Ultimatum di Corleone: «Celle sovraffollate, docce inservibili, cucina fatiscente. Scenderemo in piazza»
Ultimatum di Corleone: «Celle sovraffollate, docce inservibili, cucina fatiscente. Scenderemo in piazza»
Il documento
Da l’Espresso di Giovanni Tizian 30 maggio 2016
Sono gli ultimi 63. Divisi tra Montelupo Fiorentino, Barcellona Pozzo di Gotto e Aversa. Sono gli ultimi a vivere internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Dopo di loro la “fase dell’orrore”, così definita dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, tramonterà definitivamente. Entro tre mesi, infatti, gli Opg saranno il passato. Il trasferimento dei reclusi è iniziato già da qualche tempo.
Si è passati infatti dalle 97 persone ristrette di febbraio scorso alle 63 di maggio. I dati sono contenuti nella relazione finale che verrà presentata al governo da Franco Corleone, già sottosegretario alla Giustizia, nella veste di commissario con il compito di vigilare sull’attuazione della legge che poneva come termine della chiusura definitiva degli Opg il 31 marzo 2015. Al posto delle vecchie strutture di reclusione sono già state attivare le Rems, le residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. Sono presidi sanitari che fanno parte di una rete di servizi sociali e sanitari.
Non si tratta, quindi, di semplice sostituzione e mutamento del nome, bensì di un vero e proprio cambiamento radicale dell’approccio alla detenzione delle persone che un tempo erano destinate agli Opg. «Un grande salto in avanti che ci pone all’avanguardia nel mondo, come fu, del resto, per la legge Basaglia», è soddisfatto Corleone.
Il lavoro del commissario è stato proprio quello di garantire la chiusura degli ex ospedali e il ricovero presso le Rems. Un percorso non semplice. «Una volta chiusi gli Opg», spiega a “l’Espresso” Franco Corleone, «ci si potrà concentrare sul monitoraggio delle Rems. Sarà un lavoro lungo. Perché ogni struttura ha un regolamento suo e non va dimenticato che sono nate per abolire “l’ergastolo bianco”. Per chi entra nelle Rems c’è un percorso ben definito, sottoposto a verifiche. Che mira al reinserimento».
Il commissario, però, ha già individuato i primi nodi critici nella gestione delle nuove “residenze”. Sono poche e i posti attualmente disponibili non sono sufficienti a coprire il fabbisogno del circuito penale. «La questione è stabilire regole certe per l’inserimento nelle Rems, andrebbero utilizzate solo come extrema ratio», prosegue Corleone, «Ma dai dati emerge una differenza notevole da regione a regione tra le decisioni dei giudici. Solo stabilendo procedure certe si farà in modo che i posti non vengano occupati in maniera discrezionale. È urgente muoversi in questa direzione perché già così si rischia il collasso del sistema. Ci sono, infatti, un centinaio di persone che aspettano di essere inserite nelle Rems. A Palermo, per esempio, la procura ci ha segnalato tre casi molto gravi per i quali non si riesce a trovare spazio».
Alla data del 21 aprile, le Rems presenti sul territorio nazionale erano 23. Dovranno diventare in tutto 30. Le strutture sono così suddivise: quattro nel Lazio e in Campania; tre in Friuli Venezia Giulia; due in Emilia Romagna e Sicilia; una sola in Sardegna, Basilicata, Puglia, Veneto, Marche, Toscana, Trentino, Piemonte. Sono in corso delle nuove aperture (Abruzzo – Barete) e degli ampliamenti in quelle già aperte (Palombara Sabina nel Lazio, Nogara in Veneto, Volterra in Toscana). Ci sono poi altre per le quali sono previsti tempi di realizzazione più lunghi come: Liguria, Calabria e Puglia. Regioni, queste, inadempienti. Tranne che per le Rems di Nogara e Udine, aperte i primi mesi del 2016, le altre sono operative nel 2015.
Il numero di ospiti presenti nelle Rems variano da un minimo di 2 (Friuli Venezia Giulia) ad un massimo di 28 (Toscana – Volterra). I pazienti presenti nelle Rems ad oggi sono 331. In totale sono 464 le persone che sono state inserite e 133 le persone che sono poi state dimesse. L’uscita di quest’ultime è un segnale positivo. Perché il flusso in uscita conferma il superamento della pena infinita valida negli Opg.
