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Agenda

Esiste un modello di cambiamento per il carcere?

Assessore alle Politiche Sociali e ai Giovani
Stadtrat fu?r Sozialpolitik und Jugend
Mauro Randi

Referente per le problematiche inerenti il carcere cittadino e per i diritti delle persone private della libertà personale
Beauftragte fu?r die Belange des Bozner Gefängnisses und fu?r die Rechte der Strafgefangenen
Franca Berti

TRA SOVRAFFOLLAMENTO, RIVOLTA E DECRETO SVUOTACARCERI:
ESISTE UN MODELLO DI CAMBIAMENTO PER IL CARCERE?
ZWISCHEN ÜBERFÜLLUNG, REVOLTE UND ENTLASTUNGSDEKRET: IST EIN WANDEL
IN DEN GEFÄNGNISSEN MÖGLICH?

02.03.2012 | ore 17.30 Uhr
Sala Fronza Saal
via Dalmazia, 30/B – Teatro Cristallo – III piano
Dalmatienstraße Nr. 30/B – Cristallo-Theater – 3. Stock
Bolzano

Incontro con | Treffen mit
FRANCO CORLEONE
Coordinatore Nazionale dei Garanti dei Detenuti
Nationaler Koordinator der Beauftragten von Häftlingen

per la presentazione del libro | fu?r die Buchvorstellung
“Il corpo e lo spazio della pena” Ediesse Edizioni 2011
Porgeranno i saluti | Begru?ßung durch
On. | Abg. Luisa Gnecchi
Sindaco | Bu?rgermeister Luigi Spagnolli

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In Primo Piano Le carceri

“Farò subito un´ispezione l´altra volta mi fu negata”

Il garante dei detenuti Franco Corleone rivela: Zonno disse che non era mio diritto. Il segretario dei funzionari di polizia: presa una strada sbagliata, fare passo indietro

MAURIZIO BOLOGNI per La Repubblica, edizione Firenze, del 26 febbraio 2012

Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze, mantiene aplomb e toni misurati che lo contraddistinguono, ma le sue parole pacate sono comunque stilettate. Soprattutto verso il questore Francesco Zonno, che si sarebbe mostrato alquanto fiscale quando, a fine gennaio, dopo il suicidio di un detenuto nelle camere di sicurezza della questura, Corleone e un altro monumento vivente della cultura penitenziaria in Italia, Alessandro Margara, oggi garante per i detenuti della Regione Toscana, si presentarono per ispezionare quelle celle la cui vista aveva appena fatto rabbrividere il pubblico ministero Valentina Manuali durante il sopralluogo imposto dall´inchiesta aperta.
«Con garbo – dice Corleone – il questore ci disse che non avremmo potuto controllare le celle perché erano sotto sequestro della magistratura e che comunque non sarebbe stato nel nostro diritto visitarle. Giudizio inoppugnabile in punto di diritto, ma a nulla valse far notare che di lì a pochi giorni il Parlamento avrebbe approvato un emendamento che avrebbe concesso questo diritto ai garanti dei detenuti. Adesso l´emendamento è stato approvato e noi lunedì andremo subito a ispezionare le camere di sicurezza della questura» dice Corleone al telefono da Siracusa dove si trova per un convegno. Il garante è assai poco incline alle polemiche ma si mostra deciso ad affrontare e risolvere i problemi. Che ci sono.
«Chiederò subito una riunione urgente con autorità giudiziaria e penitenziaria, questura e carabinieri per affrontare alcuni problemi che, paradossalmente, rischiano di far diventare la detenzione in camera di sicurezza peggiore della reclusione in carcere che invece le misure del ministro Severino vorrebbero alleggerire» dice Corleone. «In primo luogo, non mi sembra che affidare il controllo di un arrestato alla stessa forza di polizia che ha eseguito il fermo risponda a criteri di garanzia e sicurezza per la persona. E poi bisogna affrontare un problema: quando un detenuto entra in carcere è sottoposto ad una visita medica che ne controlla l´integrità fisica ed accerta se la persona è stata percossa. Questo non avviene quando si finisce in camera di sicurezza di polizia e carabinieri. Sono questioni – aggiunge Corleone – che dovevano essere risolte prima dell´entrata in vigore del decreto. Lo avevamo chiesto al questore, e Margara ne ha parlato anche con il procuratore generale Deidda, affinché queste modalità fossero messe a regime prima dell´attivazione del servizio della detenzione in camera di sicurezza. Adesso bisogna provvedere. Così come è il caso di valutare se c´è la possibilità di organizzare luoghi di detenzione temporanea diversi dalle camere di sicurezza, non fetenti, magari vicino al tribunale dove il detenuto deve passare per la convalida, affidati ad assistenti sociali e vigilati da un corpo interforze costituito ad hoc. Occorre – conclude il garante dei detenuti – una pausa di riflessione su come applicare la nuova legge per evitare che si ripetano situazioni così terribili».
Sulla tragedia di ieri intervengono anche il senatore radicale Marco Perduca e Maurizio Buzzegoli, segretario dell´associazione Andrea Tamburi. «E´ il secondo caso di morte da chiarire che avviene all´interno della camera di sicurezza della questura di Firenze» scrivono. «L´inidoneità della struttura a trattenere i custoditi e la conseguente difficoltà da parte degli agenti ad assicurare l´integrità fisica di questi ultimi devono essere valutati quanto prima» aggiungono Perduca e Buzzegoli, augurandosi che il questore di Firenze «possa quanto prima far chiarezza su quest´ultima morte, rispettando la concezione che la giustizia deve farsi carico, oltre che della vittima, anche dell´autore del reato». Il segretario regionale toscano dell´Associazione nazionale funzionari di polizia, Antonio Fusco, si interroga polemicamente: «Quante altre tragedie si devono verificare per comprendere di aver imboccato una strada sbagliata e fare un passo indietro? Molte questure della Toscana, come quella di Pistoia per esempio, non hanno nemmeno una camera di sicurezza agibile e gli arrestati devono essere guardati a vista, a volte per giorni, dagli stessi agenti che li hanno fermati, con il perdurare di una situazione di conflitto e di stress inevitabile conseguenza di un arresto». Da qui la richiesta di «un immediato intervento correttivo del governo» da parte dell´associazione che esprime cordoglio ai familiari del giovane e «solidarietà e vicinanza al questore ed ai colleghi della questura di Firenze per le difficoltà nelle quali sono costretti ad operare».

