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In Primo Piano Le carceri

Lettera aperta ai garanti, al volontariato, alle associazioni di impegno civile e sociale

Care amiche e cari amici, ho meditato a lungo e con insistenza. Alla fine mi sono convinto, senza incertezze, che non possiamo più continuare ad accettare che di fronte alla tragedia quotidiana che vive il carcere, si persegua una gestione rassegnata e contrassegnata dal tratto della normale amministrazione, quando la situazione è davvero insostenibile e richiede un cambio di passo visibile, una discontinuità profonda. Insomma il tempo è della riforma. Senza incertezze.

In occasione della Festa della Polizia Penitenziaria il Presidente Napolitano è tornato sul tema del sovraffollamento che quasi un anno fa aveva definito di “prepotente urgenza” e ha chiesto al Parlamento e al Governo di superare la paralisi che determina una condizione contro la Costituzione e la legge, attraverso “nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali”.

Il Presidente del Senato Schifani annuncia un’altra sessione straordinaria di Palazzo Madama sulle carceri.

Il Presidente della Camera Fini suggerisce la strada della depenalizzazione e la scelta di privilegiare l’adozione di misure alternative.

Di fronte a queste intenzioni tocca a noi, sì a noi, non lasciarle cadere e chiedere decisioni coerenti.

Purtroppo la ministra Severino propone misure modeste come il disegno di legge sulle pene detentive non carcerarie e la messa alla prova e insiste con la scelta di un Piano carcere che prevede programmi di edilizia inutile e dannosa. Carceri nuovi enormi dove non servono e padiglioni brutti e non funzionali,che ad esempio a Rebibbia stravolgerebbe l’opera dell’architetto Lenci.

Le idee non mancano.

1. Ho avuto modo di esprimere con chiarezza, magari ossessiva, al CSM, al Presidente della Repubblica, al ministro Riccardi, ai vertici del Dap che il nodo, il clou, la ragione della bulimia carceraria è determinata dalla legge sulla droga, quella del 1990 aggravata dalla modifica ideologica e ancor più punitiva realizzata con un vulnus costituzionale nel 2006.

E’ questa la legge che provoca il maggiore afflusso in carcere. Il 33% degli ingressi in carcere è relativo alla violazione dell’art. 73 (detenzione e spaccio); nel 2011 ben 22.677 consumatori e piccoli spacciatori sono stati colpiti e una alta percentuale è ristretta per fatti di lieve entità come previsto dal quinto comma ma con pene da uno a sei anni di carcere.

Occorre dunque interrompere il flusso di entrata oltre che liberare dalle catene i tossicodipendenti che rappresentano un’altra alta quota di vittime sull’altare della disumanità dell’ossessione securitaria.

La proposta di legge dell’on. Cavallaro (Atto Camera 4871 del 10.01.12) è lo strumento per affrontare efficacemente la questione. Al Senato lo stesso testo è stato presentato dai senatori Ferrante e Della Seta (Atto Senato 2798 del 28.06.11). Si prevede l’istituzione di un reato autonomo della detenzione di sostanze stupefacenti nella modalità della lieve entità oggi configurata come semplice attenuante con una pena da sei mesi a tre anni che eviterebbe l’ingresso in carcere e la possibilità di misure alternative. L’iter potrebbe essere rapido se queste e le altre norme previste venissero inserite nel disegno di legge governativo già in discussione (Atto Camera 5019).

Marco Pannella invoca da tempo un provvedimento di amnistia come risposta alla crisi della giustizia; le obiezioni contro un provvedimento liquidato sbrigativamente come una inaccettabile clemenza e la asserita assenza di volontà politica ampia (una maggioranza dei due terzi del Parlamento) devono far trovare comunque una risposta.

Mi sento di proporre un provvedimento mirato, cioè una amnistia limitata ai fatti relativi al quinto comma dell’art. 73 del Dpr 309/90 che inciderebbe sulle presenze in carcere e sarebbe contestuale alla modifica della legge.