La relazione firmata dal commissario Franco Corleone analizza, poi, la situazione interna delle Residenze: «Su 23 strutture 17 non hanno una stanza appositamente adibita alla contenzione. In tre ci sono stanze chiamate di “descalation” nelle quali si ospitano pazienti particolarmente agitati per evitare comportamenti etero o auto aggressivi; in una sono presenti due camere video sorvegliate, due strutture dichiarano che non è ancora presente un’area appositamente adibita ma che hanno intenzione di predisporne una per la messa in sicurezza di pazienti con agìti violenti per la loro sicurezza ma anche per la sicurezza degli altri pazienti e del personale».
Per quanto riguarda, invece, gli episodi di contenzione, dai dati acquisiti dal commissario risulta che su 23 Rems 17 hanno dichiarato che non se ne sono verificati. In 6 strutture, invece, sono stati registrati diversi casi. Spiccano i cinque episodi nella Casa di cura San Michele di Bra (Piemonte).
Nel documento c’è poi un focus sulla struttura, ex Opg, riconvertiva in Rems di Castiglione dello Stiviere: «Vengono effettuate regolarmente delle contenzioni. Nel periodo che va dal 1 aprile 2015 al 31 marzo 2016, sono stati registrati 918 episodi che hanno interessato 59 pazienti. Si tratta di un numero di contenzioni molto alto ma in ogni caso va segnalato che tra queste contenzioni, 742 sono rivolte a una donna che presenta un quadro di ritardo mentale grave e manifesta comportamenti etero e autoaggressivi con tentativi di autoenucleazione degli occhi».
A Castiglione dello Stiviere e Pontecorvo vengono ospitate la maggior parte delle donne inserite nelle Rems. A Castiglione sono presenti 33 donne (Lazio 3, Lombardia 19, Piemonte 2, Sicilia 3, Toscana 1, Umbria 1, Veneto 4). A Pontecorvo sono presenti 11 donne.
Un altro nodo da sciogliere, segnalato più volte nella relazione, riguarda le misure provvisorie. Quelle situazioni, cioè, in cui non c’è un giudizio nemmeno di primo grado. Sono provvedimenti perciò non definitivi. Un tema questo sottolineato più volte dal commissario, che conclude il lavoro con un auspicio: « Mi auguro che in questi mesi sia anche affrontato, attraverso uno strumento legislativo adatto, il chiarimento sulla natura delle Rems e sulle persone destinatarie delle misure di sicurezza provvisorie».
Il garante regionale per i detenuti dopo la visita al penitenziario: “Le poche ristrutturazioni fatte mostrano i limiti dell’amministrazione penitenziaria” Firenze – “Secondo il direttore, per rendere vivibile il carcere Don Bosco di Pisa servirebbero 60 interventi di ristrutturazione o manutenzione. Da quello che ho visto stamani, il più urgente sarebbe senza dubbio quello della cucina, che presenta una situazione drammatica”. Lo ha dichiarato il garante dei detenuti della regione Toscana, Franco Corleone, a conclusione della visita nel penitenziario di Pisa, che ha compiuto insieme con il locale garante dei detenuti. “Le prescrizioni dell’Asl”, ha aggiunto, “sono puntuali, ma secondo la direzione gli interventi sull’esistente non risolverebbero i problemi, per cui sarebbe necessario smantellare l’attuale cucina e realizzarne una nuova in altri locali”. La questione della mancanza di risorse e anche la questione di un loro non corretto utilizzo torna più volte nelle parole di Corleone. “Il Don Bosco è un carcere sul quale, pur non essendo vecchissimo, pesa fortemente l’inadeguatezza delle strutture”, ha detto. “La sezione femminile, ad esempio, che ospita 11 detenute su una capienza massima di 13, hariaperto da poco dopo alcuni lavori di ristrutturazione