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Ricorso alla Corte europea per i Diritti dell’Uomo per denunciare le condizioni di sovraffollamento

Il Difensore civico dei diritti delle persone private della libertà dell’Associazione Antigone, Stefano Anastasia invita chi è interessato a presentare ricorso alla Corte europea per i Diritti dell’Uomo, per denunciare le condizioni di sovraffollamento in cui è costretto a vivere (o ha vissuto) in Carcere, a compilare la scheda scaricabile qui.
Il Difensore civico valuterà se il caso rientra nei presupposti per poterlo presentar alla Corte europea. In caso positivo, si metterà a disposizione per seguire il ricorso. La scheda dovrà essere inviata al seguente indirizzo: Difensore civico – Associazione Antigone, Via Principe Eugenio 31, 00185 Roma.

Dal blog di Fuoriluogo.it.

Gabbie disumane

prima-pagina1508.giornaleFondo uscito su terra del 15 agosto 2009.

In questo agosto la politica ufficiale, o meglio politicante, discute molto, troppo, della proposta della Lega di reintrodurre le gabbie salariali. Troppo poco si affronta invece la presenza mortificante delle gabbie umane, della galera insomma.

Un silenzio pesante dei mass media di fronte a un record di presenze di detenuti nella storia della nostra repubblica che meriterebbe uno straccio di analisi.

E’ aumentata la criminalità in Italia? O semplicemente assistiamo alla criminalizzazione di comportamenti e stili di vita che richiederebbero interventi educativi  piuttosto che il ricorso alla repressione punitiva?

Per fortuna, grazie all’iniziativa dei radicali nei giorni di ferragosto quasi tutte le carceri saranno visitate da parlamentari, consiglieri regionali, garanti dei detenuti.

Ognuno dei duecento istituti oggetto della più imponente ispezione condotta contemporaneamente sul territorio nazionale,  mostrerà la stessa vergogna.

Corpi ammassati in celle inadeguate, materassi lerci per terra; tossicodipendenti, immigrati e poveri ridotti a carne da macello senza vedere garantito nè il diritto alla salute nè quello alla difesa.

Molti esponenti delle istituzioni vedranno per la prima volta il prodotto finale di una giustizia di classe, generazionale, sociale, etnica.

Il sovraffollamento non è come la grandine un fatto naturale e magari imprevedibile. E’ il risultato di scelte precise anche se inconsapevoli. La penalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti illegali è all’origine di questa orgia penitenziaria.

Nel 2007 in Italia hanno fatto ingresso in carcere dalla libertà 90.441 soggetti. Di questi 28.090 per violazione della legge sulla droga. Le presenze in carcere per la violazione della legge Fini-Giovanardi rappresentavano al 31 dicembre 2007 circa il 40%.

Queste cifre risultano aggravate dai dati dell’ultima Relazione al Parlamento dello zar antidroga Carlo Giovanardi che ha segnalato una ulteriore crescita dei tossicodipendenti che entrano in carcere, dal 27% al 33%, cioè il 6% in più rispetto al 2007!

Quanto dovremo aspettare perchè il Presidente Fini si accorga che la legge da lui fortemente voluta è l’emblema di quello stato etico finalmente messo in discussione?

Per un puro miracolo finora le prigioni non sono esplose anche se morti, suicidi, atti di autolesionismo costituiscono il bollettino quotidiano di una guerra non dichiarata e su cui pesa l’embargo dell’informazione.

Occorrerà una campagna d’autunno per cambiare le leggi criminogene e subito liberare dalle catene i tossicodipendenti.

Franco Corleone

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I miei articoli Le carceri

Ferragosto in carcere

carcere2Domani pomeriggio, 14 agosto, sarò al carcere di Tolmezzo insieme a Elisabetta Zamparutti, deputata radicale, per l’iniziativa promossa dagli stessi radicali di visita alle carceri a Ferragosto. E’ un’iniziativa che coinvolge decine di deputati, senatori, consiglieri regionali e garanti dei detenuti in tutta Italia dal 14 al 16 agosto.

Ecco l’elenco delle adesioni e l’agenda delle visite ai carceri italiani.

Deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici assieme ai garanti per i diritti delle persone private della libertà si uniscono alla “comunità penitenziaria” per una ricognizione approfondita della difficilissima situazione delle carceri italiane;per conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti
per essere così capaci di interpretare i bisogni e di proporre le soluzioni legislative e organizzative adeguate, sia immediate che a medio e lungo termine;

ciò affinché gli istituti penitenziari possano essere non solo luogo di espiazione della pena ma realizzare a pieno i valori sanciti dall’art. 27 della Costituzione Italiana secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato;

mentre, per quel che riguarda tutti i lavoratori che prestano la loro attività ad ogni livello negli istituti carcerari, devono essere garantite condizioni di lavoro moralmente, socialmente ed economicamente adeguate ai profili professionali ricoperti, che diano il giusto riconoscimento ai compiti di esemplare responsabilità espletati e che consentano di dare completa attuazione ai risultati delle rivendicazioni e delle conquiste, purtroppo oggi ancora in larga parte disattese.

