Ho conosciuto Gualtiero Schiaffino all’inizio degli anni ottanta a Milano. Ci fece incontrare Luciano Cervone, fondatore di Secondamano, giornale assai innovativo di annunci gratuiti.
Da allora, fino alla morte sconvolgente dello scorso 25 dicembre scorso, si è dipanato un sodalizio ricco di solidarietà, amicizia e di costruzione e condivisione di progetti.
Se osservassimo dall’esterno i ruoli, io ero il politico e lui l’intellettuale. Nella realtà politica e cultura erano molto legate e soprattutto vivevamo una stagione legata alle battaglie per i diritti civili, per l’ambiente e con un clima di allegria che caratterizzava l’impegno e la militanza. Tanto volontariato, poco professionismo e nessun potere.
Tante e diverse sono state le stagioni che ci hanno visto insieme.
La prima è stata quella del Club Il Politecnico, un circolo culturale che fondammo mettendo insieme energie e esperienze diverse, unite dallo spirito critico della sinistra laica, radicale, liberale. Schiaffino interpretò l’ispirazione ideale con un disegno che riproduceva la tavolata dei soci riuniti per scegliere il nome. Il fumetto finale, dissacrante, riassumeva il dibattito che aveva evocato il sessantotto e Vittorini, esclamando “allora chiamamolo il policlinico”!
La sede di viale Bligny divenne una fucina di confronto spregiudicato su temi di attualità politica, di cultura, di costume, di urbanistica. Alcune questioni di confine furono affrontate con grande anticipo grazie proprio a Schiaffino. Ricordo la mostra di disegni dei più noti autori di satira intitolata “Elaboratori di tutto il mondo, unitevi!”. Il volume, una chicca ormai introvabile, fu curato da Schiaffino.
In quegli anni iniziammo una vera campagna per le due ruote e il Club si impegnò per la chiusura del Centro storico alle auto. Promuovemmo un referendum cittadino che vincemmo con una larga maggioranza. Iniziò allora la collaborazione con l’Ancma e con il suo direttore Costantino Ruggero.
Nel 1987 pubblicammo un volume intitolato “La bici, per una città a dimensione duomo” che raccoglieva le biciclette dedicate ai personaggi della politica del tempo.
La prefazione era affidata alla penna di Cesare Medail, giornalista e amico carissimo prematuramente scomparso. Diceva Medail: ”la sapiente matita di Gualtiero Schiaffino ha disegnato 50 biciclette dalle fogge più strane, ciascuna delle quali collegata, per forme e accessori,a un personaggio pubblico, per lo più a un uomo politico o a un potente della terra, con sotto un’epigrafe a completare il teatrino satirico”. E concludeva: ”Le biciclette di Schiaffino possono essere considerate amuleti taumaturgici contro i veleni provenienti dalle mefitiche stanze del Palazzo e contro le infezioni delle quali i suoi inquilini sono micidiali portatori. Messi di forza a cavalcioni del velocipide truccato su misura da Schiaffino, eccoli perdere ogni carisma, scendere dai troni a pedalare come tanti re ignudi tra la gente che il giullare del disegno invita allo sberleffo; anch’esso salutare e disintossicante, proprio come la bici al posto dell’auto nei giardini di pietra”.
Nelle didascalie che accompagnavano i disegni erano sintetizzati giudizi politici dissacranti che si chiudevano con una battuta fulminante.
La sintonia di Schiaffino con le due ruote si è poi arricchita con l’invenzione straripante del “ciclotappo” e con l’agenda VIAVAI pubblicata per diciassette anni.
Le vicende politiche mi portarono lontano da Milano, a Roma, a Catania, a Ortona. Potevo sempre contare sull’aiuto di Gualtiero per inventare incontri e creare rapporti nuovi. In ogni realtà Schiaffino stringeva rapporti e amicizie che producevano relazioni indipendenti e che proseguivano nel tempo.
A un certo punto in Gualtiero è scattata la vena del protagonismo politico. Ricordo di essere stato invitato al varo della lista civica per le elezioni comunali di Camogli. “I Mille Bianchi Velieri”, questo l’immaginifico nome, ebbe un buon successo e quel tentativo venne capitalizzato nell’elezione a consigliere provinciale con i Verdi.
Anch’io, abbandonata la politica nazionale nel 2001, divenni casualmente consigliere provinciale a Udine e collaborammo di nuovo. Nel frattempo Schiaffino era diventato assessore provinciale alla cultura. Ricordo la presentazione della valigia di libri per ragazzi, il bibliobus e la presentazione di cinque mostre di disegni umoristici sul vino in Carnia.
In questo ruolo mise a profitto la rete di conoscenze di anni e si cimentò con la concretezza e la pratica sul territorio.
Credo abbia stupito tutti, anche quelli che lo conoscevano di più, per il suo realismo e il fare quotidiano, davvero inesauribile.
La sua capacità di giudizio politico si affinava sempre più. La crisi della politica e lo scadimento della qualità della classe politica non gli sfuggivano di certo. Le delusioni delle esperienze fatte non riuscivano però a farlo desistere e ad abbandonare il campo. La sua ironia non precipitava nella demagogia, la sua satira non diveniva retorica. La sua cifra non era la protesta alla Masaniello, ma il disincanto e la ragione.
La sua vena polemica non era mai cattiva. Conosceva il suo valore e lottava per poterlo dimostrare anche su un terreno che poteva apparire estraneo per lui, raffinato uomo di cultura.
Fino all’ultimo ha dato il suo contributo al rinnovamento della politica a Genova e in Liguria, partecipando all’avventura del Movimento Ecologista e infine con la candidatura impossibile alle ultime elezioni provinciali nelle liste socialiste.
Gualtiero Schiaffino non poteva essere rinchiuso nelle logiche di corrente dei partiti, non poteva essere prigioniero della noia delle riunioni e questa è la ragione delle sue sconfitte.
Ma c’era un luogo della politica dove era imbattibile. Quando inventava sigle e movimenti apparentemente eterei e inventati ed erano invece la caricatura del nulla che avanzava inesorabile. “Eleganza democratica”, “Il non partito”, “il balenismo” sono solo alcune delle mirabolanti fantasie di Schiaffino.
La sua creatura forte, Andersen, rimane la rivista leader dell’editoria per ragazzi; ricordo di essere stato invitato a Genova per una tavola rotonda e senza esserci messi d’accordo lanciammo l’idea di una iniziativa per i libri d’evasione (io ero sottosegretario alla Giustizia!).
Anche la collaborazione con Fuoriluogo, il mensile su droghe e diritti, inserto del manifesto si è rivelata interna a un progetto politico su un tema che vede protagonisti il moralismo e l’ipocrisia, vere bestie nere di Gualtiero.
Gualtiero Schiaffino ha dato in un giorno, quello della sua scomparsa, un dolore pari per intensità al divertimento dei tanti incontri e delle telefonate in cui si susseguivano giochi di parole, apparentemente senza senso, lazzi e frizzi.
Credo che la sua morte abbia fatto capire a tutti il senso del suo esilarante biglietto da visita: esponente di spicco.
Franco Corleone
Dal mensile Andersen, febbraio 2008, pagina 22.