per eliminare problemi idraulici. Ebbene, si sono mantenuti i serviziigienici aperti”, senza alcun rispetto della privacy. Aggiunge Corleone: “È l’emblema di un’amministrazione che non ha le idee chiare, che quando spende i pochi soldi a disposizione lo fa per interventi che alla fine non rispondono alle indicazioni dei regolamenti”. Un altro esempio “di uso discutibile delle risorse” è rappresentato “dall’edificio Gs1, che doveva diventare il centro clinico nazionale per i detenuti sottoposti al regime del 41bis”. L’impresa, ha spiegato il garante, “ha abbandonato i lavori per mancati pagamenti e ora ci sono ovunque materiali di risulta abbandonati e arbusti che d’estate possono rappresentare un pericolo di incendio o un rifugio per i ratti. Non so quanto sia costato questo intervento, ma adesso ci ritroviamo con una cattedrale nel deserto. Anche questo dà la misura di un’amministrazione penitenziaria cieca e irresponsabile nella chiarezza degli obiettivi e nella gestione del denaro pubblico”. Svolti solo per metà anche i lavori al centro clinico del carcere, “dove oltretutto la presenza della dirigente sanitaria è ridotta perché è oberata di incarichi”. La struttura di Pisa, ha ricordato Corleone, ospita 235 persone rispetto alla capienza massima di 216. Il30 per cento dei detenuti ha una condanna per reati di droga connessi alla legge Fini-Giovanardi. “Dovremo però approndire”, ha aggiunto, “per capire se a loro carico gravino condanne per altri tipi di reato. Comunque, anche qui come ieri a Lucca, è emerso il problema del mancato inserimento presso le comunità terapeutiche dei detenuti per reati di droga. È un problema, questo, che richiede una soluzione”. Il polo universitario, che può accogliere 16 detenuti, è frequentato soltanto da 6 o 7 persone. “È una situazione del tutto simile a quella di Prato e su questo punto serve avviare una riflessione particolare per rilanciare queste strutture”. Corleone ha ricordato che è partito il progetto per la raccolta differenziata dei rifiuti e che sono attivi, a rotazione, 40 posti per lavori domestici interni al carcere e che solo 2 o 3 persone hanno un’occupazione fuori dal penitenziario; i semiliberi sono 16, le telefonate sono con le schede “e quindi le comunicazioni sono libere” e ci sono 5 animatori, “anche se ne servirebbero di più. Ma al solito, mancano risorse. Per nuovi animatori, che magari dovrebbero essere dei Comuni e non dell’amministrazione penitenziaria, e anche per i direttori. Il carcere di Pisa, ad esempio, non ha un vicedirettore ed è un grande limite per un carcere complesso come questo”. Corleone ha aggiunto “la grande preoccupazione” per la sicurezza rispetto alle condizioni di vivibilità. “Dall’esterno, ad esempio, non possono essere introdotti né tabacchi né trucchi. Capisco che possano esserci stati episodi di introduzione in carcere di sostanze vietate, ma questo clima di soli divieti toglie libertà e, soprattutto, non responsabilizza i detenuti”. Infine, il garante ha auspicato che rientri in funzione a pieno regime la biblioteca della sezione femminile. In questa stessa sezione, inoltre, “la cucina potrebbe essere utilizzata per fare corsi o impiantare attività per fare produzioni da vendere all’esterno. Sarebbe utile, anche perché molte detenute, in prospettiva dell’uscita, devono saper affrontare al meglio i problemi di affidamento o della sospensione di affidamento dei figli. Emerge, insomma, “un limite nell’affrontare la questione degli affetti delle persone recluse”, a significare che “per molti reati sarebbero utili altre misure di pena”.