Non è un caso che lo stesso Ministro della Giustizia on. Angelino Alfano ha definito la situazione delle carceri italiane “fuori della Costituzione”.

Per far ciò, Venerdì 14, sabato 15 e domenica 16 Agosto deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici assieme ai garanti per i diritti delle persone private della libertà visiteranno tutti i 205 Istituti Penitenziari italiani

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blog Le carceri

Trattamento inumano.

La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per trattamento inumano di un detenuto. La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per «trattamenti inumani e degradanti» nei confronti di Izet Sulejmanovic, detenuto a Rebibbia tra il novembre 2002 e l’aprile 2003: Sulejmanovic ha condiviso una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno.

Da fuoriluogo, anche su fioreblog.

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Giustizia fai da te

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Da piovono rane, via fioreblog.

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Agenda Le carceri

I Garanti e l’esecuzione della pena: quali prospettive?

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Appello per una discussione seria sugli anni 70

Dopo le polemiche contro il film “La Prima linea”, che fanno seguito a tanti altri e sempre più frequenti episodi di attacchi mediatici tesi a imporre il silenzio e l’invisibilità nei confronti di ex condannati per fatti di lotta armata, pubblichiamo un appello, che tra i primi firmatari vede il sottoscritto, padre Camillo De Piaz e Patrizio Gonnella.
Ci pare preoccupante che il tono – spesso troppo alto e violento ? e i contenuti della discussione attorno agli anni 70 abbiano visto in questi anni un decadimento, oltre che un accanimento. La riflessione sulla lacerazione armata, sulle leggi d’emergenza, sullo Stato di diritto e sulla qualità della democrazia di venti anni fa era arrivata a un grado di maturità e profondità assai maggiore dell’attuale.
Allora forse, questo ennesimo caso, può diventare occasione non solo per dire basta, ma anche per costruire luoghi e prossime occasioni di un confronto e di una riflessione alta e rivolta in avanti. Ad esempio, immaginando e organizzando un grande convegno da tenersi nei prossimi mesi.

