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Le droghe

“Caro Minniti, cambia verso”. A colloquio con Franco Corleone

Intervista di Francesca Sironi a Franco Corleone per L’Espresso, 11 aprile 2017

Intervista di Francesca Sironi per L’Espresso, 11 aprile 2017

L’Italia “è un Paese sospeso. Da una parte per la prima volta non solo gli antiproibizionisti storici ma anche persone come Roberto Saviano, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti o Raffaele Cantone sostengono la necessità di legalizzare la cannabis. Dall’altra genitori terrorizzati dall’uso di canapa da parte dei loro figli, probabilmente perché disinformati, chiedono sempre maggior repressione”.
Franco Corleone è una voce storica del dibattito politico e sociale sulle droghe nel nostro paese. La sua prima proposta di legge per la legalizzazione risale agli anni Novanta. La sottoscrissero 190 deputati. Guardando all’attualità dei problemi legati alle sostanze, per i giovani, dalla diffusione di composti chimici non tracciati alle ispezioni della polizia nelle scuole, osserva adesso le risposte ancora zoppicanti di politica e istituzioni, e parla di un paese sospeso, appunto, tra “contraddizioni che sono frutto della mancanza di una direzione chiara per lo sviluppo dei diritti e delle libertà”.

A quali contraddizioni pensa?
“Abbiamo finalmente una proposta di legge sostenuta da 280 parlamentari. Ferma. Abbiamo un contesto internazionale in cui i fallimenti delle “war on drugs” stanno finalmente lasciando il passo alla legalizzazione, dall’Uruguay ad alcuni Stati americani, fino al Canada, dove dovrebbe essere presto presentata una misura in questo senso. E in verso opposto osserviamo la stesura di un nuovo testo per la sicurezza urbana, firmato dal ministro dell’Interno Minniti, che reintroduce, di fatto, le sanzioni amministrative più gravi anche per chi soltanto detiene della cannabis, come erano previste dalla Fini-Giovanardi. Sanzioni già bocciate dalla Consulta. Sono costernato dall’osservare queste novità. Non trovo altro aggettivo se non: costernato. Quante volte dovremo ripetere che la repressione non solo non risolve il problema, ma lo aggrava?”

Quali sono le conseguenze?
“Pensiamo al carcere, di cui mi occupo da anni. Bene: il 30 per cento degli ingressi e il 32 per cento delle detenzioni riguarda la violazione dell’articolo 73, la norma che punisce lo spaccio ma anche la detenzione di stupefacenti in misura superiore ai limiti, in gran parte. Sono numeri impressionanti. E ancora, come conseguenze, penso al milione di giovani, perché si tratta soprattutto di giovani, fermati e segnalati alle prefetture per l’art. 75 – possesso personale – dal 1990 ad oggi”.

Il 72 per cento di queste riguarda cannabinoidi.
“Ecco un’altra contraddizione: nella corsa a criminalizzare qualsiasi consumo, le forze si concentrano su chi fuma uno spinello di erba – naturale – e non sul contrasto efficace delle nuove sostanze chimiche sconosciute, ignote, e molto pericolose per i ragazzi. Sulle sostanze leggere dovremmo quindi cambiare le norme, le priorità. E contemporaneamente sviluppare delle vere politiche di riduzione del danno per tutti gli stupefacenti, con l’obiettivo di costruire una cultura dell’uso responsabile, controllato, che ancora manca”.

A una settimana dal suicidio del ragazzo di Lavagna, lei scriveva sul suo blog su L’Espresso: “È stato ucciso dal pregiudizio e dall’ignoranza di chi lo aveva etichettato come drogato perché fumava marijuana. Il proibizionismo ha fatto un’altra vittima”.
“È così”.

Parlava di paure, all’inizio del colloquio.
“Sì, non so spiegarmi altrimenti la spinta irrazionale delle famiglie a pretendere maggiori controlli tout court. Forse è veramente solo paura verso il non conosciuto. Adulti che come cittadini hanno una posizione, come genitori ne hanno un’altra, e in nome della protezione, e non del senso di comunità, soffocano le libertà. E finiscono così a considerare normale, e anzi a richiedere, controlli degli agenti anche a scuola. Quando vedo quelle immagini di ragazzi in la alla parete, nel corridoio fra le classi, annusati dai cani, che subiscono questa protervia insensata”.

La metà dei giovanissimi che abbiamo sentito non si dice scioccata da queste ispezioni.
“Quando facevo le superiori, noi studenti non avremmo mai accettato accadesse. Non l’avremmo mai permesso. Ora gli adolescenti non si ribellano. E quindi giustificano la non-ribellione dicendo: “ma sì, non è poi grave”. Forse le vittime reagiscono sempre in modi diversi, certo. E forse la pressione di miti a buon mercato, di ritornelli sul salutismo, ma soprattutto le proiezioni dei genitori, sempre più presenti dentro le scuole, hanno cambiato la percezione dei ragazzi”.

Cosa direbbe a quei genitori, angosciati dalla possibilità che i figli fumino marijuana o altro?
“Quello che dico da tempo. Ovvero che la legalizzazione della cannabis sarebbe una protezione dei giovani, non un incentivo, perché smitizzerebbe la pratica e permetterebbe un controllo sicuro della qualità dei prodotti. E non è poca cosa. Direi loro di guardare alle esperienze in corso o alle statistiche che ci arrivano da paesi come l’Olanda, dove il consumo della cannabis è tollerato nei coffee shop ormai dal 1976 e da allora il numero dei fumatori non è aumentato”.

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