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I miei articoli

Il disperato commercio di Calderoli

Povero Bossi! E’ ridotto a dare del matto a Pisapia sperando di tenere assieme una barca che affonda non per opera sua e senza avere una zattera per ripensare una strategia alternativa. Così dà man forte al carnevale delle proposte offensive per i cittadini milanesi come l’abolizione dell’ecopass, la cancellazione delle multe (variante ambrosiana del condono edilizio per Napoli) e il miraggio di una città esentasse.
Quello che è stupefacente nella destra italiana è la capacità truffaldina di presentarsi agli elettori come se fosse sempre all’opposizione, come se non fosse al governo di Milano (e della Regione) da venti anni. Demagogia e propaganda rappresentano la cifra di una mistificazione continua, che la rivoluzione gentile di Giuliano Pisapia ha finalmente smascherato.
Anche il ministro Calderoli ha offerto la sua proposta di maleodorante voto di scambio: turatevi il naso, votate la Moratti e vi daremo due ministeri. Insomma le donne e gli uomini eredi dell’Illuminismo trattati come i seguaci di Scilipoti.
Certo occorrerebbe chiedere conto all’inventore del Porcellum perché il suo Governo non ha messo nell’agenda politica la riforma del Senato federale, ad esempio.
Ma vale comunque la pena discutere del merito della proposta che potrebbe inserirsi, se fosse fatta non strumentalmente, nel dibattito sui 150 anni dell’Unità d’Italia per altro troppo generico e povero.
Proprio Giuseppe Mazzini inchiodato nella oleografia come l’intransigente teorico dell’Unità d’Italia e di Roma Capitale, nel 1861 non solo esprimeva una dura critica alla logica di un “Piemonte ingrandito” ma addirittura proponeva una struttura decentrata delle Istituzioni. Mazzini paventava una burocrazia concentrata in una sola grande città tentacolare e ipotizzava la ripartizione delle varie manifestazioni della vita nazionale oggi accentrate in una sola Metropoli tra le diverse città capoluoghi delle Regioni. E aggiungeva:” Non vedo perché non si collocherebbe in una sede la Magistratura superiore, in un’altra l’Università nazionale, in una terza l’Ammiragliato, in una quarta l’Istituto Centrale di Scienze e d’Arti, e così via. Il telegrafo elettrico (oggi diremmo internet, ndr.) sarebbe in tempi normali, vincolo d’unità sufficiente; e in tempi di guerra o pericoli gravi sarebbe facile l’accentramento. A Roma basterebbe la Rappresentanza Nazionale, il sacro nome, e lo svolgersi provvidenziale dall’alto dei suoi colli della sintesi dell’Unità morale Europea”.
Se si volesse attualizzare la proposta ci si dovrebbe riferire al Consiglio Superiore della Magistratura, all’ Istat, al Cnel, al CNR, ad esempio.
Massimo Scioscioli nel suo volume “Giuseppe Mazzini, i principi e la politica” sottolinea che questa impostazione era già stata manifestata nel 1849, l’anno della straordinaria esperienza della Repubblica Romana la cui Costituzione affermava i principi fondamentali della democrazia e che ebbe come difensori Carlo Pisacane, Giuseppe Garibaldi e giovani come Goffredo Mameli.
Come si capisce dalla proposta di Mazzini, non si trattava di mettere in atto un mercato delle vacche ma di coinvolgere nella costruzione di un Paese le realtà più diverse, creando un sentimento di fratellanza del Popolo fondato sull’alleanza dei Comuni e con una significativa ispirazione all’Europa.
Tutto il contrario della spinta fondata sull’egoismo e sul razzismo dell’orgia federalista e della ubriacatura devoluzionista di questa troppo lunga stagione che non ha nulla a che fare con il pensiero razionale di Cattaneo.
La crisi del regime berlusconiano mette in pericolo la stessa convivenza dell’Italia; la ricostruzione del tessuto morale del Paese può partire riscoprendo le radici serie della Repubblica in vista di un patto sociale animato dalla solidarietà.

Franco Corleone

Articolo pubblicato da Terra il 24 maggio 2011

La Rai e il tempo che non c'è (mai)