APPELLO. BASTA CON L’ACCANIMENTO. PER UNA DISCUSSIONE SERIA SUGLI ANNI 70

Raramente si è visto il caso di un film sottoposto a censura prima e durante la lavorazione. E, ovviamente, non si sa dopo. Sta capitando al film “La prima Linea”, tratto dal libro di Sergio Segio “Miccia corta”. Noi abbiamo letto quel libro: non è un racconto agiografico, è la ricostruzione sofferta di una storia politica, umana, d’amore, di morte. Drammaticamente autobiografica, fortemente autocritica. Da questo bel libro sta per essere tratto un film: il cinema racconta storie di persone o di gruppi, non la Storia, anche se può contribuire a rendere uno spaccato di momenti storici. Sono stati girati film su aspetti drammatici del passato lontano e recente del nostro Paese; sono stati girati film tratti dalle memorie autobiografiche di persone colpevoli di delitti, comuni o politici; sono stati girati film tratti da libri scritti da persone che hanno partecipato alle organizzazioni terroristiche degli anni Settanta.
Perché questo è il cinema, questa è l’arte, questo è il racconto di storie.
Mai nessuno, in precedenza, in Italia e all’estero (perlomeno in regime democratico), ha sottoposto a censura un film per il libro da cui è liberamente tratto, anche se molti criticano dei film, o dei libri, come dice la canzone di Rino Gaetano, senza prima vederli o leggerli.
L’ultimo censore preventivo, al momento, di “La prima linea” è il dottor Spataro, procuratore della Repubblica a Milano, che in un’intervista lanciata in prima pagina dal “Corriere della Sera” ha duramente criticato Segio e il finanziamento pubblico a un film tratto da un libro di “un terrorista non pentito”.
Noi non siamo d’accordo. In primo luogo perché il finanziamento a un film è valutato in base alle sue qualità artistiche, non alla personalità dell’autore da cui è liberamente tratto. In secondo luogo perché conferma la visione unilaterale, continuata nel tempo da parte del dottor Spataro, secondo cui le uniche persone che possono avere diritto di parola sono i collaboratori di giustizia, in quanto avrebbero permesso la sconfitta per via giudiziaria del terrorismo. Ma il terrorismo, a nostro giudizio, è stato sconfitto solo parzialmente dalla via giudiziaria, mentre è stato delegittimato alle radici da chi ha rivisitato criticamente, e in maniera collettiva, il proprio passato.
È significativo quanto scrisse al riguardo padre Davide Turoldo tanti anni fa, quando la memoria e le ferite erano più fresche e tuttavia la riflessione più seria e profonda: «Cosa dire di uno stato che fonda la sua sicurezza sulla delazione e non tiene in adeguato conto la dissociazione, che invece significa precisamente nuova coscienza e collaborazione a “capire”? Infatti, il pentito non dice perché lo ha fatto, dice solo chi c’era; invece il dissociato non dice chi c’era ma dice perché lo ha fatto. E questo è ancor più importante per uno stato che si rispetti. Naturalmente se vuol “capire” e trarne profitto, e magari cambiare» (“il manifesto”, 28 gennaio 1985).
Le possibili uscite dalle dinamiche della lotta armata sono state sostanzialmente tre: la prima è stata quella della collaborazione piena con i magistrati, definita normalmente come il fattore pentiti; la seconda è stata un movimento di rivisitazione critica comune del proprio passato, meglio conosciuta come dissociazione; la terza è stata una fuoriuscita attraverso l’utilizzazione personale degli strumenti messi a disposizione dalla legge Gozzini, meglio conosciuta come area del silenzio.
La prima e la terza hanno avuto connotazioni prettamente individuali; la seconda ha conosciuto invece un percorso collettivo.
Il movimento della dissociazione, di cui Segio è stato tra i principali esponenti, ha avuto quindi delle connotazioni collettive, quindi politiche. Non è stato solo un momento comune di revisione critica del passato, ha rappresentato anche un passaggio significativo per la riforma del carcere. La legge Gozzini, che ha aperto concretamente le porte delle prigioni alla possibilità riabilitativa, quindi di cambiamento reale, dei detenuti, è stata costruita con il contributo delle aree omogenee e delle sezioni penali delle carceri metropolitane.
La connotazione stessa del movimento della dissociazione ha portato molti dei suoi esponenti, prima dentro e poi fuori dal carcere, a svolgere lavori socialmente utili. Per impegno personale e a dimostrazione che il cambiamento è possibile. Come appunto hanno fatto anche Segio e Ronconi presso il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti e in altre realtà del volontariato e dell’impegno sociale. Questa cosa, che in altri Stati a civiltà giuridica consolidata è stata apprezzata al punto che gli ex esponenti di movimenti armati hanno potuto inserirsi nella vita lavorativa, nelle attività sociali e anche in quelle politiche, in Italia si è trasformata in una colpa.
Gli ex terroristi non possono essere ex: sono e rimangono tali; non possono lavorare, soprattutto se lavorano bene, perché questa cosa a qualcuno può non piacere; soprattutto, non possono parlare: se a loro, anche una volta scontata la pena, si chiede qualcosa, devono solo stare zitti.
Noi non siamo d’accordo sull’ergastolo alla parola né sull’epurazione sociale e lavorativa. Che riguardi ex militanti della sinistra o della destra o ex detenuti per reati comuni. Ci pare contro la Costituzione ma pure contro il buon senso. E neanche siamo d’accordo sul linciaggio mediatico, come quello cui è stato di nuovo sottoposto Segio in questi giorni.
Non lo siamo perché sono persone che possono avere delle cose interessanti da dire sul presente, in relazione alle attività che svolgono; e non lo siamo perché sono persone che possono dare un contributo significativo nella ricostruzione delle loro scelte sbagliate negli anni Settanta. Ma non lo siamo soprattutto perché in Italia il diritto di parola finora non è mai stato negato a nessuno; e negarlo a loro significa arrecare un danno allo Stato di diritto.
Per questo non condividiamo le censure a priori e a posteriori; e non siamo d’accordo con chi, come il dottor Spataro, vorrebbe subordinare la libertà di parola alla collaborazione di giustizia. Ci pare poi paradossale che gli attacchi si rivolgano sempre contro Segio, dopo che questi ha scontato sino in fondo decenni di carcere, a differenza di coimputati per gli stessi fatti che, a parità di responsabilità ma grazie al “pentimento”, sono rimasti sostanzialmente impuniti, ed è stato comunque l’ultimo della sua organizzazione a uscire dal carcere.
Ridurre queste persone al silenzio e alla morte civile sarebbe un ritorno al diritto della Santa Inquisizione, non l’esercizio del diritto in uno Stato laico moderno. Sarebbe un modo preoccupante di soffocare ogni tensione alla riconciliazione in favore di una logica sterilmente vendicativa.

Per aderire, inviare una mail a: appelli@societadellaragione.it.

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blog Le carceri Le droghe

Ecco i veri effetti della legge Fini-Giovanardi

Le associazioni Antigone, Forum Droghe e La società della Ragione hanno presentato in occasione della Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze a Trieste il “Libro bianco sulla Fini Giovanardi” (l. 49/2006). Nel rapporto sono illustrati e commentati i dati sulle conseguenze penali e sulle sanzioni amministrative della legge.