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In Primo Piano Le carceri

Dpa. Gonella e Corleone: cambiare dirigenza

La situazione delle carceri italiane e’ sempre piu’ grave e fatte le nuove nomine al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si metta mano a quello antidroga ‘il cui capo e’ responsabile della svolta repressiva che ha portato in cella tanti tossicodipendenti’. A sottolinearlo sono Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, e Franco Corleone, coordinatore dei garanti per i detenuti.

“La situazione nelle carceri e’ tragica. Ieri altri due morti suicidi – dicono Gonnella e Corleone – Le nuove nomine al Dap, di esperienza, apertura e grande professionalita’, speriamo portino a una stagione di riforme coraggiose nel segno della Costituzione’. Secondo Gonnella e Corleone ‘vanno rilanciate, infatti, le misure alternative e va contrastata ogni forma di violenza’. Inoltre, dicono ‘l’affollamento penitenziario va combattuto non con l’edilizia ma cambiando le leggi sulla recidiva e le droghe. A tal fine e’ necessario anche un cambio al dipartimento per le politiche antidroga, il cui attuale capo tanta responsabilita’ ha avuto nell’aver creato le premesse di una svolta repressiva sulle droghe’. ‘Ci attendiamo dal ministro della giustizia – concludono – provvedimenti governativi diretti a istituire il garante dei detenuti e a introdurre il crimine di tortura nel codice penale’.

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I miei articoli Le droghe

Rototom, un processo assurdo

La persecuzione giudiziaria contro  il festival Rototom Sunsplash è iniziata nel luglio 2009 dopo una indagine bizzarra dei carabinieri con l’accusa agli organizzatori di “agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti”. Oggi, a distanza di tre anni, sta diventando una storia infinita dopo il recente rinvio a giudizio di Filippo Giunta, responsabile dell’evento culturale. Nel frattempo il festival in Italia non esiste più, perché da Osoppo è emigrato in Spagna.
E’ l’ennesima conferma della crisi (e dei tempi) della giustizia, che sceglie di perseguire i deboli e salvare i potenti. Per sostenere i teoremi ideologici della legge Giovanardi sulle droghe, si dilapidano allegramente soldi pubblici e soprattutto si distolgono forze dall’accertamento e dalla repressione di reati gravi, da quelli ambientali a quelli finanziari.
La montatura giudiziaria si aggrappa all’art. 79 della legge antidroga (309/90): esso prevede la pena da tre a dieci anni di carcere per  chiunque adibisce un locale pubblico o un circolo privato a luogo di convegno di persone che ivi si danno all’uso di droghe. E’ una norma ambigua, che raramente è stata utilizzata negli impianti accusatori per la difficoltà interpretativa. Ma il giudice per le indagini preliminari, Roberto Venditti, ha accolto l’impianto accusatorio e ha sbrigativamente equiparato il Parco del Rivellino, frequentato da decine di migliaia di persone, alle quattro mura di un caffé. Per rafforzare la sua interpretazione della norma nel provvedimento di rinvio a giudizio, il magistrato richiama il secondo comma che allarga la previsione “a un immobile, un ambiente o un veicolo a ciò idoneo”. Tace però che lo stesso comma specifica che si deve trattare di un luogo di “convegno abituale di persone”. La partecipazione a un concerto, a un dibattito o la visita agli stand hanno un carattere occasionale, non certo abituale. In più, quando si parla di convegno abituale, ci si riferisce con evidenza a un “giro” definito di persone.
Il giudice Venditti ricalca anche le valutazioni del procuratore del tribunale di Tolmezzo Giancarlo Buonocore, secondo cui  Rototom sarebbe stato un punto d’incontro di persone in preda alle “suggestioni culturali riconducibili all’ideologia rastafariana che prevede l’associazione tra musica reggae e marijana” (sic!). Meno pregiudizi razzisti e più conoscenza della storia dei Caraibi e dei movimenti di resistenza al dominio coloniale avrebbero potuto evitare affermazioni così spericolate.
Ma sospetto e pregiudizio ancora ricorrono quando il Gup ritiene di trovare conferma del comportamento “dolosamente tollerante” degli organizzatori del festival nel servizio di assistenza legale all’interno del festival. Di fronte a una legge fra le più punitive in Europa,  che riempie le galere di tossicodipendenti e di consumatori con pene che vanno da 6 a 20 anni di carcere, si dovrebbe fare come Ponzio Pilato?
Nel 2009 una medesima montatura contro il Livello 57di Bologna fu alla fine ridicolizzata da una sentenza di assoluzione, giunta però troppo tardi per riparare il danno provocato dalla chiusura del centro sociale.
Il processo che si svolgerà in Carnia deve diventare l’occasione per mettere sul banco degli imputati la legge Giovanardi. L’appuntamento è dunque per il 31 maggio a Tolmezzo in nome della giustizia giusta e del diritto, della cultura e della libertà.

(articolo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 1 febbraio 2012)