale di via Spalato.

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Corleone eletto Coordinatore dei Garanti dei Detenuti

Franco Corleone è il nuovo Coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti. E’ stato eletto dall’assemblea che si è tenuta il 16 febbraio a Bologna e sostituisce nell’incarico Desi Bruno, già Garante del Comune di Bologna e che ha svolto l’incarico con efficacia e ricchezza di iniziative.
Sono stati nominati Vice Coordinatori, Maria Pia Brunato, Garante del Comune di Torino e Giuseppe Tuccio, Garante del Comune di Reggio Calabria.
L’assemblea ha messo in luce le difficoltà che derivano dalla drammatica situazione delle carceri e dalla scarsa attenzione che a questo tema viene riservata dalla politica e dal Governo. E’ stata individuata una agenda di temi sui quali impegnarsi, per definire un cambiamento nelle pratiche dell’Amministrazione Penitenziaria.

Franco Corleone ha dichiarato: “La presenza dei Garanti in molte città italiane negli ultimi anni ha costituito l’unico elemento di novità in quello che si può definire un deserto culturale.
Il carcere è sempre più un luogo rimosso, nonostante il sovraffollamento che determina condizioni di vita bestiali e il numero di suicidi e di atti di autolesionismo, che rendono evidente lo stato di sofferenza di questa istituzione totale.
La crisi economica e i tagli agli Enti Locali rendono sempre più difficili anche quegli interventi di supplenza, rispetto all’inadempienza dell’Amministrazione Penitenziaria, che davano sollievo quotidiano e speranza in una vita diversa per i detenuti. La trasmissione di Iacona di Rai 3, ha sicuramente fatto vedere a molte persone le contraddizioni inaccettabili della discarica sociale.
C’è molto da fare e per quanto mi riguarda la priorità assoluta riguarda l’individuazione di una alternativa alla presenza dei tossicodipendenti in carcere, la verifica del funzionamento della Sanità in carcere, una riforma che rischia di essere ridimensionata e il superamento degli O.p.g.
Il Coordinamento dei Garanti intende lavorare con il Terzo Settore, per rafforzare il sistema dei diritti e il Welfare nel nostro Paese e rafforzare i rapporti con le Camere Penali e con l’Associazione dei Magistrati.”

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Franco Corleone: «Per essere credibile sul caso Battisti l’Italia deve abolire l’ergastolo»

L’intervista di Paolo Persichetti per Liberazione del 20 gennaio 2011

Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e oggi Garante per i diritti dei detenuti del comune di Firenze: «revisone del processo, abolizione dell’ergastolo e ratifica del protocollo contro la tortura avrebbero fornito all’Italia una immagine diversa»

Con le mozioni bipartizan votate lunedì in parlamento per riavere Battisti dal Brasile, l’Italia tenta di camuffare lo stato di confusione istituzionale in cui è precipitata dopo le rivelazioni sul sexigate che hanno investito il suo presidente del consiglio. Tuttavia non basterà a ridare lustro alla propria iniziativa diplomatica. La crisi di credibilità è verticale. In nome di quale giustizia il governo italiano continua a pretendere l’estradizione, con una ostinazione che rasenta l’aggressione verso la sovranità interna di un’altro Paese, se a casa propria non è in grado di garantire l’uguaglianza di fronte alla legge? L’affare Battisti è diventato un argomento di propaganda su cui hanno investito i giustizialisti di destra e di sinistra. La stessa cosa accade in Brasile, dove la destra post-dittatura ne ha fatto un oggetto di revanche. Sullo sfondo sempre più dimenticati restano gli aspetti giuridici dell’intera vicenda. Non a caso. Ogni qualvolta i processi dell’emergenza sono stati esaminati sotto il loro profilo giuridico l’Italia ha sempre perso la partita delle estradizioni contro i militanti condannati per i fatti degli anni 70. Non ci sarà nessun ricorso all’Aja perché il Brasile è contrario. L’Ue ha spiegato alla Farnesina che le estradizioni sono un contenzioso bilaterale. Il trattato commerciale con Brasilia verrà comunque rispettato. In mano al governo di Roma non rimane altro che sperare in un golpe giudiziario che Peluzo e Mendes stanno congeniando. Singolare aspettativa per un centrodestra che non passa giorno senza denunciare in casa propria i complotti della magistratura. Ma indiscrezioni apparse nei giorni scorsi su alcuni media brasiliani fanno sapere che la maggioranza dei giudici del Stf (6 contro 3, mentre due si asterrebbero) non sembra condividere affatto la scelta, tutta personale, presa dal presidente della corte, Peluzo, di voler esaminare a febbraio la conformità della decisione presa da Lula. Peluzo, per altro, è in contraddizione con se stesso perché quando era relatore, come gli altri 5 giudici che votarono per l’estradizione, aveva condizionato la consegna di Battisti alla commutazione dell’ergastolo. Richiesta che l’Italia si è sempre ben guardata dall’adempiere. E proprio da qui parte il ragionamento di Franco Corleone, già sottosegretario alla Giustizia nel primo governo Prodi e oggi garante dei detenuti per il comune di Firenze. «Si poteva fare qualcosa di più invece che lasciarsi andare a una reazione vittimistica e isterica».
Cosa?
Spostare l’asse del dibattito dagli insulti a una riflessione sulla civiltà giuridica. Uno degli ostacoli che hanno impedito l’estradizione è la permanenza dell’ergastolo nel nostro sistema penale. Il fatto che il Brasile non abbia questa pena dimostra l’abisso che c’è tra il Paese definito la culla del diritto e quello considerato terra di selvaggi. In realtà la bilancia è a tutto vantaggio del Brasile. Sono rimasto molto colpito dalle prime reazioni attribuite al presidente della Repubblica che parlavano di sorpresa, delusione, stupore.
Perché l’Italia non sarebbe riuscita a farsi capire, come ha detto Napolitano?
Forse perché ha cercato di confondere le carte sostenendo che l’obiezione sull’ergastolo era infondata perché non esiste quando invece è vivo e vegeto. Nel giro di un decennio gli ergastoli sono addirittura raddoppiati in percentuale e numero assoluto. C’è anche la novità dell’ergastolo ostativo che impedisce a gran parte degli ergastolani di accedere alla liberazione condizionale, a meno che non collaborino. La mancata revisione del processo, la mancata commutazione dell’ergastolo, la mancata ratifica del protocollo aggiuntivo contro la tortura. Tutti appuntamenti mancati che avrebbero fornito un’altra immagine della nostra giustizia. In realtà non si vuole trovare una soluzione, siamo di fronte ad un atteggiamento a somma zero: o tutto o niente. Vogliono Battisti con l’ergastolo e basta, per di più in condizioni tali che renderebbero ostativa qualsiasi misura trattamentale. Non ci sarebbe tribunale di sorveglianza capace di applicargli la Gozzini. In realtà l’Italia non si è fatta capire solo dal Brasile ma da molti altri Paesi. La lista di quelli che hanno negato le estradizioni è lunga.
In Italia ci sono detenuti politici in carcere da oltre 30 anni.
Affrontare il nodo dell’ergastolo è ormai l’unico modo per chiudere il residuo penale degli anni 70. Napolitano ha una possibilità, quella del messaggio alla camere che è anche la prima prerogativa dell’articolo 87 della costituzione, l’ultima è quella della grazia e della commutazione della pena. Approfittando di un caso ritenuto così straordinario potrebbe spiegare cosa l’Italia può fare per rendersi credibile. Sul tappeto c’è la questione della permanenza dell’ergastolo. L’altro è invitare il parlamento a ratificare il protocollo aggiuntivo della convenzione contro la tortura e nominare una autorità di controllo sulle carceri in un momento in cui c’è una situazione d’emergenza. In attesa di una riforma del sistema delle pene, il presidente potrebbe commutare l’ergastolo di Battisti dimostrando che non saremmo di fronte ad una pena ostativa ma a una sanzione che consente di accedere a un normale percorso trattamentale.