Dall’Adnkronos del 20 febbraio 2015
Oggi in tribunale si potrebbe riaprire un nuovo capitolo della saga del Rototom Sunsplash. Quello della piena “riabilitazione” del festival reggae più famoso d’Europa, con radici spilimberghesi, emigrato prima a Osoppo e poi nel 2010 in Spagna. È quanto preannuncia l’ex parlamentare Franco Corleone, presidente dell’associazione “La società della ragione” e coordinatore nazionale dei garanti dei detenuti. Corleone sarà sentito oggi dianzi al giudice monocratico di Udine come teste della difesa nel processo relativo al Rototm Sunsplash che vede imputato Filippo Giunta, assistito dagli avvocato Alessandfro Gamberini e Simona Filippi. L’accusa, per il responsabile del festival, è agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti. L’udienza porta nuovamente alla ribalta delle cronache il dibattito sui controlli delle forze dell’ordine al Parco del Rivellino, giudicati da alcuni eccessivi e, dall’altro versante, sul consumo di droga nei giorni del festival, che era capace di richiamare al parco del Rivellino centinaia di migliaia di persone dall’intera Europa e anche da altri continenti. «Dirò chiaramente, in Tribunale, che il Rototom – afferma Corleone – era un evento di cultura internazionale, un patrimonio ingiustamente criminalizzato, la cui perdita ha causato danni incalcolabili a Osoppo e a questa regione. Per me il Friuli è libertà di pensiero, è la terra di Pier Paolo Pasolini, Loris Fortuna, Beppino Englaro. Ma, evidentemente, esiste anche un Friuli retrogrado». A malincuore l’organizzazione del festival era stata costretta a emigrare su suolo iberico nel 2010, motivando la scelta anche con “l’accanimento di sorveglianza”. A Benicàssin il Rototom è stato accolto trionfalmente e ha registrato un nuovo record di affluenza, toccando il picco di 230 mila presenze. Nel 2012 l’organizzatore Giunta è finito a processo. Intanto il parco del Rivellino è diventato terreno di pascolo per le mucche. Corleone rimarca il vuoto lasciato dal Rototom, che si era «trasformato in un evento che ospitata intellettuali di rilievo internazionale, i quali arricchivano l’esperienza di socializzazione di centinaia di migliaia di giovani da tutto il mondo. Il parco di Osoppo era diventato un luogo simbolo di fraternità, pacifismo e libertà di espressione». L’ex parlamentare si ripromette, inoltre, di spiegare che «il Rototom non era un luogo di spaccio» e che «gli organizzatori non agevolavano il consumo di sostanze stupefacenti. La legge Fini-Giovanardi ha avuto l’effetto di sovraffolare le carceri e in un contesto di legislazione repressiva si è arrivati a indagare chi, invece, i festival li organizzava». Con la bocciatura della Fini-Giovanardi, secondo Corleone il caso che vede coinvolto Giunta «si ridimensiona dal punto di vista giudiziario per quanto riguarda le previsioni di pena, ma è giusto che venga assolto pienamente»
Il Messaggero Veneto del 13 gennaio 2015
Droghe, primo colpo alla Fini–Giovanardi
Emendamento al dl carceri: ridotte le pene per il piccolo spaccio. Appello per l’abolizione della legge
Annalisa D’Aprile sui quotidiani AGL.
ROMA Mentre in Parlamento il relatore del decreto carceri David Ermini (Pd) presentava un emendamento che reintroduce la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, abbassando le pene per il piccolo spaccio di hashish e marijuana, assestando così un primo colpo alla legge Fini-Giovanardi, a qualche centinaio di metri di distanza veniva presentato l’appello di giuristi e garanti a sostenere l’incostituzionalità della legge sulle droghe. Cannabis. L’emendamento presentato in commissione Giustizia della Camera prevede la reclusione al massimo per 3 anni contro i 5 attuali e multe più light per il piccolo spaccio da strada della cannabis. E si introduce una distinzione tra droghe leggere e pesanti. Il decreto legge carceri già interviene sul cosiddetto piccolo spaccio, prevedendo che il massimo della reclusione scenda da 6 a 5 anni. Con l’emendamento la pena viene dunque ulteriormente ridotta solo per il piccolo spaccio di cannabis (la reclusione va da 6 mesi a un massimo di 3 anni), consentendo così la possibilità di usufruire della messa alla prova, mentre le multe vanno da 2mila a 12mila euro contro l’attuale forbice 3mila-26mila. In questo modo, spiega il relatore Ermini, «torna di fatto una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti» che rimetterà in discussione l’impianto della Fini-Giovanardi. Per le droghe pesanti infatti gli anni di reclusione restano cinque. L’appello. Il prossimo 12 febbraio la Fini-Giovanardi arriverà davanti al giudizio della Corte costituzionale, dopo che dai giudici della Corte d’appello di Roma è stata bollata come incompatibile con la Costituzione. Per questo, il garante dei diritti dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, il presidente della onlus “La società della ragione”, Stefano Anastasia, e l’avvocato Luigi Saraceni, si sono fatti