2. Ho aderito all’Appello per l’introduzione del reato di tortura nel Codice Penale la cui approvazione richiederebbe poco tempo da parte del Parlamento ma avrebbe un grande valore simbolico rispettando la Costituzione e la Convenzione dell’Onu che l’Italia disattende da 25 anni e un senso pratico di ripulsa di una lunga teoria di violenze dello Stato sempre impunite. Questa campagna lanciata da Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, si deve accompagnare alla ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura (OPCAT). L’Italia ha firmato il Protollo nel 2003 ma non lo ha mai ratificato contrariamente alla quasi totalità dei Paesi dell’Unione Europea. L’Italia non ha quindi alcun rappresentante nell’Organismo di Ginevra che prevede un potere ispettivo a livello globale. La firma del Protocollo obbligherebbe anche l’Italia a istituire la figura del garante nazionale dei diritti dei detenuti ed è una ragione in più per adempiere a un dovere colpevolmente disatteso. Mauro Palma ha scritto al Ministro Terzi per sollecitare una decisione nel gennaio scorso ma nulla si è mosso.

3. Abbiamo chiesto al nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino di scegliere come priorità l’applicazione del Regolamento del 2000 non solo per migliorare la vivibilità quotidiana nelle carceri ma per indicare la strada maestra della Riforma; attendiamo con fiducia l’istituzione di un Tavolo di confronto e di iniziativa che inizi dall’abbandono della via del cemento.

 

Che fare dunque? Che tipo di mobilitazione va inventata? Confesso di non avere una risposta certa. Per aiutarmi a pensare da domani inizio un digiuno per alcuni giorni, sperando che si formi una catena che veda impegnati garanti e esponenti del volontariato e delle associazioni con l’obiettivo di mettere fine a una violenza silenziosa.

Non possiamo essere corresponsabili, neppure per omissione.

Le prossime ore e i prossimi giorni devono vederci impegnati a trovare forme originali di denuncia  e di proposta. Forse occorre più fantasia, più spregiudicatezza, ma non si può stare fermi e muti neppure un minuto di più.

Franco Corleone

 

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Garanti, appello a Napolitano

Mauro Palma scrive dell’incontro dei Garanti dei detenuti con il Presidente della Repubblica per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 4 maggio 2012.

Non è frequente che un Capo di Stato riceva coloro che con continuità visitano i luoghi di detenzione per ricevere informazioni dirette sulle condizioni a cui sono soggetti coloro che vi sono ristretti, sulle loro connotazioni sociali, sulle possibili azioni da compiere per rendere la pena coerente con quell’idea di reinserimento sociale, molto spesso affermata e altrettanto spesso disattesa.
Non stupisce tuttavia che il Presidente Napolitano abbia incontrato i garanti delle persone private della libertà – quelli eletti su base regionale e il coordinatore di quelli cittadini, Franco Corleone – giacché più volte egli è intervenuto  su questo tema, dimostrando attenzione istituzionale e soprattutto considerando le condizioni carcerarie un parametro fondamentale della qualità della nostra democrazia.
Il 27 aprile scorso il Presidente, in un incontro cordiale e chiaro organizzato dalla garante della Campania Adriana Tocco, ha ricevuto una fotografia diretta di una situazione che permane molto grave e preoccupante.  Il primo punto evidenziato dai garanti è stato, infatti, il perpetrarsi di una situazione ben distante sia dalle previsioni costituzionali per quanto attiene la finalità della pena,sia  dagli obblighi internazionali a prevenire trattamenti e pene che contrastino con la dignità delle persone recluse e sia, infine, dalle stesse previsioni normative del nostro Paese: è emblematico il fatto che già la piena attuazione del Regolamento per il carcere – adottato dodici anni fa e restato sostanzialmente inapplicato – avrebbe effetti di radicale trasformazione della situazione esistente. E questa  è stata, quindi,  la prima necessità evidenziata: l’ immediata attuazione del regolamento quale soluzione a molti problemi di vivibilità.
I garanti erano accompagnati da chi scrive, quale membro italiano del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, e per molti anni presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura. Mio, quindi, è stato il compito di rappresentare al Presidente l’urgenza dell’istituzione di un’autorità indipendente che monitori la privazione della libertà; istituzione possibile attraverso la ratifica di un Protocollo Opzionale delle Nazioni Unite che l’Italia ha firmato e – contrariamente alla grande maggioranza degli altri Paesi europei – non ha mai ratificato.
A tutti è tuttavia noto – ed è stato importante ribadirlo nell’incontro – che, senza un incisivo intervento sul vasto fenomeno della carcerizzazione dei consumatori di droghe e dei tossicodipendenti, le discussioni sulla riduzione del ricorso al carcere rischiano diventare puramente accademiche. Il governo  in quest’ambito è stato inesistente e tale assenza rischia di vanificare le stesse azioni fin qui intraprese sul sovraffollamento. Occorre iniziare a corrodere il moloch delle attuali norme, cominciando almeno con l’aggredire quegli aspetti dell’attuale approccio punitivo alle droghe che determinano carcere – e molto – anche per situazioni e reati di lieve entità. Su questo i numeri delle presenze segnalano un’urgenza che non giustifica indecisioni e rinvii. Questa è la prima tra le altre molte necessità ribadite nell’incontro, di cui ormai tutte le autorità dello Stato, a cominciare dalla più alta, sono state rese edotte. Si resta fiduciosi, ma anche impazienti.