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Piccola posta

Dunque le agenzie hanno battuto ieri la notizia su un altro detenuto, un trentacinquenne di origine maghrebina, che si è ammazzato, col gas della bomboletta, a Sollicciano – sono 63, nelle nostre carceri, dall’inizio dell’anno – dopo che tre giorni prima si era suicidato un agente della polizia penitenziaria dello stesso carcere fiorentino. Pochi giorni prima un altro giovane detenuto si era impiccato ed era stato salvato dai compagni rientrati dall’aria, e ricoverato in extremis. Per la condizione di Sollicciano era in corso da settimane, e continuerà fino a Natale, uno sciopero della fame a staffetta di volontari, amministratori locali, e del garante dei diritti dei detenuti. L’ultima puntata del programma di Radio radicale, Radio carcere, ha ospitato il lungo dettagliato e impressionante racconto di un detenuto appena uscito da Sollicciano, dove le celle di 12 metri quadri tengono tre persone, e quelle di 18 metri quadri ne tengono sei su tre brande a castello doppie: non c’è spazio per stare in piedi. In questi cubicoli stanno reclusi ventidue ore su ventiquattro. Si trema di freddo, si fa una doccia calda se si è i primi della fila, poi finisce. Chi vuole suicidarsi si misura col problema di trovare un angolo e un momento in cui gli occhi degli altri, detenuti o agenti, non gli stiano addosso: come decidere di impiccarsi in un autobus nell’ora di punta. Parliamo di Sollicciano, ma è la condizione delle galere italiane, che schiacciano in questo modo 70 mila persone, ecoballe umane da smaltire. In questa situazione, come ha denunciato ieri Franco Corleone, e come sanno tutti coloro che frequentano, da qualunque lato, il carcere, e che non hanno venduto l’anima, l’annuncio della “liberazione” di migliaia di persone per effetto della leggina che manda, non liberi, ma alla detenzione domiciliare, i detenuti che hanno meno di un anno da scontare, è destinato a suscitare allarmi insensati e pretestuosi e, in quelle celle, speranze illusorie e micidiali. Ieri, per esempio, i giornali annunciavano unanimi che a Sollicciano starebbero per uscire 360 detenuti: la cifra prevista dal ministero va invece dai 50 ai 70 detenuti. Ma di questa indecente campagna di ignoranza o di manipolazione forcaiola, che riproduce i nefasti della campagna sull’indulto, riparleremo. Intanto aggiorniamo il conto dei suicidi e delle altre tabelline. Presenti a Sollicciano ieri, 1005. Capienza regolamentare: 476. Bambini presenti ieri a Sollicciano: 5 (cinque). P.S. Il detenuto suicida di ieri era condannato in primo grado per spaccio, avrebbe dovuto uscire nel 2011. Rileggete: nel 2011. Lui ha provveduto da sé a svuotare il carcere.

Dalla Piccola Posta di Adriano Sofri sul Foglio del 17 dicembre 2010