promotori di una mobilitazione contro una legge che, dicono, «è carcerogena» e «certamente incostituzionale». «È iniziata la raccolta firme di avvocati, garanti, magistrati e operatori del settore – spiega Corleone – l’appello non è una forma di pressione sulla Consulta, ma una presa di coscienza contro la violenza fatta nel 2006 sul Parlamento, facendo passare una legge punitiva con una manovra subdola». Nel dossier elaborato dalla onlus, «Fini-Giovanardi a giudizio – La parola alla Consulta», si spiega perché la legge sulle droghe è incostituzionale, quali sarebbero i vizi di «forma» e di «sostanza», come ad esempio, sostiene Corleone, «l’averla inserita senza necessità, urgenza e omogeneità, nel decreto legge sulle Olimpiadi». Ma soprattutto, si legge nel dossier, «la reintroduzione – tramite giudicato costituzionale – di una normativa penale più favorevole produrrebbe un’ulteriore conseguenza di sistema: un significativo effetto deflattivo nelle carceri italiane». Perché, spiegano i giuristi, «di tale sovraffollamento strutturale e sistemico la legge Fini-Giovanardi è una delle principali cause: un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per violazione dell’attuale normativa antidroga». Sono 80 finora i firmatari dell’appello contro la legge sulle droghe, tra i nomi anche quello di Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli. E il prossimo 8 febbraio, a 4 giorni dall’esame della Consulta, è prevista una manifestazione nazionale in piazza a Roma.
Ieri, 12 novembre, sono state depositate alla camera dei Deputati i testi delle proposte di legge di iniziativa popolare della Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe a firma degli Onorevoli Laura Coccia (Pd – Giovani democratici), Gennaro Migliore (Sel), Fausto Raciti (Pd – Giovani Democratici) e Ivan Scalfarotto (Pd).
Vista l’urgenza dei temi trattati, su richiesta del Comitato promotore della Campagna e in attesa della verifica della regolarità formale delle firme raccolte nelle centinaia di banchetti organizzati nei mesi passati, si è deciso di anticiparne la presentazione. Nello specifico l’On.le Coccia ha presentato la proposta riguardante L’introduzione del garante nazionale dei detenuti e norme per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti; l’On.le Migliore quella riguardante Norme contro il sovraffollamento carcerario e per la legalità negli istituti di pena, l’On.le Raciti quella riguardante l’Introduzione del reato di tortura, l’On.le Scalfarotto, infine, quella recante Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope recanti la depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale. I testi completi sono disponibili sul sito 3leggi.it e presto anche in quello della Camera dei Deputati.
Tutte le proposte hanno l’obiettivo di ripristinare la legalità nella carceri e di contrastare in modo sistemico il sovraffollamento agendo anche su quelle leggi che producono carcerazione senza produrre sicurezza.
La proposta per L’introduzione del garante nazionale dei detenuti e norme per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti si muove nella direzione dell’istituzione della figura del Garante nazionale delle persone private della libertà da intendersi come organo di garanzia, autorità autonoma e indipendente, con funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. In Europa una figura analoga esiste già negli ordinamenti di Austria, Ungheria, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia.
Il disegno Norme contro il sovraffollamento carcerario e per la legalità negli istituti di pena vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Nella proposta è presente anche la richiesta di abrogazione del reato di clandestinità.
Con la proposta dell’Introduzione del reato di tortura nel codice penale, si vuole sopperire ad una lacuna normativa grave mancando in Italia il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico.
L’ultimo disegno di legge Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope recanti la depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale propone la modifica dell’attuale legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese: chiedendo il superamento del paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, la depenalizzazione dei consumi, la diversificazione del destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene e restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze.
La Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe è stata promossa da: A Buon diritto, Acat Italia, L’Altro Diritto, Associazione 21 luglio, Associazione difensori di Ufficio, A Roma, insieme – Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Consiglio italiano per i rifugiati – Cir, Cgil, Cgil – Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Lila Onlus – Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Rete della Conoscenza, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic – Volontari in carcere.