ELEZIONI: RAI, NON PIU’ TEMPO PER SPOT SU VOTO IN CARCERE
(ANSA) – FIRENZE, 8 APR – ‘Non c’e’ piu’ tempo per pianificare uno specifico spot’ che spieghi le modalita’ del voto in carcere. E’ questa la risposta arrivata al garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone dal direttore comunicazione e immagine della Rai, Gianluca Veronesi, incaricato dal presidente del cda Claudio Petruccioli. Lo rende noto lo stesso Corleone.
Nei giorni scorsi il garante aveva scritto una lettera a Petruccioli per sollecitarlo affinche’ la tv di Stato informasse su come i detenuti possono votare in occasione delle prossime elezioni. Nella risposta di Veronesi si spiega che ‘gli spot in onda hanno dovuto passare il vaglio di vigilanza, autorita’ e Viminale, e per di piu’ gli ultimi giorni sono destinati alle istruzioni di voto’. ‘Abbiamo provveduto – si legge nella lettera – a passare le regole di voto in carcere a Televideo perche’ le accluda nelle specifiche pagine e abbiamo segnalato ai Tg il problema perche’ trovino uno spazio per parlarne, guadagnando cosi’ tempo prezioso’.
‘La situazione – afferma Corleone – e’ drammatica e vergognosa per la democrazia e i diritti. I detenuti devono attraversare un complesso iter burocratico per poter votare e molti non ne sono a conoscenza. Non dobbiamo privarli del diritto di cittadinanza’. Nel carcere fiorentino di Sollicciano, sottolinea Corleone, ci sono state 25 richieste di voto da parte dei detenuti e le autorizzazioni sono state due.

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I miei articoli Le droghe

Le droghe nell’urna

Da Fuoriluogo, di Franco Corleone – 30 marzo 2008

Sono tante le campagna elettorali a cui ho partecipato come cittadino o come militante dal lontano 1963. Confesso che questa in corso si rivela come la più mediocre e insulsa. È impressionante la mancanza di passione che si percepisce tra attori e spettatori e che non può derivare solo dal meccanismo della ignobile legge elettorale che prevede lo scontro al momento delle candidature e poi la delega del confronto mediatico ai supposti leader. Basti pensare alla intensa mobilitazione popolare di due anni fa sull’onda della speranza di cancellare l’esperienza incandescente del quinquennio di governo berlusconiano.
Il fallimento del governo Prodi viene prima della rottura traumatica della legislatura ad opera di transfughi e apprendisti stregoni. Una lunga catena di errori – dalla nomina di entrambi i presidenti di Camera e Senato, alla composizione pletorica dell’esecutivo, fino all’elezione del Capo dello Stato, senza il coinvolgimento dell’opposizione – determinata dalla incapacità di riflettere sull’esito elettorale e sul senso da dare ad una fase decisiva per la democrazia.
Avere messo da parte la sfida, seppure in condizioni difficili, della ricostruzione civile del Paese e avere dato la priorità a una visione ragionieristica della realtà economica e sociale si è rivelata come la sanzione finale della crisi della politica.
La vicenda dell’indulto si è rivelata emblematica. Doveva essere l’inizio di una stagione riformatrice con al centro l’abrogazione delle leggi criminogene su droghe e immigrazione e l’approvazione del nuovo Codice Penale e invece, di fronte all’offensiva giustizialista della stampa, anche di quella sedicente progressista, è prevalsa la paura e si è subito il ricatto securitario e il riflesso d’ordine.
Il risultato è catastrofico: l’operazione del risanamento dei conti sta riconsegnando l’Italia alla destra più estrema d’Europa e paradossalmente un’azione di rigore viene imputata alla sinistra. Contestualmente si assiste a un rafforzamento di un senso comune piccolo borghese ingaglioffito e canagliesco.
I segni sono tanti e preoccupanti. La criminalizzazione del sessantotto, l’offensiva sanfedista contro le donne e l’aborto, l’affermarsi del partito dei familiari delle vittime del terrorismo sono solo alcuni degli spettri che stanno prendendo corpo.
Siamo in pieno terremoto, le ipotesi di un decennio si sono bruciate. L’Ulivo e l’Unione hanno lasciato il campo al Partito democratico e la Sinistra è in una condizione di debolezza come mai nella storia di questo dopoguerra.
Si presenta un compito immane al cui confronto la partita elettorale è poca cosa. La ricostruzione di un pensiero e di una prospettiva di alternativa è urgente.
Ha ragione Marco Revelli a evocare un’Altra Italia, laica e intransigente.
Il tema delle droghe, praticamente assente dai programmi e dalla campagna elettorale, tranne qualche spazio di polemica fatua e ripetitiva, dovrà diventare un indicatore e un discrimine per una forza che consideri essenziali welfare e diritti, autonomia degli individui, garantismo, diritto penale minimo e mite, carcere e pena secondo i principi della Costituzione. Dipenderà da noi. Da un movimento capace di costruire egemonia su un terreno che non va lasciato all’etica da quattro soldi.
Abbiamo deciso di convocare l’Assemblea di Forum Droghe dopo il risultato delle elezioni del 13 aprile per non perdere un minuto per un nuovo inizio. Ovviamente non diamo indicazioni di voto. A chi si è appellato al voto utile rispondiamo con il richiamo al principio sempre valido e concreto della riduzione del danno.