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Le carceri Rassegna Stampa

I Garanti ricevuti da Napolitano

Incontro al Quirinale
Il Presidente Napolitano ha ricevuto una delegazione dei Garanti regionali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto questa mattina al Quirinale Desi Bruno, Salvo Fleres, Alessandro Margara, Angiolo Marroni, Italo Tanoni e Adriana Tocco, Garanti regionali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, accompagnati da Mauro Palma del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale e Francesco Corleone, Coordinatore dei Garanti comunali e provinciali.
Ha partecipato all’incontro il Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino.

 

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I miei articoli Le carceri

Carcere, le cose da fare subito

Franco Corleone scrive per la rubrica settimanale di Fuoriluogo sul Manifesto del 18 aprile 2012:

I buoni propositi di Paola Severino, ministro della Giustizia, per affrontare la crisi del carcere rischiano di tradursi in un desolante nulla. Alla radice, manca un’idea della funzione del carcere e dei luoghi della pena. C’è bisogno di un profondo cambio di paradigma, anche con nuove leggi per eliminare i fattori che producono sovraffollamento e perpetuano un carcere “infantilizzante” (in contrasto con l’ambizione del principio costituzionale del reinserimento del reo nella società). Sostenere che per il governo tecnico non c’è spazio per interventi radicali, è un alibi senza senso che conduce alla paralisi. Così facendo nessuno è costretto ad assumersi precise responsabilità.
Come ho già avuto modo di dire, purtroppo molte volte, il sovraffollamento non è un accidente, un fatto dovuto al caso, ma è il prodotto di scelte politiche e di leggi criminogene, in primo luogo della legge sulle droghe. Il ministro per primo dovrebbe denunciare questo fatto e proporre una modifica almeno parziale dell’attuale legge antidroga, sulla linea del testo presentato già alla Camera dall’on. Cavallaro e al Senato dai senatori Ferrante e Della Seta.
Così si abbatterebbe drasticamente l’ingresso in carcere di consumatori, piccoli spacciatori e tossicodipendenti che ancora nel 2011 sfiorano il 50% degli ingressi e delle presenze in carcere. Si pensi che su 68.000 ingressi ben 23.000, cioè il 33% è per violazione dell’art. 73 (detenzione di sostanze stupefacenti) del Dpr 309 del 1990, riveduto e peggiorato dalla legge 49 del 2006. Il ministro Severino dovrebbe avere il coraggio di portare in Parlamento un decreto legge (esistono tutti i presupposti di necessità e urgenza, che al contrario non c’erano quando fu approvata la legge del 2006, con un colpo di mano incostituzionale di Giovanardi, lasciato passare colpevolmente dal Quirinale).
La cancellazione della legge Cirielli sulla recidiva e il ripristino della legge Simeone-Saraceni sarebbero il necessario corollario di una bonifica legislativa non rinviabile.
Ovviamente non basta. Occorre un piano per l’applicazione larga della legge sulla detenzione domiciliare coinvolgendo le Regioni e i Comuni; e un progetto per l’uscita dal carcere dei tossicodipendenti, almeno diecimila, con inserimenti sul territorio e in comunità di accoglienza.
Se infine si adottassero le misure necessarie per ridurre la carcerazione preventiva, allora il carcere tornerebbe ad una dimensione “fisiologica” e si potrebbe sperimentare un modello simile a quello spagnolo o danese (tanto per dare due riferimenti europei).
In ogni modo, si dovrebbe partire subito con l’applicazione integrale delle misure, sia strutturali che gestionali, previste dal Regolamento del 2000 (con un ritardo vergognoso di dodici anni).
Nel volume Il corpo e lo spazio della pena (Ediesse, 2011), si affronta il nodo dell’edilizia carceraria: gli stessi muri e le stesse sbarre contengono il mafioso e la persona in attesa di giudizio, il camorrista e il semilibero, lo stragista e la detenuta madre. E’ un evidente paradosso, che svela un intento di mero ammassamento di corpi, senza rispetto per la dignità delle persone private della libertà.
Altro che privatizzazione delle carceri, occorre un piano di socializzazione e di ridisegno urbanistico della città!