TRE ANNI DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE 49/2006 SULLE DROGHE
LIBRO BIANCO SULLA FINI-GIOVANARDI
Presentazione (dal blog di fuoriluogo.it)
Scarica il libro in formato pdf (252kb dal sito di fuoriluogo.it)

la tragica barzelletta di Alemanno e i suoi sodali

Che la canapa trasformasse dei ‘bravi’ ragazzi in razzisti ed aguzzini è l’ultima barzelletta di chi è accecato dall’ideologia, ma soprattutto vuole trovare un comodo alibi per coprire le proprie responsabilità. Ai tre delinquenti va detto di non fare i furbi!

Nessuna sostanza li farà giudicare incapaci di intendere e volere e andare assolti!

O è questo che vogliono Alemanno e i suoi sodali?

Città malata

Questo articolo è stato pubblicato il 2 febbraio 2009 dal Mattino di Padova con il titolo “Sindaci prefetti in sedicesimo.

Altro che maionese impazzita! E’ la politica che è uscita di senno e pare senza speranza perché, nella rincorsa ai sondaggi, alimenta il senso comune più becero e coltiva il disprezzo per la cultura e la conoscenza. A destra e a sinistra, i politici rinunciano non dico a cimentarsi in un ruolo di egemonia, ma neppure di riflessione pedagogica sulla  realtà.
E’ il caso del sindaco Zanonato, che, invece di contestare i contenuti del pacchetto sicurezza dell’estate 2008, si vanta di darne applicazione piena a modo suo. L’attribuzione al Sindaco di poteri di ordinanza in materia di sicurezza urbana segna uno stravolgimento di compiti e competenze costituzionali con il rischio di una applicazione di norme pseudo-penali a macchia di leopardo e con un diritto su base territoriale.
Così i sindaci si appassionano a mimare ridicolmente i prefetti in sedicesimo. Dalla contestazione di una figura tipica del centralismo napoleonico che Garibaldi definiva “una carica inutile e nociva” e che Luigi Einaudi  stigmatizzava al grido “Via il prefetto!” (per non parlare di Bobo Maroni che ancora nel 2006 presentava emendamenti alla Finanziaria per la sua abolizione), si è passati alla loro proliferazione a rimorchio dell’ossessione securitaria.
L’esuberante Zanonato imita le scelte di Letizia Moratti, patron di San Patrignano più che sindaco di Milano, senza porsi il problema di un confronto sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe, una fra le più repressive d’Europa. Invece di far tesoro del caso della Svizzera che avviò oltre dieci anni fa la riduzione del danno dopo che era fallita la via della pura repressione sui tossicodipendenti che consumavano per strada, il nostro sindaco scopre il “pugno duro” con venti anni di ritardo. La contravvenzione amministrativa di 500 euro per chi usa o consuma all’aperto sostanze stupefacenti si somma alle sanzioni amministrative previste dall’art. 75 (sospensione patente, passaporto, ecc.) e dall’art. 75 bis (obbligo di presentarsi due volte la settimana alla polizia, divieto di allontanarsi dal comune di residenza, divieto di frequentare determinati locali pubblici, ecc.).
Lo sa, il buon Zanonato, che dal 1991 al 2006 sono state segnalate ai prefetti 516.427 persone (nel 74% dei casi giovani consumatori di cannabis)? Il Rapporto del Ministero dell’Interno da cui traggo questi dati indica una sorta di persecuzione di massa e di criminalizzazione dei giovani che dovrebbe spingere a un cambiamento della legge , non a un incremento di sanzioni caserecce!
Ci si aspetterebbe una iniziativa politica per abrogare la legge Fini-Giovanardi che ha equiparato tutte le sostanze prevedendo per lo spaccio pene da sei a venti anni di carcere; la stessa pena è prevista per chi detenga una piccola quantità di marijuana superiore a quanto stabilito dalla tabella ministeriale in quanto valutato come spaccio presunto.
Anche la previsione di una pena da uno a sei anni per i fatti di lieve entità è ormai resa inefficace dalla legge Cirielli sulla recidiva: così le condanne per detenzione anche di un solo grammo di eroina, cocaina o canapa si aggirano ormai sui quattro o cinque anni di carcere. Così si spiega il motivo del sovraffollamento carcerario che per la metà è dovuto proprio alla legge sulle droghe, con buona pace di Giovanardi che continua a negare questi effetti drammatici del provvedimento da lui voluto. E se perfino  Giovanardi si dice perplesso sulle sanzioni dei vigili, è davvero segno che Zanonato ha voluto strafare.
E poi lasci stare lo “scambio” delle cure al Sert al posto dei soldi: è un ricatto terapeutico che offende medici e pazienti.

Franco Corleone