Articolo uscito sul Manifesto del 20 agosto 2009.
Il carcere di Firenze in questi giorni si è reso protagonista di manifestazioni vibranti per rivendicare diritti minimi alla vita e alla dignità. Sarebbe troppo sbrigativo e pericoloso parlare di rivolta, anche per non alimentare la voglia di chi vorrebbe menare le mani in nome dell’ordine e della sicurezza.
La direzione del carcere ha privilegiato la via del dialogo invece che quella dei rapporti e delle sanzioni. Ieri mattina ho partecipato a una lunga riunione con oltre trenta detenuti in rappresentanza delle sezioni del penale e soprattutto del giudiziario che è al centro della protesta per la durezza delle condizioni esistenziali.
Tutti hanno parlato, italiani e stranieri, dando una dimostrazione di solidarietà pur nella diversità di aspettative e di relazioni.
E’ stato un bagno di concretezza, attraverso la illustrazione di un catalogo di esigenze che all’osservatore esterno possono apparire banali, minime ma che nel contesto sono davvero fondamentali.
La denuncia di un pane immangiabile, di cibo scarso e scadente, dell’ora d’aria ridotta, della mancanza della doccia la domenica, dello scarso uso del campo sportivo, dei costi del sopravvitto, dell’indecenza dei materassi, della mancanza di detersivi per garantire un minimo di igiene in cella e nei bagni. Sono solo alcune delle violazioni di diritti fondamentali denunciate.
Da questo incontro è scaturita una piattaforma rivendicativa per l’applicazione del Regolamento del 2000, che doveva costituire un tassello per la realizzazione della riforma penitenziaria. Ma giace inapplicato e dimenticato nei cassetti dei sogni impossibili.
I detenuti hanno manifestato con chiarezza anche la necessità di un nuovo codice penale e soprattutto il timore di un sovraffollamento senza fine e incontrollato.
A questo proposito sanno bene il peso che una legge come quella sulle droghe comporta nell’equilibrio del carcere e hanno chiesto l’applicazione delle misure alternative per tutti e in particolare dell’affidamento speciale previsto per i tossicodipendenti. “Per avere una risposta per andare in comunità si aspetta un anno!” è stato il grido collettivo.
Un’altra questione drammatica emersa nel confronto è quella del rilascio del codice fiscale per gli stranieri; pare che dopo il decreto Maroni gli Uffici delle Agenzie delle Entrate facciano maggiori difficoltà e senza questo documento non si può accedere neppure ai lavori domestici del carcere. Per gli stranieri ciò rappresenta una vera tragedia. Anche il divieto di telefonate dirette ai cellulari invece che ai telefoni fissi è fonte di grave disagio.
In tanti abbiamo lamentato in questi anni il silenzio del carcere, ridotto a deposito di corpi abbandonati e destinati all’autolesionismo, l’unico linguaggio a disposizione degli ultimi della terra. Ora un primo fascio di luce ha illuminato questa enorme discarica sociale nelle giornate di ferragosto, grazie alla presa di parola dei prigionieri.
Occorrerà un impegno particolare da parte delle associazioni di volontariato impegnate sul carcere per rafforzare questo movimento nato dalla rivendicazione di bisogni essenziali e renderlo credibile come interlocutore dell’Amministrazione penitenziaria.
E’ bastata la richiesta del pane e dei materassi per ridicolizzare e sotterrare il piano carcere del ministro Alfano, che bussa cassa all’Unione Europea per l’edilizia penitenziaria.
Da oggi è chiaro che tutte le risorse disponibili devono essere utilizzate per migliorare le condizioni di vita quotidiana e per rispettare il principio costituzionale sul senso della pena. Non più carceri, ma meno carcere.
Franco Corleone