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Spini: il carcere è già vecchio

Corleone: spazi inutillizati, mancano aree per l’affettività. La visita del coordinatore nazionale dei garanti: “anche in Trentino serve questa figura”.

Scarica l’articolo dal Corriere del Trentino del 4 marzo 2012: TRENTINO_ALTOADIGE_TRENTO(2012_03_04)_Page5.pdf.

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Le carceri

Bello ma decentrato

Visita del coordinatore dei garanti dei detenuti al carcere di Trento.

Scarica l’articolo da l’Adige del 4 marzo 2012: AD0403TN04-14-1

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Le carceri

«Il carcere di Trento è già vecchio»

«Il carcere di Trento è già vecchio»
Franco Corleone in visita a Spini critica la struttura

Da IL TRENTINO
DOMENICA, 04 MARZO 2012 – Pagina 17 – Cronaca

TRENTO. «Quello di Trento è un carcere nuovo, ma concepito con criteri vecchi. E’ una discarica sociale, fuori dalla città, senza spazi aggregativi all’interno e progettato secondo criteri antichi. In questo modo, non può svolgere la funzione del reinserimento nella società dei detenuti». Franco Corleone, coordinatore nazionale dei garanti dei detenuti ed ex sottosegretario alla giustizia dal 1996 al 2001, con i governi Prodi, D’Alema e Amato, ieri ha fatto visita al nuovo carcere di Spini di Gardolo e non è per niente soddisfatto: «Attualmente il carcere ospita 273 detenuti a fronte di una capienza di 240. Una capienza teorica, perché era stato progettato per 120 persone e poi nelle celle singole è stato aggiunto un altro letto. A prescindere, però, dall’affollamento, ci sono difetti del progetto. Il carcere di Trento è stato concepito dagli ingegneri del Ministero secondo idee vecchie. Ad esempio, si fa un gran parlare dei televisori in cella. Ma si tratta di schermi inchiavardati alla parete e per vederli bisogna spostare i letti. Ma ci sono tutta una serie di cose che non vanno».
Corleone, che ieri era a Trento anche per una lezione per la scuola Alexander Langer, spiega che la stessa concezione non va: «Io sono convinto che il carcere debba essere situato in città. A Trento, invece, è quasi sull’autostrada. In questo modo, si isola il carcere dal resto della società. Per svolgere la funzione di reinserimento prevista dalla Costituzione occorrono il doppio delle energie solo per la questione logistica. Invece, così il carcere viene dimenticato. Con tutte le persone che ci stanno dentro. Ma anche il modo in cui è progettato non va bene. Non c’è uno spazio refettorio per i detenuti che mangiano in cella. Manca uno spazio per l’affettività e i locali per i colloqui con i familiari sono troppo piccoli. In una struttura nuova sono difetti che non vanno bene».
Corleone ne ha anche per Provincia e Comune: «Comune e Provincia dovrebbero provvedere a nominare un garante per i detenuti. C’è in quasi tutte le città, non capisco perché non sia previsto in Trentino».
Corleone dà anche delle cifre molto impressionanti: «Su 273 detenuti, 159 uomini e 9 donne sono in carcere per piccoli reati legati alla droga. Il 65 per cento dei detenuti, inoltre, è straniero. Questo mostra come il carcere sia una discarica sociale e non assolva ai compiti che gli dà la Costituzione. E’ una situazione allucinante che andrebbe affrontata seriamente. Invece siamo in una situazione di povertà culturale impressionante. Non si capisce che occorrerebbe portare fuori le persone dal carcere. I detenuti sono troppi e dovremmo affrontare la questione in maniera organica. Basti pensare che a Trento il cosiddetto decreto svuotacarceri è stato applicato solo per 19 persone. Questo perché si tratta soprattutto di stranieri che non hanno una casa dove andare. I comuni dovrebbero trovare il modo di ospitarne alcuni. In questo modo realizzerebbero un progetto civile e lungimirante».

