Un intervento doveroso, anche se rivolto a una persona amica, a garanzia dei diritti di tutti. Franco Corleone commenta il caso Cancellieri sul Messaggero Veneto.
La bufera che si è scatenata contro il ministro della Giustizia Cancellieri per un presunto intervento di favore verso la figlia di Salvatore Ligresti è un frutto avvelenato di quell’incattivimento assai diffuso che vede in sospetto ogni misura che rispetti garanzie e regole dello stato di diritto, soprattutto se rivolte ai potenti caduti in disgrazia. Un ministro della giustizia, quando riceve una segnalazione – da avvocati, amici o sconosciuti non importa – sul rischio che corre un detenuto, ha il dovere di intervenire attraverso l’azione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Sarebbe invece riprovevole se il ministro avesse trascurato altrettanto gravi denunce, privilegiando invece solo questo caso. I garanti dei diritti dei detenuti (può valere come autodenuncia) intervengono frequentemente, con lettere e telefonate ai direttori di carcere o ai responsabili del Dap per far conoscere episodi di ordinaria drammaticità che mettono a rischio la vita e la salute dei detenuti. Non nascondo di essermi rivolto anche ai magistrati di sorveglianza per sollecitare decisioni che non ammettevano ritardi. Il Comitato Nazionale di Bioetica recentemente ha approvato un documento dal titolo eloquente, “La salute dentro le mura”, che denuncia le disfunzioni del sistema sanitario e le drammatiche condizioni di vita delle carceri. La salute è un diritto costituzionale per tutti i cittadini, ma in particolare per le persone private della libertà, perché il loro corpo è nella piena e incontrollata disponibilità dello Stato, con il rischio che si trasformi in arbitrio. Uno scandalo c’è. Ed è il silenzio che si è steso sul messaggio al Parlamento del Presidente Napolitano sulla condizione delle carceri e la ineludibilità di interventi di riforma radicale, non escludendo anche straordinarie forme di clemenza come l’amnistia e l’indulto. E c’è un altro scandalo. La distrazione con cui la politica considera la condanna dell’Italia da parte della Corte europea per i diritti umani per trattamenti crudeli e degradanti. Il nostro Paese ha avuto un anno, fino a maggio 2014, per adottare rimedi sostanziali. C’è poco tempo e l’Italia si avvia dunque con allegra irresponsabilità ad assumere nel giugno 2014 la direzione dell’Unione europea con il marchio dell’infamia per violenza e tortura sistematica. Questa vicenda dimostra un assoluto strabismo. Da una parte abbiamo dati impressionanti sull’eccesso di custodia cautelare e su un numero irrisorio di misure alternative (compresi gli affidamenti terapeutici per i tossicodipendenti); dall’altra la rivolta “morale” per la concessione degli arresti domiciliari per una detenuta, Giulia Ligresti (restituiamo identità personale a una persona in quanto tale e non come parente di qualcuno), colpita da una grave forma di anoressia e con il timore di un ricorso al suicidio. La concessione di questa misura deriva dall’esito di una perizia del 6 agosto, antecedente alla telefonata del ministro Cancellieri al Dap che già per altro monitorava il caso. Il problema che dovrebbe angosciare le coscienze è che dal fondo del pozzo troppe poche voci si levano e si fanno ascoltare: troppi detenuti senza voce parlano solo con il proprio corpo, tagliandosi o cucendosi la bocca. Il rischio di questa sollevazione è che invece di rafforzare i diritti degli ultimi, si consolidi l’assenza dei diritti per tutti. Non voglio cedere alla facile tentazione di vedere trame e complotti. Mi colpisce però che il caso Cancellieri sia esploso alla vigilia di decisioni incisive per aggredire le ragioni del sovraffollamento e per rendere più umana la vita negli istituti di pena. Temo che proprio queste misure si vogliano delegittimare. Se non se ne facesse di nulla, per le carceri potrebbe venire l’ora dell’apocalisse.