Roma, 13 novembre 2013
Ecco i testi delle leggi depositate
Introduzione del garante nazionale dei detenuti e norme per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti: garante_nazionale.pdf
Norme contro il sovraffollamento carcerario e per la legalità negli istituti di pena: carcere.pdf
Introduzione del reato di tortura: Tortura.pdf
Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope recanti la depenalizzazione del consumo e la riduzione dell’impatto penale: droghe.pdf
“Investirò della questione il Dipartimento amministrazione penitenziaria ed il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. La Toscana non merita questo affronto”.
Le parole sono quelle che Franco Corleone, garante dei detenuti per la Regione Toscana, ha pronunciato qualche giorno fa dopo la seconda visita alla casa circondariale di Arezzo. Un commento che ha lasciato il segno e che ha posto l’accento ancora una volta su una situazione particolarmente difficile. Il carcere di Arezzo è stato chiuso nel 2010 per un progetto di ristrutturazione che però, a causa del fallimento dell’impresa appaltante, non è mai stato terminato.
Ad oggi la capienza effettiva dell’istituto è di 32 posti, di cui 14 riservati ai collaboratori di giustizia, nonostante i dati ufficiali del Dap continuino a parlare di una capienza regolamentare di 103 posti. I presenti sono oggi 29.
Di questa situazione si sono fatti portavoce da tempo anche i parlamentari aretini, Donella Mattesini e Marco Donati che, insieme ai consiglieri regionali De Robertis e Brogi e al sindaco Fanfani e presidente della Provincia Vasai, hanno fatto nuovamente il punto sulla situazione sottolineando l’assoluta necessità di finire i lavori iniziati e restituire funzionalità alla casa circondariale di Arezzo.
“Devono essere investi i 600mila euro disponibili, trovare risorse aggiuntive e completare i lavori di ristrutturazione del carcere”.
Questa la richiesta sottoscritta all’unanimità dai politici e amministratori aretini rivolta direttamente al Ministro della Giustizia e il Commissario per il Piano Carceri.
“Una situazione – ha detto la senatrice Donella Mattesini – destinata a peggiorare con il blocco dei lavori. 600 mila euro sono disponibili ma questa cifra non è sufficiente a coprire i bisogni e quindi è necessario avere risorse aggiuntive e far riaprire subito il cantiere”. “Lavoriamo per una pressione generale della città di Arezzo – ha aggiunto l’onorevole Marco Donati. Siamo di fronte ad un problema strutturale che deve essere compiutamente affrontato”.
E bisogna farlo rapidamente: “non è più possibile perdere tempo – ha affermato il Presidente della Provincia, Roberto Vasai. La struttura di Arezzo ha sempre funzionato bene ed ha avuto un buon rapporto con il territorio. Non possiamo assistere al suo progressivo abbandono”.
Questo carcere come simbolo di un problema nazionale: “in Italia – ha ricordato il consigliere regionale Enzo Brogi – abbiamo 66mila detenuti in strutture che ne dovrebbero ospitare solo 35mila. Le cause del sovraffollamento? Il 45% è in attesa di giudizio ed è la percentuale più alta d’Europa. La legge Giovanardi Fini colloca in carcere persone, come i tossicodipendenti, che dovrebbero invece stare nei centri di recupero. Ci sono infine strutture carcerarie che con interventi modesti potrebbero essere recuperate consentendo una distribuzione migliore dei detenuti”.
La consigliera regionale Lucia De Robertis ha sottolineato come “quando si parla del carcere di Arezzo si pensa ai detenuti ma non dobbiamo dimenticare il personale di sevizio che opera all’interno di esso. Personale a rischio occupazionale e in condizioni lavorative non certo ottimali”.
Il Sindaco Fanfani ha concluso ricordando come, per la sua professione di avvocato, abbia visitato tutte le maggiori strutture carcerarie italiane e come quella di Arezzo sia stata, quando funzionava a regime, tra le migliori. “Oggi siamo di fronte, nel nostro paese, ad un problema strutturale che è rappresentato dalla qualità della detenzione e ad un problema emergenziale evidenziato dalla capienza e dal degrado delle strutture. Occorrono interventi seri. Le amnistie non sono in grado di risolvere i problemi di fondo”.