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“Farò subito un´ispezione l´altra volta mi fu negata”

Il garante dei detenuti Franco Corleone rivela: Zonno disse che non era mio diritto. Il segretario dei funzionari di polizia: presa una strada sbagliata, fare passo indietro

MAURIZIO BOLOGNI per La Repubblica, edizione Firenze, del 26 febbraio 2012

Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze, mantiene aplomb e toni misurati che lo contraddistinguono, ma le sue parole pacate sono comunque stilettate. Soprattutto verso il questore Francesco Zonno, che si sarebbe mostrato alquanto fiscale quando, a fine gennaio, dopo il suicidio di un detenuto nelle camere di sicurezza della questura, Corleone e un altro monumento vivente della cultura penitenziaria in Italia, Alessandro Margara, oggi garante per i detenuti della Regione Toscana, si presentarono per ispezionare quelle celle la cui vista aveva appena fatto rabbrividere il pubblico ministero Valentina Manuali durante il sopralluogo imposto dall´inchiesta aperta.
«Con garbo – dice Corleone – il questore ci disse che non avremmo potuto controllare le celle perché erano sotto sequestro della magistratura e che comunque non sarebbe stato nel nostro diritto visitarle. Giudizio inoppugnabile in punto di diritto, ma a nulla valse far notare che di lì a pochi giorni il Parlamento avrebbe approvato un emendamento che avrebbe concesso questo diritto ai garanti dei detenuti. Adesso l´emendamento è stato approvato e noi lunedì andremo subito a ispezionare le camere di sicurezza della questura» dice Corleone al telefono da Siracusa dove si trova per un convegno. Il garante è assai poco incline alle polemiche ma si mostra deciso ad affrontare e risolvere i problemi. Che ci sono.
«Chiederò subito una riunione urgente con autorità giudiziaria e penitenziaria, questura e carabinieri per affrontare alcuni problemi che, paradossalmente, rischiano di far diventare la detenzione in camera di sicurezza peggiore della reclusione in carcere che invece le misure del ministro Severino vorrebbero alleggerire» dice Corleone. «In primo luogo, non mi sembra che affidare il controllo di un arrestato alla stessa forza di polizia che ha eseguito il fermo risponda a criteri di garanzia e sicurezza per la persona. E poi bisogna affrontare un problema: quando un detenuto entra in carcere è sottoposto ad una visita medica che ne controlla l´integrità fisica ed accerta se la persona è stata percossa. Questo non avviene quando si finisce in camera di sicurezza di polizia e carabinieri. Sono questioni – aggiunge Corleone – che dovevano essere risolte prima dell´entrata in vigore del decreto. Lo avevamo chiesto al questore, e Margara ne ha parlato anche con il procuratore generale Deidda, affinché queste modalità fossero messe a regime prima dell´attivazione del servizio della detenzione in camera di sicurezza. Adesso bisogna provvedere. Così come è il caso di valutare se c´è la possibilità di organizzare luoghi di detenzione temporanea diversi dalle camere di sicurezza, non fetenti, magari vicino al tribunale dove il detenuto deve passare per la convalida, affidati ad assistenti sociali e vigilati da un corpo interforze costituito ad hoc. Occorre – conclude il garante dei detenuti – una pausa di riflessione su come applicare la nuova legge per evitare che si ripetano situazioni così terribili».
Sulla tragedia di ieri intervengono anche il senatore radicale Marco Perduca e Maurizio Buzzegoli, segretario dell´associazione Andrea Tamburi. «E´ il secondo caso di morte da chiarire che avviene all´interno della camera di sicurezza della questura di Firenze» scrivono. «L´inidoneità della struttura a trattenere i custoditi e la conseguente difficoltà da parte degli agenti ad assicurare l´integrità fisica di questi ultimi devono essere valutati quanto prima» aggiungono Perduca e Buzzegoli, augurandosi che il questore di Firenze «possa quanto prima far chiarezza su quest´ultima morte, rispettando la concezione che la giustizia deve farsi carico, oltre che della vittima, anche dell´autore del reato». Il segretario regionale toscano dell´Associazione nazionale funzionari di polizia, Antonio Fusco, si interroga polemicamente: «Quante altre tragedie si devono verificare per comprendere di aver imboccato una strada sbagliata e fare un passo indietro? Molte questure della Toscana, come quella di Pistoia per esempio, non hanno nemmeno una camera di sicurezza agibile e gli arrestati devono essere guardati a vista, a volte per giorni, dagli stessi agenti che li hanno fermati, con il perdurare di una situazione di conflitto e di stress inevitabile conseguenza di un arresto». Da qui la richiesta di «un immediato intervento correttivo del governo» da parte dell´associazione che esprime cordoglio ai familiari del giovane e «solidarietà e vicinanza al questore ed ai colleghi della questura di Firenze per le difficoltà nelle quali sono costretti ad operare».

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Dpa. Gonella e Corleone: cambiare dirigenza

La situazione delle carceri italiane e’ sempre piu’ grave e fatte le nuove nomine al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si metta mano a quello antidroga ‘il cui capo e’ responsabile della svolta repressiva che ha portato in cella tanti tossicodipendenti’. A sottolinearlo sono Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, e Franco Corleone, coordinatore dei garanti per i detenuti.

“La situazione nelle carceri e’ tragica. Ieri altri due morti suicidi – dicono Gonnella e Corleone – Le nuove nomine al Dap, di esperienza, apertura e grande professionalita’, speriamo portino a una stagione di riforme coraggiose nel segno della Costituzione’. Secondo Gonnella e Corleone ‘vanno rilanciate, infatti, le misure alternative e va contrastata ogni forma di violenza’. Inoltre, dicono ‘l’affollamento penitenziario va combattuto non con l’edilizia ma cambiando le leggi sulla recidiva e le droghe. A tal fine e’ necessario anche un cambio al dipartimento per le politiche antidroga, il cui attuale capo tanta responsabilita’ ha avuto nell’aver creato le premesse di una svolta repressiva sulle droghe’. ‘Ci attendiamo dal ministro della giustizia – concludono – provvedimenti governativi diretti a istituire il garante dei detenuti e a introdurre il crimine di tortura nel codice penale’.

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SI PER UN NUOVO MODELLO CARCERARIO NO AI BAMBINI DI MADRI DETENUTE IN CARCERE

Visita della guardasigilli Paola Severino nel capoluogo toscano, in occasione dell’inaugurazione del Nuovo Palazzo di giustizia e del Nuovo complesso penitenziario di Firenze Sollicciano. Al termine della visita al carcere di Sollicciano, il ministro Severino si e’ confrontata con i giornalisti nel Giardino degli incontri della struttura penitenziaria fiorentina. “Un uomo in carcere e’ un uomo sofferente che deve essere rispettato – ha affermato il ministro -. Oggi il carcere e’ una tortura, piu’ di quanto non sia la detenzione stessa, che deve comunque portare alla rieducazione. Vogliamo intraprendere un cammino che vuole mettere insieme piccole misure che complessivamente potrebbero dare sollievo ai detenuti. E questo perche’ il carcere deve essere un luogo di redenzione e non di inutile sofferenza”.

PENE ALTERNATIVE: Per la Severino, la detenzione deve essere l’ultima spiaggia, “l’estrema ratio quando non si possono piu’ percorrere le altre strade. Vogliamo un rovesciamento di proporzioni. Vogliamo riservare il carcere solo quando l’esigenza di difesa sociale prevale. Il carcere, insomma, solo quando altre misure non possono essere sufficienti”.

TOSSICODIPENDENTI E CARCERE: “Credo che i tossicodipendenti vadano curati per intraprendere un cammino di redenzione – ha affermato il ministro della Giustizia -. Ma vanno allontanati dall’ambiente da cui si e’ originata la dipendenza”. Per quanto riguarda le normative su carcere e tossicodipendenza, “le alternative al carcere ci sono, ma prima di fare una proposta di legge voglio approfondire, verificare i numeri e le varie possibilita’. Non vogliamo varare misure palliative quando il problema va approfondito alla radice”.

LAVORO CARCERARIO: “Stiamo lavorando sul lavoro carcerario. Il detenuto che impara a fare un lavoro e’ un detenuto semi-salvato, che ritrovera’ in se’ le risorse per riprendersi”, ha aggiunto. BAMBINI IN CARCERE: “E’ straziante vedere i bambini che sono in carcere con le loro madri. I bambini non si possono alzare la mattina e vedere le sbarre. E’ una pena immensa”. Per i bambini figli delle detenute, ha annunciato il ministro, “stiamo attivando sistemi alternativi”.

IMMIGRATI: Infine, sulla questione degli immigrati in carcere, una delle soluzioni ipotizzate del titolare del ministero della Giustizia e’ quella delle convenzioni bilaterali con i Paesi di origine, nell’ottica di “un ritorno nel loro Paese”.

Insieme al ministro hanno visitato il carcere anche l’assessore regionale alla Sanita’, Daniela Scaramuccia, l’assessore fiorentino alle Politiche sociali, Stefania Saccardi, il direttore dello stesso carcere, Oreste Cacurri, il provveditore regionale Maria Pia Giuffrida, il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, e don Alessandro Santoro, cappellano delle Piagge.